Napoli, quarto scudetto. La città in festa dopo il 2-0 sul Cagliari. L’Inter vince ma non basta


L’esplosione di gioia, Il boato assordante che sconvolge Napoli arriva alle 21.39 quando, a 3 minuti dalla fine del primo tempo, Scott Mctominay, lo scozzese volante che fa volare il Napoli, s’inventa una sforbiciata che porta in vantaggio i partenopei sul Cagliari.
E in quel momento l’Inter, che a Como sta vincendo per 1-0 (De Vrij), capisce che tutto è finito. Che il Napoli sta andando in Paradiso. E che questo strano campionato, con un surreale rush finale al rallentatore da maratoneti stanchi, è ormai ai titoli di coda. E che l’infinita festa napoletana, che si completerà con il 2-0 di Lukaku, divampa dal Maradona a piazza del Plebiscito con quella forza incontenibile che ha Napoli quando è felice davvero.
Dopo tutto quel trattenersi, dopo tutti gli sforzi per nascondere scaramanticamente ogni allusione al quarto scudetto della sua storia, nulla può più impedire che tracimi questa benefica eruzione di felicità. Il quarto titolo (dopo quelli del 1987 e del 1990 con Maradona, e quello del 2023 con Spalletti) approda finalmente nel Golfo dopo qualche spavento di troppo, tipo quello con il Parma la settimana scorsa.
Ma ormai è acqua passata. Scorie di un testa a testa che si può archiviare. La missione è compiuta e Napoli si stringe attorno al suo uomo simbolo, Antonio Conte, che ha risollevato una squadra che un anno fa aveva finito il torneo al decimo posto. Se non è un miracolo, poco ci manca tenendo conto che gennaio, per fare cassa (75milioni), era stato ceduto anche Kvraratskhelia, il gioiellino georgiano che con Osimhen aveva fatto volare il Napoli verso lo scudetto 2023.
Conte, risucchiato nella festa, è osannato come Masaniello del nuovo millennio. Non solo ha vinto il suo quinto titolo da allenatore con la terza formazione diversa (record) ma è anche il primo uomo del Sud che conquista uno scudetto guidando una squadra del Sud. Tutti lo abbracciano, tutti lo vogliono perchè sanno che finché ci sarà lui la città continuerà a cantare; se invece partirà, seguendo il suo istinto di vagabondo vincente del calcio (probabile il ritorno alla Juventus), tutto si potrebbe di nuovo rimettere in gioco come è avvenuto dopo l’addio di Spalletti. Ecco perchè l’abbraccio con il presidente, Alfredo De Laurentiis, l’altro artefice di questo trionfo con 2 scudetti in tre anni, viene osservato e scandagliato con quel Var speciale che misura l’empatia tra due protagonisti dall’ego molto spiccato.
L’abbraccio c’è, ma non di quelli che ci si aspetta in mezzo ai tifosi rauchi dei felicità. E’ un abbraccio trattenuto, un po’ freddino, che non lascia trasparire un grande affetto, ma solo stima reciproca. Bisogna anche dire la verità: se Conte è stato il deus ex machina, il presidente De Laurentiis è stato il grande architetto di un progetto su cui, 12 mesi fa, nessuno avrebbe scommesso un centesimo. In questa notte d’amore, con il Maradona impazzito, il presidente, garantendo anche bilanci sani, è riuscito a centrare un nuovo obiettivo, l’ultimo di un percorso iniziato 21 anni fa. Ogni tanto ha preso anche delle sbandate- come il tonfo del dopo Spalletti - ma è poi riuscito brillantemente a risalire la china. “Se Conte vuole continuare, con noi saremo felici. Ma non è un obbligo” precisa De Laurentiis con scrupolo notarile non proprio bene augurante. Nella città del canto e del sorriso, Adl non è un mostro di simpatica. Pazienza, nessuno è perfetto.
«È lo scudetto più bello proprio perché più inatteso» sottolinea il capitano Di Lorenzo, colonna della difesa, fortissimamente voluto da Conte. È vero, il Napoli non è stata in assoluto la squadra più forte di questo campionato, come era successo l’anno scorso all’Inter e due anni fa ai partenopei di Spalletti. Però il Napoli, a differenza dell’Inter, si è esaltato nella sofferenza e nel sudore lavorando meglio sulle sue fragilità. Senza Kvara ed Osimhen, e con un Lukaku non più esplosivo, ma importante (14 gol) Conte ha irrobustito la difesa promuovendo Buongiorno a perno centrale di una linea a quattro che ha incassato solo 27 reti, miglior difesa del campionato.
Con un attacco non proprio esplosivo (59 reti, record negativo di una squadra campione d’Italia), Conte è stato abile a dare licenza di segnare ai mediani. E qui svetta come un gigante lo scozzese McTominay (12 reti), uomo decisivo anche nell’ultimo atto in un finale all’ultimo respiro in cui non sono mancate frenate e paure. «La mia vittoria più stimolante, abbiamo fatto qualcosa di incredibile» ripete Conte.
C’è molta rabbia nell’Inter. Che è emersa anche dopo la facile vittoria sul Como (0-2, Devrji e Correa), come un grumo rancoroso che non si riesce a placare nonostante la prossima finale di Champions con il Paris Saint Germain.
Al di là degli apprezzamenti di facciata, dei messaggi e dei complimenti formali al Napoli, tra i nerazzurri cova una brutta sensazione: quella d’aver perso un’altra occasione, che sembrava a portata di mano come già accadde con il Milan nel 2022. Più che guardare al Napoli, bravo a lavorare sulle sue fragilità, L’inter dovrebbe interrogarsi su quali sono stati i suoi limiti in una stagione dove non sarebbe stato impossibile far convivere il sogno della Champions con quello di un nuovo scudetto.
Con una rosa più attrezzata e collaudata, questa era la stagione buona per dare il meglio. Invece, i black out sono stati tanti. Un lungo elenco di occasioni sprecate. A partire dal 2-2 con la Lazio nell’ultima partita a San Siro. Inutile continuare a prendersela con gli arbitri, con il Var e con il destino cinico e baro. L’impressione è che il Napoli, quando è stato alle corde, abbia saputo stringere di più i denti, probabilmente grazie alla feroce pressione di Conte. La squadra di Inzaghi, soprattutto in campionato, ha invece avuto troppe pause. Ancora più colpevoli se si pensava di essere i migliori.
Ora per l’Inter arriva la settimana più difficile. Quella che precede la finale del 31 maggio a Monaco. Bisogna smaltire le delusioni, mettersi alle spalle un periodo di alti e bassi che va gestito con lucidità e nervi saldi. Davanti c’è un grande traguardo, ma bisogna arrivarci con la forza e la serenità di chi, alle spalle, non ha rimpianti.
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