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A Wimbledon i ragazzi formidabili del tennis italiano

A Wimbledon i ragazzi formidabili del tennis italiano

Championship tricolore

Sinner, Cobolli e Sonego firmano un’impresa mai vista: l’Italia del tennis è protagonista anche sull’erba. Un movimento maturo, profondo e pronto a restare

Wimbledon. È il Wimbledon delle sorprese, delle teste di serie che cadono una dopo l’altra, mai così tante nella prima settimana del torneo sia nel tabellone maschile che femminile, ma è anche e soprattutto il Wimbledon degli italiani, di Jannik Sinner, Flavio Cobolli e Lorenzo Sonego, dei tre ragazzi che con le loro vittorie di sabato al terzo turno dei Championship hanno confermato lo stato di grazia del tennis azzurro, battendo un nuovo record: per la prima volta nella storia, un terzetto italiano accede agli ottavi dello slam londinese.

“Prima ho incontrato Richard Evans (grande storico del tennis e giornalista britannico, entrato nel 2024 nell’International Tennis Hall of Fame, ndr) e mi ha chiesto: ‘Ma cosa sta succedendo in Italia che dominate ovunque?’. E gli ho risposto: ‘Caro Richard, mettiti comodo, perché abbiamo appena cominciato’”, dice al Foglio Paolo Bertolucci, leggenda del tennis italiano, uno dei quattro moschettieri che alzarono la celebre Coppa Davis del 1976, e vincitore di 12 titoli in doppio, tutti in coppia con Adriano Panatta. “Ci siamo sorbiti il periodo degli svedesi, il periodo degli australiani, il periodo degli americani e quello degli spagnoli, soprattutto, adesso tocca a noi, dunque godiamoci questo momento”, sottolinea Bertolucci.

Nel torneo dove escono gli “erbivori” Lorenzo Musetti e Matteo Berrettini, rispettivamente semifinale 2024 e finale 2021 qui all’All England Lawn Tennis and Croquet Club, entrano Cobolli e Sonego: è una staffetta, un ricambio continuo. “Sì, è tutto molto bello. A parte Sinner, che è una splendida costante, cambiano gli attori: non ci sono Musetti e Berrettini, che avrebbero dovuto essere le nostre altre due punte sull’erba, e spuntano Cobolli e Sonego. Senza dimenticare l’ottimo percorso di Luciano Darderi e Mattia Bellucci”, dice al Foglio Bertolucci, prima di aggiungere: “E’ un momento particolarmente felice anche perché non ci basiamo solo su un giocatore: c’è un movimento che fa ben sperare e credo che per qualche anno saremo ai vertici mondiali. Ormai è difficile che non ci sia un italiano nelle fasi finali di qualsiasi grande torneo”. I risultati di oggi partono da lontano, da una pianificazione mirata a livello di federazione e non solo. “Sono stati fatti dei programmi seri con team che hanno lavorato e cambiato la mentalità un po’ provinciale dell’Italia tennistica. Il tennis è per antonomasia uno sport internazionale perché giochi il 95 per cento dell’anno all’estero. Abbiamo fatto molta fatica a cambiare mentalità, ma ora siamo sulla strada giusta”, dice ancora Bertolucci, che era soprannominato “braccio d’oro” per il suo talento cristallino.

Le soddisfazioni per il tennis italiano arrivano sia dal tennis maschile che femminile. “Per anni abbiamo campato sulle spalle del tennis femminile, con Flavia Pennetta, Roberta Vinci, Francesca Schiavone: ora è arrivato anche il momento dei maschietti, e meno male. Fabio Fognini è stato quello che ha dato la spinta, ha dato il la”, afferma il tennista italiano. Il Wimbledon di Paolo Bertolucci era molto diverso “perché era un tennis molto più veloce, i campi erano più veloci, le palle erano più veloci. Giocavamo con le Superga con le suole a buccia d’arancia e sull’erba era già un’impresa stare in piedi”, ricorda il tennista, che nel 1973 raggiunse i quarti al Roland Garros, la semifinale agli Internazionali di Roma e la dodicesima posizione della classifica Atp, il suo best ranking. “Adesso è diverso, prima era obbligatorio il serve and volley, adesso se lo fai non c’è una partita. E’ diventato praticamente un cemento rapido, mettiamola così”, sottolinea Bertolucci. L’atmosfera, invece, è sempre la stessa. “Si va a sinistra in macchina, si beve il tè alle cinque e il Pimm’s. Ma soprattutto si gioca sull’erba ed è speciale per quello”, dice Bertolucci, prima di concludere: “C’è una tradizione che viene portata avanti. Almeno un giorno nella vita, bisogna venire a Wimbledon”.

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