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Nucleare e rinnovabili, in Francia fanno i conti. E in Italia?

Nucleare e rinnovabili, in Francia fanno i conti. E in Italia?

Foto ANSA

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L'Assemblea nazionale francese chiede uno studio indipendente che confronti l’impatto di diversi scenari in grado di soddisfare il fabbisogno elettrico del paese, includendo tutte le tecnologie decarbonizzate. Si punta a creare materiale per qualsiasi dibattito democratico sul futuro dell’energia, e dovremmo parlarne anche da noi

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Un titolo del Figaro il 24 giugno recitava tagliente e provocatorio: “Quanti francesi sanno che l’energia eolica e solare ha raddoppiato la loro bolletta elettrica negli ultimi dieci anni?”. L’oggetto dell’articolo era un emendamento al disegno di legge sulla programmazione energetica e climatica nazionale (l’equivalente del nostro Pniec) per gli anni dal 2025 al 2035 (legge Gremillet), che introduce una moratoria a installazioni di nuovi impianti solari ed eolici sino a quando non siano calcolati minuziosamente tutti i costi indotti sul sistema dalla variabilità, contemporaneità, distribuzione e concentrazione territoriale di tali tecnologie di generazione di energia elettrica e dei conseguenti effetti sul mercato. L’emendamento è stato approvato il 19 giugno dall’Assemblea nazionale, che però, proprio il 24 giugno, ha bocciato a larghissima maggioranza l’intera proposta di legge. E ora il governo dovrà rivedere la programmazione.

L’oggetto del contendere è la necessità di applicare gli obiettivi obbligatori di quota rinnovabile previsti dal Green Deal e in particolare dal pacchetto Fit for 55. Per cui il governo francese ha proposto di aumentare di molto la potenza fotovoltaica ed eolica (46 Gigawatt). Secondo l’articolo del Figaro, considerando i progetti già autorizzati e in fase di realizzazione, “nell’arco di 3 anni si arriverà a 95 GW”. E questo si aggiunge ai 14 nuovi reattori nucleari inclusi nello stesso piano. Va detto che la Francia si trova già in una situazione invidiabile. Nel 2024, la media del prezzo di borsa elettrica in Francia tra le più basse d’Europa, certamente la più bassa tra i grandi paesi Ue (circa la metà dell’Italia) e le emissioni di anidride carbonica negli ultimi 12 mesi sono state di appena 31 grammi di CO2 per chilowattora, considerando l’intero ciclo di vita degli impianti. In Germania sono state pari a 350 grammi (più di 11 volte tanto) e in Italia a 300 grammi (10 volte tanto).

Qual è la ragione di questo apparente miracolo fatto di prezzi bassi ed emissioni quasi nulle? Il mix elettrico, con il 70 per cento della generazione da nucleare, il 13 da idroelettrico, il 9 da eolico, il 4,5 da fotovoltaico e appena il 3,5 per cento da fonti fossili. Per di più nel 2024 la Francia ha esportato ben 89 Terawattora (miliardi di chilowattora), in particolare verso l’Italia (direttamente o via Svizzera, per un totale di 40 Terawattora, pari all’energia elettrica generata da 5 reattori nucleari da 1000 Megawatt), la Germania e il Regno Unito.

Non stupisce dunque che in Francia si pongano alcune domande, a volte retoriche, sull’impatto che un simile piano di sviluppo di fonti intermittenti, se attuato, avrebbe sul sistema elettrico: quanti sanno che questo significherebbe che i cittadini dovrebbero pagare il costo di due sistemi elettrici e perciò le loro bollette aumenterebbero in modo significativo? Quanti che i produttori di energia eolica e solare riceveranno un prezzo garantito, anche quando l’elettricità è prodotta in eccesso o viene loro chiesto di interrompere la produzione per la stabilità della rete? Quanti che è difficile immagazzinare elettricità su larga scala?

Mutatis mutandis, domande simili ci poniamo anche noi in Italia, quando assistiamo, già ora che abbiamo installato 38 Gigawatt fotovoltaici e 12 eolici, ai “segnali di mercato” dei prezzi molto bassi, a volte persino nulli, nelle ore centrali della giornata, e ci chiediamo cosa accadrà se davvero installassimo entro il 2030 ulteriori 50 Gigawatt fotovoltaici e circa 10 eolici, come prescrive il Pniec. Oppure quando leggiamo che il nuovo decreto Fer-X prevede che venga remunerata tutta l’energia generata in simultanea nelle stesse ore da quei nuovi impianti, anche quando sarà – com’è facilmente prevedibile – in eccesso o verrà tagliata dal gestore della rete per ragioni di stabilità. E ancora quando scopriamo che il decreto Fer-2 prevede di remunerare ben 3,8 Gigawatt di eolico offshore a 185 euro a Megawattora e gli investitori ne vorrebbero altri 40 per i costi della connessione con la rete. O quando apprendiamo di faraonici piani di sviluppo della rete di trasporto e distribuzione e di altrettanto ambiziosi programmi di installazione di batterie. La domanda è sempre la stessa: quanto costerà tutto questo? Quali bollette pagheranno i consumatori? Quanto costerebbe invece una strategia che preveda, anche in Italia, un rapido ritorno del nucleare e di conseguenza la revisione degli obiettivi di fotovoltaico, eolico, batterie, reti, sistemi di bilanciamento? Qualcuno ha fatto i conti, considerando tutti i costi? Dove sono?

La richiesta dell’Assemblea nazionale francese è puro buonsenso: uno studio indipendente, condotto dall’Alta commissione per la Strategia e la pianificazione, sotto la supervisione dell’Accademia delle Scienze, che metta a confronto l’impatto di diversi scenari in grado di soddisfare il fabbisogno elettrico della Francia, includendo tutte le tecnologie decarbonizzate, intermittenti e controllabili. In modo da fornire ai francesi il materiale necessario per qualsiasi dibattito democratico sul futuro dell’energia. E sino a quando lo studio non sarà disponibile, l’emendamento adottato propone la moratoria sui nuovi impianti previsti dal piano. Per ora il voto contro l’intera legge Gremillet ha di fatto bloccato ogni cosa. Staremo a vedere. Ma vogliamo parlarne anche in Italia?

Giuseppe Zollino, responsabile Energia di Azione

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