Pasini: «L’accordo Usa-Ue sull’energia non sia freno alla transizione»


Dopo l’accordo tra Unione europea e Stati Uniti su dazi al 15%, il mondo politico si è diviso tra chi ha criticato la Commissione per essersi arresa alle minacce di Trump e chi invece l’ha sostenuta. «Io voglio essere pragmatico e guardo i numeri - dice Giuseppe Pasini, presidente di Confindustria Lombarda e del gruppo siderurgico Feralpi -. Nel 2024 la Lombardia ha esportato verso glu Usa prodotti per un valore di 14,2 miliardi di euro, pari all’8,7% dell’export totale e al 2,9 del Pil regionale, contro un import di 5,2 miliardi. L’Italia ha esportato beni per circa 67 miliardi e ne ha importati per 25 miliardi. È chiaro che il nostro Paese, e in particolare la Lombardia, è molto esposto, così come lo è l’Europa, per cui un accordo andava trovato. Non è il miglior risultato possibile e su alcuni settori avrà contraccolpi pesanti, soprattutto se sommato alla svalutazione del dollaro. Ma altri Paesi hanno avuto tassazioni anche superiori».
Che cosa, invece, non la convince dell’accordo Ue-Usa?
L’intesa prevede che l’Europa importi dagli Stati Uniti diverse materie prime, in particolare gas e prodotti energetici per un totale di circa 750 miliardi di dollari in tre anni. Ma è un obiettivo difficile da raggiungere, se consideriamo che nel 2024 la Ue ha importato energia per un valore di 76 miliardi di dollari. Per rispettare questo accordo, quindi, rischieremmo di passare dalla dipendenza dalla Russia alla dipendenza dagli Stati Uniti, che certamente ci offrono maggiore solidità e garanzie come Paese, ma il punto non è questo: noi, come Europa, dobbiamo darci una dimensione e creare le condizioni per essere indipendenti, soprattutto per per quanto riguarda i prodotti energetici.
Noi però non abbiamo gas, non tutti i Paesi perlomeno. Come fare?
È vero che non abbiamo il gas, ma abbiamo altre fonti da sfruttare. E qui vengo al secondo punto critico dell’accordo tra Bruxelles e Washington, che rischia di rallentare gli investimenti e l’impegno dell’Europa per la transizione energetica a favore delle energie rinnovabili. Invece dobbiamo accelerare questo processo, sburocratizzarlo, soprattutto in Italia. Il governo, attraverso il DM Aree Idonee, ha stabilito che ogni Regione debba investire una certa quantità di gigawatt da fonti rinnovabili entro il 2030. La Lombardia, che deve alimentare numerosi data center e molte industrie, si è posta un obiettivo di 12 GW e sta accelerando in questa direzione. Ma in alcune Regioni l’iter autorizzativo è molto rallentato ed è un problema, perché nel Sud Italia c’è un grande potenziale legato soprattutto all’energia solare. Dobbiamo spingere affinché tutte le Regioni adottino questa misura che il governo ha stabilito allo scopo di sfruttare in pieno la capacità dell’eolico e del fotovoltaico, perché nel medio termine l’energia proveniente dal vento e dal Sole sarà quella più conveniente. Poi sul lungo termine si aggiungerà anche una parte di energia nucleare, ma ora occorre iniziare al più presto con eolico e fotovoltaico, che sono davvero l’energia del futuro. Inoltre, se vogliamo arrivare al 2030 con una posizione diversa da quella che abbiamo oggi, è necessario velocizzare anche la realizzazione delle infrastrutture per trasportare questa energia, soprattutto dal Mezzogiorno al Nord, dove si concentrano le attività industria ad alta intensità energetica.
Che cosa impedisce di accelerare?
Le tecnologie ci sono e anche le risorse. La questione non è tecnica ma politica. È la politica, a livello nazionale e territoriale, che deve essere molto decisa su questo punto e sugli obiettivi da raggiungere, a prescindere dagli schieramenti, perché qui parliamo di una necessità del Paese. Le nostre imprese devono sostenere prezzi dell’energia superiori rispetto alla media europea e questo mina la nostra competitività. A questo proposito, per tornare al tema dell’accordo tra Stati Uniti ed Europa, vorrei sottolineare che il Gnl americano ha un costo elevato e questo non favorirebbe certo le aziende già gravate da una bolletta energetica, soprattutto elettrica, molto salata. Per questo le industrie più energivore insistono sul cosiddetto disaccoppiamento, ovvero separare il costo dell’energia da quello del gas, considerando anche le fonti rinnovabili, per ottenere una tariffa elettrica inferiore e più vicina alla media europea. Ci sono stati dei passi avanti negli ultimi anni, da parte del governo, ad esempio attraverso l’Energy Release, un sistema che consente ai produttori di ridurre la bolletta elettrica e al tempo stesso incentiva l’uso di fonti rinnovabili . Ma il costo dell’energia rimane il più alto in Europa perciò il governo deve essere più veloce nell’introdurre questi strumenti e stimolare il mercato.
Che cosa vi aspettate, invece, dall’Europa, per rilanciare la competitività dell’industria e ridurre l’impatto dei dazi?
L’Europa deve prendere atto che, negli ultimi cinque anni, il mondo è cambiato: prima il Covid, poi la guerra tra Russia e Ucraina, e ora i dazi americani. Quindi devono cambiare anche gli strumenti adottati da Bruxelles per sostenere il proprio tessuto industriale. Ad esempio, tra gli effetti indiretti dei dazi statunitensi c’è l’invasione di prodotti cinesi a basso costo, che è già iniziata e che sta mettendo a rischio soprattutto settori come l’automotive e la siderurgia. Servono urgenti misure di salvaguardia a difesa delle produzioni europee, anche solo temporanee, finché saranno in vigore questi nuovi dazi. E bisogna rivedere anche alcune normative che gravano sulle imprese, anziché aiutarle, come il Cibam e i lsistema degli Ets. Se non si saranno provvedimenti e risposte adeguati al nuovo contesto, andremo verso la deindustrializzazione dell’Europa e molte imprese manifatturiere saranno costrette a produrre altrove.
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