Invece di piangere sui dazi, è più utile capire perché è andata così


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riflessioni da fare
Tolto quello aeronautico, nessun altro settore dell’economia europea può disporre di un'elevata autonomia nei confronti degli Stati Uniti. Un risultato di scelte precise dei governi e delle istituzioni, che hanno impedito la creazione di aziende capaci di competere con quelle statunitensi
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E’ inutile negare che la stretta di mano tra Ursula von del Leyen e Donald Trump per celebrare, di fronte alle telecamere del mondo intero, l’accordo commerciale tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, abbia lasciato l’amaro in bocca. Anche perché è avvenuto dopo una serie di concessioni fatte a Trump negli ultimi sei mesi, dalla spesa militare alla tassazione delle multinazionali, che comportano un costo aggiuntivo per l’Europa, in termini finanziari e di impatto economico. E senza alcun tentativo di ribattere, ad esempio nel settore dei servizi, nel quale gli Stati Uniti sono esportatori netti. A questo punto, chiedersi chi debba portare la responsabilità del risultato, tra la Commissione europea e i governi dei paesi membri, serve a poco. Il classico gioco dello scaricabarile fa parte dei rituali europei, per cui le cattive notizie sono sempre da attribuire ai burocrati di Bruxelles. Ci si dimentica però che quei burocrati non erano al tavolo negoziale della Nato quando i paesi europei hanno accettato di aumentare le spese militari, né al G7, quando le multinazionali americane sono state esentate dalla tassazione minima. Forse è più utile cercare di capire perché le cose sono andate a finire in questo modo, se non altro per evitare che ciò si ripeta.
Il punto di partenza della riflessione è il settore aeronautico, l’unico risparmiato dai dazi americani. Non si tratta di una svista da parte di Trump. Il settore aeronautico è praticamente l’unico nel quale l’Europa può vantare una autonomia strategica. Non solo ha aziende di dimensioni globali, come Airbus, Leonardo, Saab, Dassault, Safran, che producono in tutto il mondo e sono in grado di competere alla pari con le controparti americane come Boeing o General Electric. L’Europa produce anche componenti fondamentali per i produttori americani. Trump non poteva permettersi di fare la guerra commerciale all’Europa nel campo aeronautico. E infatti non l’ha fatta. Il problema è che nessun altro settore dell’economia europea può disporre di una simile autonomia e di un analogo potere contrattuale nei confronti degli Stati Uniti. Nel settore della tecnologia, nel quale gli Stati uniti sono esportatori netti, l’Europa non ha aziende in grado di competere o di sostituire quelle americane. Non ci sono attualmente alternative credibili ai prodotti forniti dalle cosiddette “magnifiche sette”: Microsoft, Amazon, Google, Tesla, Meta, Nvidia o Apple. Tassarle significa in fin dei conti tassare i consumatori europei.
Nel settore finanziario, il ruolo dominante delle aziende statunitensi, in tutti i segmenti – dalle banche di investimento ai fondi gestione, dal private equity alle agenzie di rating – rende praticamente impossibile farne a meno. Quando c’è un investimento strategico di grandi dimensioni da pianificare, nessuna istituzione finanziaria europea ha la dimensione di bilancio sufficiente per portarla avanti in modo autonomo.
Questa situazione di dipendenza nei confronti delle aziende americane non è casuale. E’ il risultato di scelte precise dei governi e delle istituzioni europee di non favorire, o addirittura di ostacolare, la creazione di aziende di dimensioni globali, capaci di competere con quelle statunitensi. Da un lato, i governi nazionali continuano a porre veti alla creazione di alleanze, fusioni o joint venture tra operatori dei diversi paesi per creare campioni europei in settori chiave, come quelli delle telecomunicazioni, dell’energia, della finanza. Preferiscono mantenere il controllo politico sulle aziende dei rispettivi paesi, nonostante le dimensioni siano spesso insignificanti.
Dall’altro lato, la regolamentazione europea, in particolare nel settore della concorrenza e degli aiuti di stato, continua a essere basata su princìpi che non sono più in linea con la struttura del mercato globale. Non si è capito, in particolare, che se le regole penalizzano le imprese europee nella concorrenza internazionale, queste regole diventano irrilevanti. Gli Stati Uniti e la Cina hanno entrambe capito che la loro sovranità è strettamente legata alla loro capacità di non dipendere l’uno dall’altro, soprattutto nel settore della finanza e della tecnologia. Le loro politiche economiche vengono oramai tarate su questo obiettivo fondamentale. In Europa, non sembra si sia ancora capito che non si è sovrani se si dipende dalle decisioni degli Stati Uniti o della Cina. Il settore aeronautico dovrebbe rappresentare un esempio su come l’Europa può ridurre la propria dipendenza ed evitare di subire le decisioni altrui. Ciò richiede tuttavia un cambio di passo, sia a Bruxelles sia nelle 27 capitali europee (o almeno in quelle più importanti). Contrariamente a quanto sostiene Trump, l’Europa non è nata per “fregare” gli Stati Uniti, ma per evitare che avvenga il contrario. Ancora non ci siamo del tutto riusciti.
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