Festival di Avignone: Omaggio ai Padri di “Israele e Maometto”

"Israele e Mohamed" di Mohamed El Khatib e Israel Galvan. CHRISTOPHE RAYNAUD DE LAGE
Uno indossa una maglietta con la scritta "Tangeri Marocco" e pantaloncini sportivi, l'altro una lunga djellaba e stivaletti di pelle. Sul palco del Chiostro dei Carmelitani, ai lati, si trovano altari dedicati alle rispettive figure paterne. Nel giardino, il signor El Khatib, padre del regista Mohamed El Khatib. Lì, sotto il suo ritratto, si trovano numerose copie del Corano (tra le 300 della sua biblioteca), una cornice con la 62a Sura, una testa di cervo imbalsamata, un tappeto da preghiera... Nel cortile, il signor Galván, padre del ballerino e coreografo Israel Galván, una figura di spicco del flamenco contemporaneo. Sotto la sua effigie, un uovo in un portauovo, un pappagallo imbalsamato, palloni da calcio bucati, una coppa e una miriade di medaglie. Durante lo spettacolo, il velo verrà sollevato su ciascuno di questi oggetti e sulle impronte (spesso dolorose) che hanno lasciato sui due creatori.
Dopo aver reso un vibrante omaggio alla madre scomparsa in "Finishing in Beauty", lo spettacolo che lo ha reso famoso, Mohamed El Khatib ha scelto di evocare il padre. Dopo il bisogno di consolazione, quello di riparazione. Allo stesso tempo, è emersa anche la presenza di Israel Galván. Attraverso un processo creativo che ha avuto l'aspetto di una spogliazione, i due amici – che condividono, tra le altre cose, la passione per il calcio – hanno scoperto tanti tratti comuni.
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Dietro l'apparente bonomia che trasudano – li vediamo esprimersi ripetutamente su due maxi schermi – i due uomini si rivelano amareggiati, a volte fragili o violenti. Scortesi con i figli e il percorso artistico che hanno intrapreso, li incolpano dei loro tradimenti. Per i Galván, con un padre ballerino che è stato il primo ad addestrare il figlio, non è facile intraprendere la strada del flamenco, che è tutt'altro che accademica, e probabilmente non abbastanza virile agli occhi del padre. Un'amara constatazione: " Mio figlio ha cambiato idea". Quanto a El Khatib, il padre lo descrive come "uno spreco" : " Non è così che ho cresciuto i miei figli". È difficile per lui comprendere tutti quei lunghi anni di studio, finire così, a fare l'acrobata associando il suo nome a quello di Israele, la cui semplice parola evoca un paese che assassina i bambini di Gaza.
I due uomini sono per lo più silenziosi ed El Khatib lo confida in una lunga lettera aperta al padre, straziante e piena di lacrime. Lì ricorda quelle pantofole che volano e sostituiscono le parole, i 2.400 chilometri percorsi in auto tra Francia e Marocco, senza che un solo suono uscisse dalla bocca del padre, " re del silenzio e unico a conoscere le regole".
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