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Sinner e Antonelli vite parallele della giovane Italia

Sinner e Antonelli vite parallele della giovane Italia

Foto ANSA

Il Foglio sportivo

Tra i segreti del successo di Jannik e Kimi c’è la solidità delle famiglie che li hanno incoraggiati e protetti, senza essere quei genitori impazziti che vedono nella carriera del figlio il riscatto di una vita intera

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Jannik e Kimi non sono i nomi più gettonati nel nostro paese. Almeno per ora. Perché se continuano così, magari un giorno si ripeterà l’effetto Maradona che ha moltiplicato i Diego a Napoli e zone collegate. Sinner e Antonelli sono la giovane Italia che piace. Jannik si è già preso il mondo, Kimi ce l’ha a portata di mano e, non a caso, lo hanno definito il Sinner della Formula 1, tanto che Netflix ha trasmesso un docufilm sulla sua avventura ancora prima che cominciasse davvero. Jannik sognava di diventare pilota di Formula 1. Lo ha detto e ridetto varie volte, solo che a casa non c’erano abbastanza denari per permettergli di inseguire quel sogno. La vita del pilota comincia a costare uno sproposito fin dal periodo dei kart, quando vedi ragazzini che vanno in pista a provare tutti i giorni. Se non si trova uno sponsor, un mecenate, spesso la corsa finisce lì. Se poi si vuole proseguire nelle formule minori, essere milionari non basta. Pensate che Jean Alesi un giorno ha raccontato di aver dovuto vendere la sua Ferrari F40 per finanziare la carriera del figlio Giuliano o a Riccardo Patrese che ad un certo punto ha deciso di indirizzare quella di suo figlio Lorenzo verso le “ruote coperte” dove si sta prendendo le sue belle soddisfazioni senza svuotare la cassaforte di famiglia.

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“Noi non eravamo così ricchi”, ha raccontato Jannik che oggi sì potrebbe permettersi di finanziare la carriera di un bimbo nei motori, ma quando il bimbo era lui, ha dovuto accontentarsi di sciare e giocare a tennis. Per fortuna. Anche la famiglia di Kimi, pur essendo dell’ambiente con papà pilota e una squadra corse, non avrebbe potuto finanziare la scalata del figlio nelle varie formule propedeutiche. Senza l’arrivo di Toto Wolff, Kimi avrebbe seguito le orme del padre nei campionati turismo. Neppure lui avrebbe potuto permettersi di diventare un pilota di Formula 1. Ma la famiglia Minardi, padre e figlio, ha notato il suo talento ed è andata a raccontarlo in giro. Anche a Toto. Mentre all’Academy ferrarista si voltavano dall’altra parte perché non ritenevano giusto investire su un ragazzo così giovane, Toto Wolff chiamava Marco Antonelli per dirgli che la Mercedes aveva deciso di prendersi cura di suo figlio e di crescerlo fino a farlo diventare pilota. La sua fortuna, perché in Ferrari magari si sarebbe perso.

La Mercedes lo ha ingaggiato quando era un bimbo, lo ha seguito e protetto non mettendo coetanei nella sua squadra giovani. Ha subito fatto capire di credere a fondo nel progetto Antonelli. Un po’ come aveva fatto Riccardo Piatti a Bordighera, quando gli portarono quel lungagnone rosso di capelli con quella parlata ancora molto alla tedesca che hanno i ragazzini cresciuti dalle sue parti. Lo ha seguito dai 13 ai 20 anni. Lo ha plasmato e oggi lo guarda volare da lontano. Toto sta accompagnando Kimi nel tragitto lungo e impegnativo da ragazzo a uomo come aveva fatto Piatti con Jannik. E qui salta fuori il primo punto in comune tra i due fenomeni: Jannik come Kimi sapevano esattamente dove volevano arrivare da quando hanno trasformato la loro passione nella loro vita. Sinner voleva diventare il numero 1 al mondo e poi restarci il più a lungo possibile, Antonelli voleva arrivare in Formula 1 e poi cominciare a vincere come ha sempre fatto nelle formule minori. “La cosa che più mi piace di Sinner è la forza mentale che manifesta durante le partite, la capacità di cambiare un match fino a ribaltarlo”. Ha detto Kimi.

Per mamma e papà non è né Kimi né Andrea, ma semplicemente “Topo”: a un anno era già nel paddock dove correva papà. Ha cominciato a camminare nei box di un autodromo quando gli altri bambini lo fanno in altri tipi di box. La sua potrebbe essere una vita da predestinato, anche se questa è una definizione che in Formula 1 non porta troppa fortuna. Jannik al tennis ci è arrivato con calma dopo esser stato una promessa nello sci, il tennis era solo un hobby all’inizio e non era certo lo sport di papà.

Jannik e Kimi sono nati sotto il segno della vergine a 5 anni e 320 chilometri di distanza. Figli della voglia di coccole autunnale quando fuori comincia a fare freddo. Un altro punto in comune tra di loro è la famiglia. Fondamentale per la loro maturazione. Famiglie diverse, Hanspeter non giocava a tennis, Marco faceva il pilota, ma basate sugli stessi valori. Anche se tra una famiglia altoatesina e una bolognese ci sarà sempre una certa differenza, i Sinner e gli Antonelli sono famiglie che si descrivono “normali e non da Mulino Bianco”, ma a vedere come hanno cresciuto i figli, proprio normali non possono essere. Famiglie che sanno stare al loro posto, anche se adesso papà Marco segue Kimi come un’ombra, dorme in camera con lui ai gran premi, è il suo primo consigliere, la sua valvola di sfogo come dopo il debutto con il botto dello scorso settembre a Monza. Anche quando lo accompagnano da papa Leone XIV, il numero uno del Vaticano, i Sinner stanno un passo indietro, orgogliosi, ma rispettosi. Le famiglie li hanno saputi proteggere senza aggrapparsi alle reti di campi da tennis o autodromi come fanno molti genitori in giro per l’Italia. Li hanno seguiti, li hanno aiutati a fare le scelte giuste, ma non sono stati di quei genitori impazziti perché avevano visto nella carriera del figlio il riscatto di una vita intera. Anche perché Hanspeter e Marco avevano nulla da riscattare: erano felici e contenti del loro mondo.

Oggi lo saranno molto di più d’accordo, sanno di non doversi preoccupare più del futuro economico dei loro figli e si dedicano solo a quello affettivo. Perché sanno quanto ne abbiano bisogno per crescere in modo sano. Jannik dopo il suo primo Slam in Australia ha ringraziato la famiglia: “Dove sono i miei genitori adesso ci sono meno venti gradi, è molto più divertente stare qui e correre sotto il sole. Vorrei che tutti avessero dei genitori come quelli che ho avuto io, mi hanno permesso di scegliere quello che volevo, anche da giovane. Non mi hanno mai messo sotto pressione. Auguro a tutti i bambini di avere la libertà che ho avuto io”, disse in mondovisione da Melbourne. Scommettiamo che quando Kimi alzerà il primo trofeo dirà la stessa cosa? Intanto in questa settimana hanno giocato in casa. Roma come Imola. Per continuare a sognare.

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