Il Bologna al Quirinale. Eleganza, selfie e strette di mano. I rossoblù stregati dal presidente

dall’inviato
L’orologio incassato sul Torrino del Quirinale ha un quadrante ‘alla romana’: indica solo sei ore, non le canoniche dodici, costringendo le lancette a fare in un giorno quattro giri completi al posto di due. L’orologio del Bologna, invece, di ore ne segna fin troppe: il tempo sembra non scorrere mai nell’attesa di una finale aspettata per cinquantuno, interminabili anni. Prima dell’Olimpico, la Storia si consuma qui. Alle dieci i rossoblù e il Milan sfilano già tra i corazzieri, con mezz’ora di anticipo sull’agenda di Sergio Mattarella. Vincenzo Italiano e i suoi ragazzi sono elegantissimi: abito blu scuro, camicia bianca, cravatta e pochette rossa. Fanno un figurone. Dall’altra parte, il Diavolo veste un completo total black con la t-shirt, poco solenne e troppo casual. Almeno sullo stile, siamo già uno a zero.
La Sala degli specchi brilla di una luce che nessun telefono riuscirebbe mai a raccontare. È un luogo quasi mistico, pregno di una solennità che mette in imbarazzo. Su ogni sedia c’è il nome, nulla è abbandonato al caso. In prima fila i presidenti Joey Saputo e Paolo Scaroni, gli allenatori Italiano e Conceiçao e i capitani De Silvestri e Maignan. Subito dietro, seduti vicini, gli amministratori delegati Fenucci e Furlani. Poi Freuler, Orsolini e via a seguire tutto il Bologna, con Di Vaio e Sartori stretti in mezzo ai loro giocatori. I rossoneri occupano l’altra ala della sala, dove siedono anche il capo del Coni Malagò, il presidente Figc Gravina e quello della Lega Serie A Simonelli. E ovviamente Ibrahimovic, manco a dirlo in prima fila.
Si scherza sotto voce, in modo composto, come la location impone. Calabria scatta una foto ai compagni seduti dietro, un’addetta chiede a Skorupski di farsi un selfie per il figlio (di fede romanista). Gli allunga il telefono, il portierone polacco non respinge. "Il mio dovere di mamma per oggi l’ho fatto", dice soddisfatta la signora.
Avvisano che il Presidente è in arrivo. Un enorme lampadario inzuppato di cristalli dà l’ultima pennellata regale: qui un tempo era di casa il re d’Italia. Un addetto ricorda ai presenti tutto il cerimoniale, con la scaletta degli interventi e persino quando alzarsi. Quando? Semplice, quando entra lui: Mattarella. Lungo applauso, poi la palla passa alle istituzioni sportive, prima di arrivare a Italiano.
"Buongiorno presidente, e grazie per averci voluto ricevere qui, nella casa di tutti gli italiani, alla vigilia della finale di Coppa Italia", legge l’allenatore rossoblù senza tradire troppa emozione. Del resto lui qui c’era già stato due anni fa, con lo stendardo della Fiorentina (poi battuta dall’Inter 2-1). "È una finale che il Bologna ritrova dopo 51 anni: oggi vorrei riuscire a portare in questa sala l’entusiasmo e la passione con cui la città intera si presenta a questo prestigioso appuntamento calcistico".
E ancora: "Il Bologna Football Club ha una grande storia, fatta di scudetti e coppe, ma i bolognesi miei coetanei, o più giovani, hanno vissuto questa successi solo con gli occhi dei padri, delle madri e dei nonni. Ne hanno sentito parlare come di un’età dell’oro, quasi irripetibile. Domani trentamila di questi ragazzi e ragazze verranno a gremire lo stadio Olimpico, sognando anche loro di alzare una coppa al cielo. E i più fortunati avranno al fianco genitori e nonni, che queste partite gliele hanno raccontate". Italiano chiude ringraziando "a nome di tutti i bolognesi".
Saputo consegna a Mattarella una maglia rossoblù con il numero uno autografata da tutti i calciatori. Il presidente della Repubblica ringrazia e con il suo intervento mette il timbro su una mattinata che resterà scolpita nella memoria del Bologna e della sua gente. Emozioni che non scolorano con il tempo. Solo quando il capo di Stato abbandona la sala, tutto il resto si scompone. Il tempo di un saluto tra vecchi amici (Italiano con Jovic, Calabria con Theo e Leao), poi tutti via, giù per la scalinata d’onore, tra le braccia della Storia.
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