Pogacar fa poker al Tour, a Van Aert l’ultima tappa


La quarta volta di Tadej Pogacar. Il fenomeno sloveno fa poker al Tour e mette in bacheca un’altra maglia gialla, a 27 anni ancora da compiere. Unica “sbavatura” in questa giornata del trionfo è che Tadej probabilmente avrebbe voluto vincere anche l’ultima tappa, 132 chilometri da percorrere con il circuito olimpico di Parigi e La Butte Montmartre da scalare tre volte, quasi una classica e quindi terreno di caccia ideale per l’iridato. Solo che questa volta si è fatto sorprendere da uno che in materia ne sa quanto lui, quel Wout Van Aert ancora a secco di successi in questo Tour ma che in passato, sempre qui, ne aveva messi insieme nove. A sei chilometri dal traguardo se n’è andato proprio sul pavé di Montmartre, partendo in contropiede dopo che proprio Pogacar aveva provato ad andarsene in progressione. Lo scatto del belga ha sorpreso tutti e per lui alla fine c’è stata la meritata gloria di giornata.
Alla fine di questo Tour, cui Pogacar ha apposto il suo quarto sigillo (dopo 2020,2021 e 2024), viene comunque inevitabile pensare quanta strada abbia ancora ancora davanti questo fenomeno a cui quasi tutto sembra facile e già inciso nella storia del ciclismo.
Lo sloveno, a differenza di Vingegaard, per la quarta volta secondo (+4’24”), è infatti ancora giovane. Il 21 settembre farà 27 anni, un’età in cui, di solito, si entra nel periodo migliore della carriera. Continuando a questo ritmo può scalare qualsiasi vetta. Magari in quantità non raggiungerà il terribile Eddy Merckx (525 vittorie) ma può già fargli sentire il fiato sul collo se già, nel 2026, rivincesse per la quinta volta il Tour entrando nel cerchio magico della cinquina (Anquetil, Merckx, Hinault, Indurain). A quel punto, avrebbe alla sua portata la possibilità di raggiungere quel record assoluto (6 Grande Boucle) che finora aveva toccato solo Lance Armstrong (7) ma che poi, per degradazione da doping, fu giustamente cancellato dall’albo d’oro.
Pogacar ha più o meno fatto quello che ha voluto. Il tanto atteso duello con Vingegaard in realtà si è spento subito nella tappa di Hautacam seguita poco dopo dalla micidiale cronoscalata di Peyragudes. Una potente doppietta, unita alla centesima vittoria di Rouen (ora siamo a 104) e al bis sul muro della Bretagna, che ha schiantato non solo Vingegaard, ma anche il Tour stesso, travolto dalla strapotenza di un campione che detta legge su tutti i terreni: in salita, a crono, sul passo e perfino in certi sprint naturalmente proibiti per i velocisti.
Sulle Alpi, per il maltempo e per un raffreddore insistente, Pogacar ha tirato il freno correndo in un modo che non gli è usuale, essendo combattente per natura. Un pedante controllo da ragioniere, cui Vingegaard, non ha reagito, che ha gettato uno grigia patina di routine sulla corsa. Nessuno dei presunti big, tranne una volta Roglic senza successo, ha mai provato a sfidare sua maestà, già ben comodo sul trono circondato dagli zelanti scudieri della Uae.
In questo senso, il Tour stesso ha perso mordente. Come ai tempi di Merckx, anche con Pogacar, nei grandi giri, nessuno ha più il coraggio di opporsi alla sua egemonia. Temendo il peggio, di essere puniti per sfacciataggine, gli altri leader preferiscono starsene a cuccia accontentandosi di un mediocre piazzamento. Non parliamo di un purosangue come Van Der Poel, fantastico cacciatore di tappe, ma di capitani che aspirano al podio. Nessuno alza la testa, nessuno prova a inventarsi qualcosa. In questo ciclismo, nei grandi giri, un “diavolo” come Chiappucci, che non temeva neppure Indurain, non esiste più. L’impresa del Sestriere del 1992 oggi sembra impossibile. Certo con Pogacar è come toccare i fili elettrici, però qualcosa bisogna inventarsi. Non a caso in questo momento hanno più fascino le classiche monumento dove una generazione di altri campioni come Van Der Poel, Evenepoel, Van Aert, rendono la vita più difficile allo sloveno che, comunque, ne ha già centrate nove (2 Fiandre, 3 Liegi, 4 Lombardia). Gli mancano solo la Sanremo e la Roubaix. Un bel bottino se si aggiunge il campionato del mondo e tutto il resto (103 vittorie) che non è poco.
