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Cari uomini, vi raccontiamo il punto G: la provocazione poetica di 200 donne che rompe ogni tabù

Cari uomini, vi raccontiamo il punto G: la provocazione poetica di 200 donne che rompe ogni tabù

In un mondo che ancora fatica a garantire equità di genere in molti ambiti della vita sociale, economica e culturale, i festival dedicati alle donne rappresentano molto più di semplici eventi: sono spazi vitali di riconoscimento, ascolto e trasformazione. Celebrare le donne attraverso un festival è un atto simbolico e concreto che contribuisce a cambiare la narrazione collettiva, restituendo voce, visibilità e dignità alle esperienze femminili.

Il Festival delle Lettere

Ed è proprio quello che fa il Festival delle Lettere, la prima e più importante manifestazione italiana che da 20 anni celebra la scrittura epistolare attraverso un concorso che intreccia le emozioni e le parole alle più diverse forme d’arte. Tema guida di quest’ultimo sarà Lettera a una donna: alle donne di ogni tempo che abitano e cambiano il mondo, alle loro differenze, ai loro pensieri, alle sfide che affrontano e ai desideri che coltivano, si rivolge l’edizione di quest’anno del Festival. Il tema dell’anno, così attuale e significativo, prenderà vita nella serata di anteprima del 21 giugno nel Salone Pio XII di Casa Schuster. Per la prima volta, poi, Il Festival delle lettere si articolerà in un programma esteso con mostre ed eventi che animeranno la prestigiosa location della Fabbrica del Vapore dal 26 giugno al 31 luglio 2025.

Il piacere sessuale rende più felici e aiuta a lavorare meglio
Appunti G e le 200 donne rappresentate

Attraverso spettacoli, reading, workshop, performance e una giornata (il 29 giugno) dedicata alle Donne Palestinesi con una raccolta fondi per la rete Women with Gaza, il Festival mette in luce il talento femminile in tutte le sue forme. Talento femminile che è perfettamente riscontrabile nelle fotografie di Laila Pozzo che insieme a Rita Pelusio e con la collaborazione della giornalista Assunta Sarlo ha dato vita alla mostra Appunti G. Un inedito atto artistico, collettivo e poetico, decisamente ‘pop’, per mantenere - oggi più che mai - l’attenzione su tematiche estremamente attuali, ma con spirito positivo di condivisione e unione, che ha dato vita a oltre 200 ritratti di donne e una lettera G come simbolo di identità, bellezza e libertà. Insomma, un punto, quello G, che unisce arte, corpo, sessualità, educazione e tabù culturali.

La mostra fotografica come “manuale d'istruzioni“ per gli uomini

E per capire meglio da dove è partita l’idea della mostra e se ci sono ancora dei tabù in Italia nel parlare di piacere femminile abbiamo intervistato Laila Pozzo che a Luce! ha svelato anche quali false credenze sul punto G vuole smentire.

Come è nata l’idea di questa mostra e qual è il messaggio principale che vuole/volete trasmettere attraverso questa serie di foto?

“Io sono una felice esecutrice in quanto l’idea della mostra è di quella genietta di Rita Pelusio. Quando me l’ha proposta ho fatto immediatamente atto di fede. Poi ho anche avuto un pochino di timore perché io per i lavori al femminile sono molto cauta. Trovo che sia un terreno molto scivoloso e quindi bisogna trovare una chiave nuova visti i tanti progetti. E insieme a Rita e insieme al gruppo l’abbiamo trovata nell’ironia. Perché spesso quando si parla di determinate tematiche si tende ad essere un po’ più seri. Quindi va bene farlo ma era giusto mettere un po’ di paletti. Per fortuna poi con Rita la cosa è stata semplice, è venuta naturale buttarla sull’ironia. Anche se in fotografia quest’ultima non è sempre facile da rappresentare. Per fortuna, ad essere sincera, ci hanno aiutato tantissimo le donne e quelle che abbiamo scelto. Perché inizialmente avevo deciso di fotografare soltanto le quattro protagoniste dello spettacolo teatrale. Poi abbiamo deciso di sentire anche qualche nostra amica per posare e per farci raccontare qualcosa sul piacere femminile. Nella nostra testa pensavamo di farne una trentina, poi la cosa ci è sfuggita di mano“.

