Demografia, anziani, lavoro. Azzardi per il futuro


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Proposte
Pensione anticipata per chi ha figli, diritto di voto ai minori di 18 anni (con l’esercizio ai genitori), divieto di responsabilità esecutive per gli ultrasettantenni. Qualche idea scandalosa per dare ai giovani un domani
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Ci sono alcune cose che sappiamo con chiarezza da diversi decenni anche se, vista la drammaticità delle loro conseguenze, peraltro già lampanti, preferiamo non vederle o comunque ignorarne il peso e darci spiegazioni autoconsolatorie quando siamo costretti a prenderle in considerazione. Poiché le sappiamo, mi limito a farne un elenco prima di avanzare tre gruppi di proposte. I primi due avrebbero scioccato fino a qualche tempo fa anche me.
L’elenco comprende dieci evidenze: 1) Dall’inizio degli anni Settanta, dapprima in tutto il mondo allora sviluppato, si è manifestato un calo delle nascite al di sotto del livello di riproduzione. Esso si è poi esteso a tutti i paesi che hanno raggiunto un certo grado di benessere e istruzione e hanno visto grandemente ridursi il lavoro indipendente (quello dei contadini prima di tutto) a favore di quello dipendente. Il suo legame con questi fenomeni è di straordinaria chiarezza: se si raggruppano i paesi in base al loro “livello di sviluppo” si vede che tutti i gruppi mostrano la stessa tendenza verso il basso, legata alla straordinaria crescita complessiva dell’economia mondiale negli ultimi decenni, con decrescite che diventano progressivamente più marcate man mano che crescono i livelli di reddito e istruzione. Negli ultimi anni, inoltre, questa tendenza, che nei paesi più sviluppati sembrava attenuarsi, è notevolmente peggiorata, forse anche per i comportamenti di individui che cercano di difendere i livelli di benessere promessi e permessi dal periodo “miracoloso” che abbiamo alle spalle. La media di figli per donna è oggi negli Stati Uniti di circa 1,6; nell’Unione europea inferiore a 1,4; in Italia e in Giappone a 1,3; in Cina di 1,2 e in Sud Corea inferiore a 0,8. Come mi ha fatto notare un amico che ne sa molto più di me, vi sono però differenze importanti anche tra paesi occidentali, per esempio riguardo la fecondità finale delle coorti di donne fino a quella nata nel 1984 (l’ultima per cui si possano fare calcoli sulla fecondità nei primi 40 anni di vita). Italia, Spagna, Giappone, Sud Corea, Polonia e Germania, con 1,5 figli per donna, sono per esempio messe molto peggio di Svezia, Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Australia, che raggiungono i due, dimostrando che lo spazio per fare esiste e andrebbe assolutamente sfruttato.
2) A partire grosso modo dagli stessi anni Settanta, la speranza di vita alla nascita, che pareva aver raggiunto un tetto intorno ai 65 anni a metà del decennio precedente ha ripreso a crescere e supera oggi in molti paesi del vecchio occidente gli 80, ma ha superato i 60 anche in Africa, raggiungendo in molti dei suoi paesi anche i 70 e gli 80 anni.
3) Ciò ha reso e rende sempre più forte sia il peso degli anziani che la loro influenza sul clima “psicologico” generale, generando comprensibile malcontento e/o depressione tra i giovani, specie ma non solo maschi, come comincia a mostrare con nettezza il mutamento dei loro comportamenti elettorali.
4) Molte delle persone di mezza età, che non hanno avuto figli, vanno incontro a vecchiaie solitarie, di cui una parte sarà passata ad accudire genitori anziani piuttosto che nipotini, e avranno un’assistenza di livello inferiore a quello odierno per i costi crescenti del sistema sanitario e perché affidata a estranei.
5) Questa vecchiaia potrà contare su pensioni più tardive e di importo minore. Se è vero che in Italia le pensioni sono oggi razionalmente calcolate col metodo contributivo, si tratta di calcoli puramente figurativi. Esse continuano infatti a essere pagate in base ai contributi versati dai lavoratori attivi e non di quanto effettivamente messo da parte nel corso della propria vita lavorativa. Ciò perché, sulla base di nobili ragioni e ottimistici calcoli, alla fine degli anni Sessanta si decise di garantire una copertura pensionistica anche a chi di contributi ne aveva versati pochi o punto.