A proposito di titolo iridato: il prossimo mondiale si svolgerà in Ruanda (24 settembre), un appuntamento particolare che fa sicuramente gola a Tadej per un bel bis che gli completerebbe la stagione con il gran finale del Lombardia. Molto Improbabile quindi che partecipi alla prossima Vuelta, anche per come è arrivato in riserva a Parigi.
Pur ancora giovane, Pogacar fa già delle scelte. Guarda avanti. A volte, dà perfino la sensazione di correre non tanto contro i suoi contemporanei ma contro la stessa storia del ciclismo. Come se volesse riscriverla, a modo suo però.
Pogacar non è come Merckx che, pur di vincere, finiva stremato al traguardo. E che si logorò fino a quando i medici non l’obbligarono a ritirarsi. Tadej, oltre ad essere il più determinato e il più dotato, è il diamante di una generazione molto diversa da quelle precedenti. Una generazione che sa anche divertirsi, molto connessa e digitale, che parla diverse lingue e che si confronta con gli avversari senza le asprezze di una volta, quando le grandi rivalità infuocavano le corse. Perdono e vincono senza giurarsi vendetta, con una leggerezza che a volte stupisce. Perfino con Vingegaard, anche se non c’è una grande simpatia, non ci sono mai state vere scintille. Qualche occhiataccia, qualche allusione, ma nulla più. Il danese, pur secondo, è però il vero sconfitto. Fa solo il Tour, ma dietro a Pogacar. Solo una volta, a la Plagne, gli è arrivato davanti. Ma senza vincere la tappa. Buono il terzo posto del tedesco Lipowitz (+11’09”) e il quarto dello scozzese Onley (12’12”)
Sul piano privato, Tadej non dà molto da scrivere o parlare. Il gossip gli scivola via. Fidanzato con Urska Zigart, con cui risiede a Montecarlo, anche lei ciclista professionista, quando non corre fa una vita molto semplice. Si allenano spesso assieme, cucinano assieme (piatto preferito la carbonara) , guardano assieme film e serie televisive. Una vita da universitario che studia all’estero, non quella di un super campione da 8 milioni all’anno con contratto con la Uae fino al 2030.
Un’altra delle qualità di Pogacar è quella di non farsi schiacciare dalla pressione. Dorme, mangia, gioca alla freccette, senza stressarsi più del necessario. Vive ancora il ciclismo come una passione, un bel gioco che lo sta portando sempre più lontano, dove forse non lo sa neppure lui. Sempre che questa magica leggerezza gli resti incollata come le sue maglie gialle. Che finora sono 54. A portata c’è Froome con 59. Ma in vetta, molto lontano, c’è sempre quell’Eddy Merckx (111) che resterà per sempre il suo vero ed inesorabile avversario.
Infine due parole sugli italiani. Partiti in undici, siamo subito rimasti senza Ganna, l’unica vera eccellenza del nostro ciclismo. Dobbiamo ringraziare Jonathan Milan, gigante friulano (1,94 cm), che vincendo due tappe (più 2 secondi posti) e combattendo per gli abbuoni nei traguardi volanti, ha conquistato la maglia verde della classifica a punti. Non era facile. Perchè il Tour è una corsa con il diavolo in corpo. Dove solo in 12 sono arrivati a meno di un’ora da Pogacar. Di altri italiani non abbiamo avuto notizie, tranne il povero Simone Velasco, combattivo ma sfortunato come Paperino. Il ciclismo azzurro è in una crisi che non ha precedenti. E giovani Sinner a due ruote all’orizzonte non se ne vedono.
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