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Jannik Sinner, il cacciatore di farfalle

Jannik Sinner, il cacciatore di farfalle

Foto ANSA

Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA

Accanto alla vittoria strappata da Alcaraz, si è fatta largo la pagina successiva di un romanzo nel quale si verifica un veloce precipitare degli eventi, in una caduta vorticosa dentro il vuoto. Mancava quasi nulla alla conquista della cima, ma la farfalla è sfuggita tra le mani

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C’era un che di indefinito nello sguardo di Jannik Sinner dopo la partita persa con Carlos Alcaraz, un vuoto verso l’orizzonte. Mai lo si è visto così dopo una sconfitta, prostrato, seduto con una voragine nel cuore. È lo sport, verrebbe da dire molto banalmente, ti dà e ti toglie, con indulgenza a volte, senza pietà in altre. In Sinner-Alcaraz abbiamo assistito a un confronto di stili, ma soprattutto a una partita tra due uomini completamente diversi. Alcaraz è quasi ottuso nel suo essere pervicacemente attaccato alla vittoria, dotato di quella insistenza insopportabile da vivere se ti trovi dall’altra parte della rete. Chiunque si sarebbe rassegnato davanti allo svantaggio, lui no, lui ha proseguito, come uno scalatore senza corda, a salire sulla parete, sottolineando ogni passo verso la vetta con il suo grido di battaglia, quel “vamos”, con la b al posto della v, e il pugno alzato. A volte portava una mano sopra l’orecchio per ascoltare la folla che faceva il tifo per lui (maledetti francesi, ce lo ricorderemo), e io ho pensato che se l’avesse fatto a me, a me che sono un isterico giocatore di nulla, lo avrei coperto di pallate.

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Come capite, la mia rabbia è quella del tifoso a cui è stato sottratto il finale di un bel sogno, svegliato da un latrato di un cane. Potrei chiedere scusa, ma non ci riesco, nemmeno a una settimana dalla finale di Parigi. Rivivendo gli attimi della partita, c’è stato un momento in cui il tempo si è sospeso, sui tre match point. La regia ha indugiato sugli occhi lucidi della signora Siglinde, pronta a scattare in piedi per la gioia, poi, in dissolvenza, le immagini sono scivolate sulla coppa. Era bellissima e ovviamente immobile, però nella mia fantasia quella coppa lievitava, si alzava, portata in alto dalle mani di un Jannik sorridente come mai lo avevamo visto prima. Sarebbe stata la scena definitiva del ritorno, la sanazione a fatti che lo hanno ingiustamente inchiodato per tre mesi all’apartheid.

Accanto a quelle istantanee di festa però, si è fatto largo un presagio, qualcosa di letterario, la pagina successiva di un romanzo nel quale si verifica un veloce precipitare degli eventi, in una caduta vorticosa dentro il vuoto. Sinner, sempre più bianco e stanco, trovava la forza di ribellarsi al destino che però era già stato scritto. E nella pagina del romanzo dal titolo “Il cacciatore di farfalle” ho letto: sono Jannik, un ragazzo semplice venuto dalle montagne. Sognavo di diventare un cacciatore di farfalle, inseguendole per i prati fino alle vette più alte. Dietro la farfalla più bella, a un certo punto mi sono perso, travolto dal fumo delle nuvole. Ho avuto paura, paura del bilico, della vertigine e sono caduto. Mancava quasi nulla alla conquista della cima, e la farfalla mi è sfuggita tra le mani. Mi sono sentito solo, e ho cominciato a tremare. Chiedo scusa a tutti se, per una volta, sono stato semplicemente un uomo.

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