Come si traduce fotograficamente qualcosa che non è visibile ma estremamente simbolico?

“Ci hanno aiutato tantissimo le donne. Noi ci siamo aiutate nella selezione di quest’ultime. E soprattutto la cosa è viaggiata molto sul passaparola. Chi ha partecipato e ha visto la spirito ci ha suggerito delle donne che potevano fare al caso nostro. Poi naturalmente il senso è stato spiegato a tutte prima del servizio fotografico perché ovviamente la maggior parte delle persone all’inizio diceva “aspetta, ma devo parlare della mia vita sessuale?“. In realtà no, è una metafora del piacere in senso lato”.

È una mostra fotografica che raffigura più di 200 donne. Possiamo affermare che, grazie ad essa, gli uomini trovano infinito materiale in cui riconoscere e riconoscersi, da cui carpire segreti e verità, fino a scoprire cosa si cela dietro e dentro una donna?

“Assolutamente sì. Per me le due cose fondamentali erano appunto questo taglio ironico e il fatto che questa mostra doveva essere materiale per comunicare qualcosa anche all’altro. L’uomo non deve essere escluso. È un progetto di base indirizzato anche gli uomini. Deve essere una sorta di manuale d’istruzioni“.

I tabù sul piacere femminile ancora presenti in Italia

Qual è stata la sfida più grande nel trattare questo tema fotograficamente? Perché comunque ha fotografato temi come uguaglianza di genere, accettazione di sé, identità, diritti ancora negati, gender gap e body positivity

“È stata una difficoltà più nella selezione delle donne. La difficoltà fotografica invece era il non cadere nella ripetitività. E di questo ho ancora molto timore. Io, infatti, all’inizio dicevo “vabbè ma dopo venti/trenta cosa vuoi fotografare ancora?“. Tanto tutte ci faranno vedere il gomito, la guancia e stop. Invece, a parte alcune donne più audaci, la cosa è stata che anche sulla stessa parte del corpo son venute fuori storie molto diverse. Abbiamo aperto un po’ il vaso di Pandora e la cosa è stata molto divertente“.

Pensa che in Italia ci sia ancora un tabù nel parlare di piacere femminile? In tal senso, la sua/vostra mostra rompe questo silenzio?

“Secondo me, anche se ci sono varie iniziative validissime, ad esempio MySecretCase dove riescono a parlare di sessualità in modo molto intelligente e giovane e fanno quello che dovrebbe fare l’educazione sessuale a scuola, rimane il fatto che è un tema un po’ antipatico. Infatti, anche noi abbiamo fatto fatica nel trovare sponsor perché le aziende che si sbilanciano su questi temi sono poche. Quindi c’è sicuramente qualche remora ancora nell’affrontare la cosa“.

I miti da sfatare

Quali miti o false credenze vuole/volete decostruire attraverso la mostra?

“L’idea è quella che, anche fisicamente, questo famoso punto G, anche se uno si sforza tanto per arrivare lì, se non si porta dietro tutto il resto non ci arriva. Forse da quel punto di vista c’è un po’ di differenza tra uomini e donne perché è un po’ più facile far arrivare i primi mentre per le seconde ci vuole un po’ più di impegno. Le donne si fanno condizionare, ci piace tutto, non è soltanto quel luogo lì specifico. Far capire che non c’è un punto geografico unico e che ognuno è diverso e quindi è inutile andare a cercalo“.

Dopo questo progetto, cosa si porta dietro, come donna e come artista?

“È stato molto interessante anche perché un’altra remora che avevo nell’affrontare questo progetto era che io sono una delle persone più astratte sulla terra. Ero un po’ terrorizzata all’inizio perché mi chiedevo se fossi la persona giusta per raccontare questa cosa. Poi devo dire che ho imparato tantissimo da queste donne. È il bello di questo lavoro e di questo progetto. Hai la possibilità di un incontro e se ne hai voglia di imparare qualcosa. E queste donne che hanno accettato avevano voglia di raccontarsi e di mettersi in gioco. Sono stati dei momenti molto divertenti“.

Luce

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