Allarme ceramica. Ciarrocchi: «L’Europa riveda la norma sugli Ets»

Nessuno si aspettava dazi al 30%. Anche il 10% avrebbe avuto effetti pesanti, ma con una cifra del genere «si toglie la possibilità all’industria italiana di esportare verso gli Stati Uniti. E per noi è un danno enorme, perché gli Stati Uniti sono il primo mercato estero dell’industria ceramica, con un valore di oltre 700 milioni di euro nel 2024, il 14-15% circa del fatturato complessivo».
Il presidente di Confindustria Ceramica, Augusto Ciarrocchi, commenta così la decisione di Trump di imporre dazi al 30% suo prodotti Ue in entrata negli Usa. Lo scorso aprile, durante il Coverings, la fiera di settore organizzata negli Stati Uniti proprio dall’associazione, il tema dei dazi era stato protagonista e già la minaccia (allora) di un 20% era considerata insostenibile: con il 30% siamo oltre ogni possibile previsione.
«Oltretutto, trattandosi di un dazio a valore, questo danneggia in modo particolare i produttori italiani, perché il prezzo medio delle nostre piastrelle è già il doppio rispetto a quello della concorrenza, compresi gli spagnoli – aggiunge Ciarrocchi –. Senza contare che i dazi si aggiungono alla svalutazione del dollaro, che ha ormai superato il 12% da inizio anno». Trattandosi infatti di beni di consumo, le piastrelle e i sanitari italiani (che insieme generano un valore alla produzione di circa 7,5 miliardi di euro, con l’80% di esportazioni) subiranno anche il contraccolpo della perdita del valore d’acquisto degli stessi cittadini statunitensi.
Né sembra essere una soluzione trasferire parte della produzione negli Usa come, a partire dagli anni Ottanta, alcune grandi aziende italiane della ceramica hanno fatto, con ingenti investimenti, arrivando a rappresentare oggi circa un terzo della produzione locale, che copre tuttavia appena la metà del fabbisogno nazionale.
«È un mercato strutturalmente in deficit, che deve importare – osserva il presidente –. Quindi non c’è dubbio che questi dazi ricadranno sui consumatori americani, ma colpiranno anche le nostre aziende che producono lì, perché in parte comunque devono anche esportare dall’Italia». Inoltre, costerà di più acquistare le tecnologie, che arrivano anch’esse dall’Italia».
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