Voci femminili (e femministe) della letteratura asiatica. Una nuova Irlanda?


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il libro
Il caso di “Butter” di Asako Yuzuki, in cima alle classifiche negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Francia. La capacità di non cadere nel vittimismo delle autrici nonostante le culture giapponese e coreana estremamente patriarcali
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Sono impazziti per questo libro. In cima alle classifiche negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Francia. Quest’inverno era sempre lì, il libro più venduto in assoluto. È Butter, di Asako Yuzuki, ed è stato pubblicato anche in Italia, in contemporanea con l’uscita in inglese, da HarperCollins. Con il favore dell’estate – sono 530 pagine – l’ho letto, ma non credo di essere più vicina alla soluzione del mistero della letteratura giapponese. La cosa che ho capito, leggendo Asako Yuzuki, Murata Sayaka, Mieko Kawakami (Seni e uova, edizioni e/o, 2020), è che dalla letteratura asiatica, in particolare del Giappone e della Corea, stanno arrivando delle voci forti. Questi personaggi femminili a volte sembrano emissarie venute dal futuro ad avvertirci di qualcosa, con un messaggio che noi però non riusciamo ancora a interpretare. Ma continuiamo a leggere: si potrebbe dire che il Giappone e la Corea sono la nuova Irlanda, pensando a quello che è avvenuto con Sally Rooney, Naoise Dolan, Megan Nolan. Quello che scrivono le giapponesi e le coreane è allo stesso tempo altamente simbolico e letterale, quasi banale. In Butter, una giornalista a Tokyo cerca di ottenere un’intervista esclusiva con una presunta serial killer di uomini (ispirata a un caso vero). La detenuta, in attesa di processo d’appello, è una antifemminista, amante della buona cucina, e con il cibo preparato in casa le piaceva coccolare gli uomini, sostenerli, come dovrebbe fare ogni donna. Tranne che, forse, poi questi uomini li ha anche ammazzati. Comincia un gioco psicologico che – al netto di estenuanti descrizioni di obento, ohagi, ramen e anche boeuf bourguignon – è un duello fra diversi modi di vivere la femminilità nel Giappone di oggi. Con un richiamo lontano e parodistico alla retorica delle trad wife e del “divino femminile”.
Anche qui, come in Murata Sayaka, appare il sesso matrimoniale come incesto, e le donne sono spesso assassine, a volte legittimate (come in Parti e omicidi, edizioni e/o, 2024), in una società che comunque, nello schema più grande delle cose, le uccide. Ilaria Marzi, editor di narrativa straniera di HarperCollins, ha fatto molte acquisizioni da quell’area, e le spiega così: “Giappone e Corea sono culture estremamente patriarcali ma le autrici hanno delle cifre stilistiche per niente tendenti al vittimismo, anzi hanno un modo gelido di descrivere emozioni e sentimenti travolgenti”. Rika, la protagonista di Butter, sembra in effetti bypassare la rabbia per giungere direttamente alle strategie di sopravvivenza. La cucina, a cui viene iniziata proprio dall’assassina Manako Kaji, è un’arma di difesa, soprattutto quando cucina per sé. Ha qualcosa a che fare con la resistenza, con l’occuparsi fisicamente di non deperire (richiama la radical self care di Audre Lorde). “I coreani sono più ancorati al reale, mentre i giapponesi hanno una vena di follia e bizzarria più accentuata”. Entrambi utili, in un progetto editoriale, per “raccontare la vita reale delle donne di oggi in una tradizione diversa, evitando i cliché”. Anche Almond, tradotto Come una mandorla (HarperCollins, 2023), della coreana Sohn Won-pyung, è stato un caso internazionale – e su GoodReads si lamentano della “violenza estrema”, fanno trigger warning. Arriva pur sempre dal paese di Squid Game. A febbraio esce il nuovo Contrattacco, “Il Diavolo Veste Prada incontra V per vendetta”, dice Ilaria Marzi, quindi chissà quanti trigger. Dopo Butter, a ottobre uscirà il prossimo lavoro di Asako Yuzuki, Aquarium, un libro “sull’amicizia tossica”. Per iniziare in modo più soft, una raccolta di racconti: Il Sorriso di Shoko, della coreana Choi Eunyoung (HarperCollins, 2025).
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