6) Dato il forte e progressivo calo nel numero dei giovani, questa tendenza si può contrastare entro certi limiti “in casa” aumentando la percentuale degli occupati, cioè spingendo più donne e più anziani a lavorare, o ritardando il pensionamento, come di fatto sta già accadendo.
7) Data la tendenza generale al calo delle nascite, che si estende a sempre nuovi paesi man mano che aumenta il loro “livello di sviluppo”, la soluzione dell’immigrazione, che è possibile e necessario perseguire, diventerà via via sempre meno disponibile con la progressiva diminuzione dei giovani in un numero crescente di paesi. Già oggi, inoltre, essa crea enormi problemi politici e psicologici, riflessi negli andamenti elettorali non solo di paesi che hanno a lungo idealizzato la purezza etno-nazionale come quelli europeo-continentali, ma anche di paesi tradizionalmente aperti all’immigrazione come gli Stati Uniti. Questo anche perché i nuovi immigrati sono e saranno sempre più diversi – per costumi, religione, colore e, ma in modo diverso e in parte minore, lingua – dalle popolazioni native.
8) L’unica risorsa “rinnovabile” per far fronte a questi problemi è rappresentata da incrementi di produttività permessi da innovazioni tecnologiche e scientifiche, che sono quindi preziosissime, e da lavoratori più competenti, chiamati però a fare i conti con una età più avanzata.
9) Tutte le politiche e gli incentivi usati fin ora per combattere la denatalità, ancorché utili e quindi da perseguire, si sono provati nel complesso e alla fine insufficienti persino nel paese più avanzato da questo punto di vista, cioè la Francia, che vanta la più lunga tradizione in merito e fornisce quindi un modello senz’altro da imitare, anche se non risolutore. I loro effetti avvalorano tuttavia l’importanza degli aspetti materiali, confermata dal fatto che, a parità di titolo di studio, anche in Italia i benestanti entrano prima in coppia e hanno più di frequente il primo e il secondo figlio, come avviene anche nelle coppie con due redditi.
10) Sappiamo infine che attualmente le più danneggiate sono le giovani donne che decidono comunque di fare figli. Le donne che non ne fanno hanno ormai nei paesi “sviluppati” redditi pari a quelli maschili e che tendono a diventare loro superiori, perché le giovani donne sono in media più istruite dei loro coetanei. Ma le donne che fanno figli perdono opportunità (di formazione, carriera, avviamento) che non recuperano in seguito: per loro il soffitto di cristallo continua a esistere. E anche i giovani uomini che decidono di fare figli sono colpiti, anche se in misura minore, dalla perdita relativa di reddito disponibile rispetto a chi non ne fa.
Le società “moderne” soffrono insomma di una triplice e forse mortale contraddizione tra: a) Gli interessi degli individui a non fare figli e quelli generali a che se ne facciano almeno in maniera sufficiente alla riproduzione; b) Gli interessi di breve periodo e quelli di lungo periodo degli individui stessi, visto che chi non fa figli è destinato a stare peggio più in là con gli anni, perché oltre alla ricchezza materiale ce ne è una intima e affettiva più difficile da capire anche perché si scopre solo compiendo la scelta “autolesionista” di fare figli;
c) La condizione di chi fa figli, sostenendo il futuro di tutti, e vive per questo una vita peggiore dal punto di vista materiale, e quella di chi non li fa, e gode per questo di una vita più agiata.
A meno di radicali cambiamenti le nostre società sono quindi destinate a essere dominate sempre più da persone di mezza età, anziani e vecchi, con problemi crescenti e su un percorso di relativo impoverimento.
La conclusione è una sola: quella di cui ci sarebbe bisogno, anche ma non solo in Italia, è una rivoluzione sia nelle mentalità che nella scala e negli strumenti delle politiche da adottare per far fronte a una situazione che rischia altrimenti di farsi sempre più pesante, e dalla quale – se non si pone rimedio – si uscirà magari in un lontano futuro, ma attraversando tempi di grande sofferenza. Discutere di questi temi è quindi fondamentale, anche perché, come detto alla fine del punto 1), è possibile ottenere risultati in grado di attenuare la situazione.

