Il Bari e Nesta ora si «studiano», la panchina è diventata quasi un tormentone

BARI - Sembrava che Alessandro Nesta fosse a un passo dal «sì». Sembrava che il colloquio con Luigi De Laurentiis, dopo i primi contatti con Magalini e Di Cesare, fosse il preludio a un’intesa prossima alle firme. Invece no. A oggi, la sensazione è che il tecnico romano e il Bari si stiano «studiando». Dopo aver parlato, evidentemente, di programmi e obiettivi. Quali? Quelli della societàò non crediamo si possano discostare in modo significativa da quelli delle passate stagioni. Ovvero, un galleggiamento in zona tranquillo sperando di azzeccare l’annata giusta e di ritrovarsi nella classifica che conta. La speranza di essere bravi e anche tanto fortunati.
Difficile che Nesta possa accettare, senza battere ciglio, una prospettiva di basso impatto. Reduce com’è dal primo impatto con la serie A (a Monza è andata male) sa bene che scendere di categoria è un rischio grosso. Anche scegliendo di andare ad allenare in una piazza top come Bari. Va bene la «B», ma solo giocando per vincere. Vero, non va in serie A solo chi spende ma anche chi conosce l’arte delle idee. Ma le idee finanziate sono quelle più sicure. Anche perché gli almanacchi parlano chiaro. La promozione è materia per club audaci. Il resto sono chiacchiere. Per vendere fumo ai tifosi.
Complicatissimo fare previsioni sulla tempistica. La logica vorrebbe una chiusura entro questa settimana considerando che venerdì sarà trascorso un mese dall’ultima giornata di campionato, a Bolzano contro il Sudtirol. Vero, ci sono anche altri club abbastanza fermi. Ma Bari, questo ormai dovrebbero averlo capito tutti, fa storia a se. Specie quando si è reduci da due stagioni in cui è successo praticamente di tutto. La prima, con un direttore sportivo in stile «Tarzan». Sì, il «re della giungla». Quello che dice... faccio e disfo tutto io. L’ultima, condita da una cronica lontananza ideologica tra area tecnica e allenatore. Annate unite da risultati mediocri, pur nella loro diversità. Ecco, qui ci sarebbe da fare in fretta per provare a recuperare un briciolo di quella credibilità perduta. Anche perché qui c’è, come sempre, da ripartire da zero. Manca anche l’allenatore oltre a una squadra che andrà rivoltata come un calzino, tanto per cambiare.
Quello che fa impazzire i tifosi è l’idea di avere una proprietà forte. E pure competente oltre che virtuosa. Ma senza poterlo sentire sulla pelle. A Napoli si sono messi alle spalle vent’anni luccicanti. Tra scudetti e memorabili esibizioni in Champions League. Con relative passerelle di calciatori (Cavani, Lavezzi, Hamsik, Higuain tra gli altri) e tecnici di primissimo livello (Ancelotti, Sarri, Spalletti, Benitez, Conte). Anche lì fanno autogestione. Questo dovrebbe tenerlo bene a mente Luigi De Laurentiis quando, per giustificare un morbido impatto sul mercato, ama raccontare che ci sono club più facoltosi del Bari. Juve, Milan, Inter, Roma... sono decisamente più ricche del Napoli. Eppure lì... si fa calcio e alla grande. Qui, no. Qui è la sagra dell’improvvisazione. Bari non è l’occasione per fare cassa attraverso la cessione del club, deve essere chiaro a tutti. I De Laurentiis hanno accettato la «corte» di Decaro non per amicizia o per motivi politici. Chiacchiere, per non dire altro. Loro, il Bari l’hanno preso perché in grado di avere un ruolo strategico nella crescita del progetto calcio. Progetto che ha un solo nome: Napoli. E un barese, questo, non potrà mai accettarlo. Lo tengano bene a mente lì, ai piani che contano.
LA SAMP E I PLAYOUT Chiusa la vicenda Brescia, che con il ritiro del ricorso contro la penalizzazione per le irregolarità sui pagamenti, retrocede in C, la Sampdoria è pronta ai playout per la permanenza in B (contro la Salernitana, l’andata domenica).
La Gazzetta del Mezzogiorno