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Alla Nazionale non serve un santone, ma voglia di riscatto

Alla Nazionale non serve un santone, ma voglia di riscatto

L'ex commissario tecnico della Nazionale Luciano Spalletti (foto Ansa)

azzurro tenebra

Il no di Claudio Ranieri alla panchina della Nazionale non è un male, anzi. Toglie qualsiasi alibi a giocatori e Federazione

Questa volta al presidente della Federazione italiana giuoco calcio. Gabriele Gravina, il giochetto non è riuscito. Il santone taumaturgo questa volta non è arrivato a tranquillizzare opinione pubblica, società calcistiche e calciatori. Il prescelto presidenziale, l’uomo al quale non si può che dare enorme fiducia, non se l’è sentita di ridipingere d’azzurro la bagnarola nazionale per provare ancora una volta a far sembrare la realtà migliore di quella che è. Claudio Ranieri resta a Roma, alla Roma, lontano dalla panchina: troppe volte aveva dribblato la parola data e quel vado in pensione (almeno dall’allenare) sembrava diventata una barzelletta. Claudio Ranieri ha detto di no, non se la sente.

E forse è una fortuna.

Perché sarebbe stata un’altra ruffianata, l’ennesima carezza che dice andrà tutto bene, vedrai sarà magnifico. E invece è da un po’ che non va tutto bene, anzi non va bene affatto. E’ da parecchio che non è magnifico. Perché due Mondiali visti solo in televisione e un Europeo barbino, l’ultimo, sono l’evidenza che quello che non va è tanto e non dipende solo da un naturale periodo di difficoltà. Perché dovrebbe essere chiaro, o quanto meno dovrebbe venire il forte dubbio, che sono cambiate le coordinate calcistiche del nostro calcio. Per questo servirebbe avere il buon senso di riprendere in mano la bussola, evitare di credere che il passato abbia davvero un peso. E per fare i conti con quello che c’è serve soprattutto una cosa: sincerità e nessun uso di make up.

Roberto Mancini e Luciano Spalletti erano make up. Il primo riuscitissimo: un Europeo vinto in modo del tutto imprevisto. Poi il cerone si è sciolto. Il secondo no. E’ andato via alla prima lacrima, al primo tocco di mano sul viso.

L’Italia dovrebbe avere l’onestà di mettere al centro del progetto della Nazionale una parola: riscatto. Perché serve dribblare il passato, a volte pure glorioso, del calcio italiano per non ricadere nell’errore di affidarsi a chi è convinto, e pure giustamente, che possa bastare aver vinto per tornare a vincere. Non è così. Servirebbe abbattere tutto per ricostruire qualcosa. Difficile però farlo con una Federazione convinta di avere fatto bene il proprio lavoro. Per questo sarebbe utile cercare qualcuno che sa che la Nazionale è l’occasione giusta, l’ultima?, non tanto per vincere, ma per ridarsi slancio. Qualcuno che non ha paura di nulla, nemmeno di dire: peggio di così non può andare. Cioè la verità.

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