Il Bari a mezza via: «no» alla cessione, pronto nuovo socio

BARI - La stagione agonistica si è chiusa con l’interesse per il calcio giocato al minimo storico. A un certo punto, dopo aver assistito a una serie di prestazioni inquietanti per pochezza tecnica e scarsa caratterialità, al novanta per cento dei tifosi non interessava più della rincorsa alla zona playoff. C’è un limite a tutto e, dopo due stagioni ricche di umiliazioni, la gente del Bari ha alzato bandiera bianca. L’unico argomento in grado di suscitare appealresta la questione societaria. La stagione della famiglia De Laurentiis, qui, pare ai titoli di coda. E non sembrano esserci margini. Forse nemmeno di fronte a una squadra finalmente competitiva.
Sono giorni abbastanza gustosi sul piano dei rumour c’è tantissima carne al fuoco. Con un vento statunitense che, giorno per giorno, dà l’impressione di avvicinarsi al capoluogo di Puglia. Necessario fare chiarezza, però. Da queste parti, con tutto quello che è successo in questi anni (anche prima dell’avvento dei De Laurentiis), è assolutamente vietato vendere fumo. E illusioni. Ci sono movimenti in corso, questo sembra essere qualcosa di molto vicino alla realtà. Ma non c’è in ballo la vendita del Bari a un nuovo azionista di maggioranza. A oggi, sul tavolo della Filmauro non c’è la cessione del club biancorosso. Ma solo l’apertura all’entrata di un socio di minoranza nel pacchetto azionario. Si parla di un 30%, o giù di lì.
La questione De Laurentiis, va ribadito, non attiene alla sfera delle simpatie o delle antipatie. Il popolo barese vuole una proprietà ambiziosa. E, quindi, una squadra che si presenti al via della serie B con l’obiettivo di vincerla. Non basta più la speranza che si crei l’incastro giusto, tra chimica e alchimie varie, per azzerare il gap con le grandi. Ed ecco che, da questo punto di vista, il potenziale ingresso di un socio... si spera possa essere il preludio a un atteggiamento diverso in sede di programmazione. Nessuno pretende che la Filmauro faccia follie. Non ne fa nemmeno a Napoli. Solo che all’ombra del Vesuvio si vincono scudetti e si compete per i massimi traguardi, spesso anche in Europa. I baresi non possono essere figli di un Dio minore, il punto è solo questo. Nè accettare che la stessa proprietà si muova con strategie completamente diverse tra loro. I De Laurentiis sanno fare calcio e lo dimostrano da vent’anni. Perché anche Bari non può chiedere lo stesso impegno? Forse perché fa comodo avere una seconda squadra che sia funzionale e strategica alla prima? Possibile, anzi probabile. Però ora basta. È arrivato il momento di giocare a carte scoperte.
Qualcuno ci dica qual è il disegno per Bari. Qualcuno ci racconti di queste differenze. E ci spieghi perché Bari e Napoli sono così vicine (stesso «padre») ma così terribilmente lontane. Una trattata come un gioiello, l’altra quasi abbandonata a se stesso. Luigi De Laurentiis, dicono, morirebbe dalla voglia di prendersi una bella rivincita. Con un budget risicato, che non è certo una sua colpa, ma con la voglia matta di dimostrare, anche ai vertici della Filmauro, che prendere «schiaffi» è una mortificazione che, alla lunga, rischia di portare a un corto circuito. Umano e personale prim’ancora che a livello professionale.
Il problema è che giocare a fare il Bari senza investimenti pari alle ambizioni assomiglia a un gioco d’azzardo. Può riuscire, certo. Come, d’altronde, due anni fa prima di quella maledetta notte al «San Nicola». Ma la storia racconta altro. Dimenticarlo, o peggio far finta di niente, sarebbe l’errore più grave. Inaccettabile.
La Gazzetta del Mezzogiorno