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Manager/ Da Tesla alla nascita di Northvolt: chi è Paolo Cerruti, l’ingegnere torinese che ha sfidato la Cina sulle batterie (e ha perso)

Manager/ Da Tesla alla nascita di Northvolt: chi è Paolo Cerruti, l’ingegnere torinese che ha sfidato la Cina sulle batterie (e ha perso)

Fine dei giochi a Skellefteå. La gigafactory Northvolt, simbolo della rinascita industriale europea, baluardo contro il dominio asiatico sulle batterie per auto elettriche, si spegne. La startup svedese fondata dal torinese Paolo Cerruti e da Peter Carlsson, ex Tesla, è ufficialmente fallita a marzo, con un buco da 7,5 miliardi di euro e un sogno da 15 miliardi in frantumi.

Adesso, i pezzi vengono venduti: Lyten, giovane azienda californiana di supermateriali, si è comprata lo stabilimento in Polonia e promette di far ripartire tutto a tempo record. Ma la pagina europea è chiusa. E resta l’eco di un fallimento che pesa e di una promessa green che non si è mai realizzata.

Northvolt è nata nel 2016 con l’ambizione, enorme, di costruire batterie europee per le auto elettriche, rompendo la dipendenza industriale dalla Cina. In pochi anni ha attratto investitori di un certo calibro come Bmw, Volkswagen (con una partecipazione al 21%), Goldman Sachs e persino la Fondazione San Paolo attraverso Fondaco. La vera prova, però, era la scala industriale. E lì Northvolt ha perso la partita.

Lo stabilimento a Skellefteå, nel nord estremo della Svezia, è stato da sempre un simbolo dell’azienda e forse anche il primo errore. Costruire una gigafactory a tre ore dal Circolo Polare Artico poteva sembrare coerente con una certa retorica green, ma ha creato problemi logistici enormi. Poi sono arrivati i ritardi, le commesse cancellate (BMW ha fatto saltare un contratto da 2 miliardi), clienti esasperati e il crollo della domanda EV.

E così mentre i colossi dell’auto cercavano sponde in Cina per reggere la transizione, Northvolt restava da sola. Nemmeno il pedigree dei fondatori ha salvato il progetto: da un lato Peter Carlsson, stretto collaboratore di Elon Musk, dall’altro Paolo Cerruti, ingegnere torinese con un curriculum molto solido: Renault-Nissan, poi Tesla tra 2011 e 2015, dove si occupava di supply chain e qualità.

Ma chi è Cerruti? L’esempio classico dell’ingegnere-manager europeo. Laurea in Ingegneria Aeronautica al Politecnico di Torino, un inizio in Fiat a fine anni ’90, quando l’azienda cercava di reinventarsi dopo l’era Agnelli. Poi l’estero: Francia, Giappone, Stati Uniti. Prima alla Renault, poi alla Nissan, nell’alleanza guidata da Carlos Ghosn. E infine Tesla.

Nel 2011 Elon Musk lo chiama per costruire da zero la supply chain di Fremont, in California. Cerruti accetta, mette mano ai processi, gestisce le crisi, scopre la velocità e la brutalità operativa delle startup della Silicon Valley applicata all’industria. Non è un visionario né un frontman, sta dietro le quinte, ma lo fa con strategia e logica.

Nel 2016 torna in Europa. Non per nostalgia, ma forse per provare a replicare il modello Tesla nel Vecchio Continente. Nasce nel 2015 Northvolt. Insieme a Carlsson (suo ex collega in Tesla) l'ingegnere torinese raccoglie decine di milioni per studiare fattibilità, ingaggire partner e investitori, avviare il laboratorio di Västerås e pianificare l’espansione in Polonia e negli Stati Uniti. L’idea è semplice: se l’Europa vuole l’elettrico, deve avere le sue batterie. E se non c’è chi le produce, bisogna costruire da zero. "Un progetto troppo interessante per lasciarselo scappare", dirà lui stesso. Ma la parabola di Northvolt dimostra che anche i curriculum solidi si possono schiantare contro gli ostacoli della transizione industriale europea.

Cerruti, diventato CEO della controllata americana, aveva in mano il progetto globale: dalla Polonia agli Stati Uniti. Ma l’azienda ha ben presto perso il controllo operativo. Lui è rimasto fino alla fine, ha provato a tenere in piedi tutto, ma non è bastato. Ha provato a costruire in Europa quello che aveva visto nascere in California, ma la buona volontà non sempre basta. Servono catene di fornitura solide, investitori che non mollino al primo ostacolo e una politica industriale seria. Tutte cose che l’Europa, oggi, non ha ancora.

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