Affiora un dipinto del Castello Estense. Sul muro il mistero del pittore-fantasma

8 giu 2025

Nel solaio di un’antica villa nelle campagne del Polesine viene alla luce il disegno, sembra un bozzetto preparatorio
Sale le scale che portano all’ultimo piano, il legno che scricchiola sotto i piedi, il rumore del tempo che è passato, dei secoli. Indica una parete. Sul fondo bianco il disegno del castello di Ferrara, sembra uno bozzetto, la prima traccia di quello che dovrebbe diventare un quadro. A sinistra, un po’ fuori prospettiva, anche un campanile. I volumi, le dimensioni, le linee di una perfezione assoluta, la mano d’un artista. Un mistero, un giallo al quale Valentino Ronconi, 63 anni, cerca di dare una risposta.
Tra le pareti di quell’antico casolare – Casa Zampieri, Villanova Marchesana, pianura del Polesine per anni sotto il tallone degli Estensi –, i segni della mano di un altro artista. E’ suo nonno Oreste Busolli, che con le mani, pialle e scalpelli faceva vivere il legno. Come quel torchio in un angolo, scolpito a foggia di chiave di violino. Oppure il mostro della guerra, le fauci, una tralcio al quale è appeso un bambino. "Sembra la testa di Mussolini", sottolinea. Simboli della civiltà contadina. Ma la mente torna alla soffitta, a quel mistero impresso in una parete. E’ per Valentino un perché sospeso. Indica ancora, dice: "Sulle pareti, ormai ingiallite dal tempo, emergono ancora chiaramente alcuni dipinti murali che raffigurano il Castello Estense". Una pausa. Lo sguardo, aiutato dalla luce di un faro, si sposta un po’ più in là. "C’è un’aquila Nera, anche questo un simbolo carico di storia e significato. Il Castello Estense, con le sue torri e i suoi merli, e l’Aquila nera richiamano l’influenza della cultura ferrarese, evocando un legame con il potere signorile e con una visione del mondo ordinata attorno alla corte e alla terra". Ronconi delinea qualche ipotesi, torna alle parole che affiorano alla sua mente, parole di nonno Oreste. "Questi affreschi – riprende – forse sono stati realizzati da un artista di passaggio, un pittore famoso. E’ arrivato qui, ha lasciato la sua firma, è sparito. Un po’ come un pittore-fantasma. Testimonianze silenziose ma eloquenti di un’identità profonda e stratificata. Raccontano un mondo in cui arte, vita quotidiana e simbolismo convivevano, anche negli spazi più umili. Ebbene vorrei dare una risposta a questo mistero. Vorrei chiedere a qualche esperto, a un appassionato di farsi avanti, per chiarire, dare un nome a chi ha tracciato quell’opera".
Casa Zampieri appare tinta di rosso tra il profilo del grano, il verde ancora tenute del mais. Una terra disegnata dal fiume Po. Racconta ancora: "E’ una storica dimora, risale al XVIII secolo, c’è la casa padronale, un rustico adiacente l’abitazione. L’area antistante presenta un’aia pavimentata in cotto e un caratteristico pozzo, elementi che richiamano la funzionalità e l’estetica delle residenze rurali dell’epoca". La proprietà è privata, non è accessibile al pubblico. All’interno della casa, sculture realizzate a partire da antichi attrezzi agricoli rivisitati in chiave artistica, affascinante testimonianza della vita contadina. "E’ un museo. Queste sale aprono mondi, spaccati della vita nelle campagne", dice, mentre accarezza un mortaio grande come un uomo, di legno. "Mio nonno per scolpirlo ci entrava dentro". Strumenti, un tempo utilizzati quotidianamente nei campi, che sono opere d’arte che parlano di fatica, ingegno e tradizione. L’artista ha sapientemente reinterpretato ogni oggetto, conferendo nuova vita e significato a ciò che prima era un semplice strumento di lavoro. Ogni pezzo invita a riflettere sul valore del passato e sull’importanza della memoria delle comunità rurali.
"Vorrei che queste opere venissero salvaguardate, tutelate dalla falce del tempo", dice. Poi un appello. "Chi ama queste tradizioni, un collezionista, chi ha magari un museo della civiltà contadina potrebbe farsi avanti. Per salvaguardare queste testimonianze". Un doppio appello, per salvare una pagina di storia. Per dare un nome a quell’artista che un giorno in una soffitta tracciò il castello e l’aquila. Forse quei tratti segnati con un lapis opera di un pittore che nell’Ottocento era proprietario di quella casa. "Nonno Oreste? No, non può essere. Lui non sapeva disegnare". Un mistero, in attesa di una risposta nel vento caldo della pianura.
İl Resto Del Carlino