Giovandomi anche delle critiche e delle osservazioni di amici giovani e meno giovani, avanzo quindi qui tre gruppi di proposte, di cui i primi due sono come ho detto “scandalosi”. Lo faccio però proprio nella speranza di fare scandalo, per far capire la scala delle politiche e delle misure di cui bisognerebbe discutere e aprire un dibattito che affronti il problema principale che abbiamo di fronte in modo nuovo. Di questo infatti c’è bisogno se si vuole arrivare a interventi tesi non a fare dell’ingegneria sociale, che non è mai una buona idea, ma a modificare sostanzialmente gli incentivi e i disincentivi che regolano i nostri comportamenti. La storia delle società umane suggerisce infatti che in un futuro non lontanissimo qualcuno potrebbe arrivare a proposte e soluzioni ancora più radicali e davvero scandalose, e siamo per fortuna ancora in tempo per evitarlo.
Il primo gruppo è costituito da misure tese ad alleviare la terza contraddizione, rimediando sostanzialmente agli svantaggi di chi fa figli, e in specie delle giovani donne. Tra le cose che si potrebbero fare vi è ovviamente aumentare la fiscalità di vantaggio per le coppie con figli, proseguendo sulla strada dell’assegno unico, che ha costituito un importante passo avanti. Ciò richiede però, e subito, molti soldi freschi. Dati i forti vincoli del bilancio italiano, ho quindi pensato si potesse puntare subito e in modo importante sul futuro, basandosi su una motivazione ragionevole e di facile comprensione, tesa a potenziare fortemente, e a estendere in modo qualificato agli uomini, la misura già in vigore che consente alle donne con figli di anticipare l’età pensionabile di quattro mesi per ogni figlio, fino a un massimo di 16 mesi.
Visto che le pensioni correnti sono pagate da chi lavora, si potrebbe stabilire che, tranne motivate eccezioni, a partire dall’anno xy chi ha avuto due figli potrà andare in pensione e con contributi rafforzati tre anni prima se donna (che ne godrà anche per più tempo data la maggiore attesa di vita) e uno se uomo; chi ne avuti tre rispettivamente quattro e due anni prima e così via. Sarà bene ovviamente fare calcoli precisi, ma il principio credo sia chiaro. Per tutti gli altri il pensionamento dovrebbe essere strettamente correlato a contributi versati e speranza di vita.
Il secondo gruppo di proposte è teso ad aumentare il peso politico dei giovani, e in particolare di quelli che fanno figli, e quindi del futuro nella gestione della società, affrontando almeno in parte le prime due contraddizioni. La prima delle due misure consiste nel concedere il diritto di voto ai minori di 18 anni, affidando però il suo esercizio ai genitori (il voto dei genitori di un solo bambino-adolescente varrà quindi 1,5 o due nel caso di genitore affidatario; quello dei genitori di due bambini-adolescenti varrà il doppio, o il triplo in caso di affidatario, e così via).
Questa misura potrebbe essere integrata da un’altra che preveda che gli ultrasettantenni come me possano esercitare funzioni e compiti pubblici di tipo esclusivamente consultivo, anche retribuiti, ma non occupare posizioni pubbliche con responsabilità esecutive, a qualunque livello (il sacrificio che ciò richiederebbe a persone di grande levatura, e la perdita che ne deriverebbe, sarebbe credo più che compensato dalla fiducia data ai più giovani e al maggior spazio lasciato alla loro energia).
Per raggiungere lo scopo, non sarebbe in teoria sbagliato nemmeno agire sul peso del voto degli ultrasettantacinquenni, che potrebbe essere ridotto, recuperando un rapporto razionale con la vita che ci resta a quell’età, e quindi il nostro rapporto col futuro, e temperando così gli effetti distorcenti delle aspettative e dei bisogni dei vecchi. Naturalmente l’applicazione concreta di queste proposte susciterebbe problemi di vario tipo, rendendo necessarie – come è spesso il caso – distinzioni ed eccezioni. Penso per esempio a chi non può avere figli nel caso delle pensioni, o a chi si prende amorevolmente cura di figli di altri, sia nel caso delle pensioni che in quello del voto.
Soprattutto esse incontrerebbero probabilmente forti e convinte resistenze. Sul New York Times, per esempio, gli articoli che sollevano il problema demografico proponendo questa o quella misura economica per sostenere le giovani coppie suscitano sempre più spesso commenti di questo tipo: If you can’t afford kids, that’s on you. You chose to have them, che è in un certo senso l’equivalente del “trulli trulli chi li fa se li trastulli” di una delle mie nonne, trasferito sul piano socio-economico e degli interessi individuali. E’ però razionalmente possibile dimostrare che ciò è in contraddizione non solo con l’interesse generale ma anche con quello dei singoli se inteso in modo illuminato.
Lo stesso vale per le proposte relative al voto. La riduzione del peso di quello degli anziani può essere osteggiata in nome del principio di uguaglianza, per esempio da molti – non credo tutti – i miei coetanei, e non solo da loro. Si potrebbe anche ragionevolmente argomentare che colpire il principio di “una persona un voto” potrebbe aprire la strada a proposte con fini meno nobili di quello di trasferire potere e decisioni verso i più giovani. E si potrebbe agire indirettamente, spingendo i giovani con meno di 25 anni che spesso votano in percentuali inferiori a quelli degli adulti—a votare. Faccio però queste proposte, anche quella più discutibile sul voto dei vecchi, proprio per aprire un dibattito che spero, e credo, farebbe emergere la loro utilità e razionalità per tutti, sia in quanto singoli che in quanto comunità, e se non vi riuscisse metterebbe comunque tutti di fronte alla necessità di trovare misure della stessa scala in grado di farlo, perché di esse c’è grande bisogno.
Da tempo, per esempio, ci siamo abituati a considerare lo status (essere donna, invalido ecc.) un fattore importante nel godimento dei diritti. E tenere almeno parzialmente conto dell’orizzonte di vita nel peso del contributo alla determinazione delle scelte sul futuro è un motivo più razionale, anche perché più “universale”, di farlo di quanto non lo sia allocare questo o quel diritto/privilegio in base a categorie più specifiche. Si potrebbe inoltre sostenere che la maggiore età, che determina il diritto di voto, è stata stabilita in società molto giovani in maniera assolutamente convenzionale, e non si vede perché non possa essere stabilito in maniera altrettanto convenzionale un limite di età che riduca l’impatto dell’influenza e delle propensioni dei vecchi in società invecchiate.
Il terzo e più pacifico complesso di misure riguarda da un lato il potenziamento del livello qualitativo della nostra manodopera, a ogni età e a ogni grado di qualificazione, nonché la riorganizzazione della scuola per venire incontro alle esigenze delle coppie con figli, e dall’altro l’aumento maggiore possibile dei finanziamenti pubblici alla ricerca e delle facilitazioni ai privati che vi si impegnano. Per quanto riguarda la scuola si potrebbe pensare a riorganizzarla orientandola tutta verso il tempo pieno, magari non obbligatorio e anche a scapito del sabato se necessario. E si dovrebbe fare di più per l’istruzione continua nelle secondarie superiori come nelle Università (ma sempre in dipartimenti separati a questo finalizzati, per non compromettere la qualità della didattica fondamentale), per far sì che lavoratori maturi e anche anziani creino, per quanto possibile, più valore che si potrebbe usare per una società più a misura di giovani.
La cosa decisiva è però che una quota importante dei fondi stanziati vada, a tutti i livelli, alla parte migliore dei nostri studenti, che non sono tutti uguali, nonché al sostegno all’università di ricerca (che è cosa diversa dall’istruzione terziaria superiore) che ancora esiste dentro il sistema universitario pubblico italiano e, ma solo parzialmente, dentro quello privato che, ricordiamolo, non ha di regola i grandi laboratori e le grandi strutture (e spesso nemmeno i dipartimenti) di scienze fisiche, naturali e tecnologiche. Sono campi in cui c’è tra l’altro tantissimo da fare, come abbiamo realizzato “scoprendo” col ritorno della guerra il divario scavatosi in questi settori cruciali tra Europa e Stati Uniti (ma anche la Cina e forse l’India) negli ultimi trent’anni.
Soprattutto, a meno che fantastiche realizzazioni, come una fusione nucleare funzionante, vengano a breve a alleggerire la situazione, l’unica risorsa naturale su cui l’Italia può contare è rappresentata dall’intelligenza e dai talenti dei suoi cittadini, e in particolare di quelli più giovani, più dotati e più energici su cui quindi è utile a tutti investire.
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