Chi sono i fratelli maggiori dell’umanità? Progetto Happiness alla ricerca della felicità tra i Kogui di Colombia

Ogni tanto bisognerebbe spegnere tutto. Spegnere il telefono, il rumore, la corsa. E imparare ad ascoltare il silenzio. Quel silenzio pieno, vibrante, che solo la natura sa creare. È quello che ho provato nella Sierra Nevada de Santa Marta, in Colombia. Lì vivono i Kogui, un popolo che si definisce fratello maggiore dell’umanità. Non per arroganza. Ma perché sente il dovere di proteggere e guidare il fratello minore – cioè noi – che ha smarrito la connessione con la Terra. Ho camminato per giorni tra montagne sacre e sentieri invisibili per raggiungerli. E, una volta accolto nel villaggio, ho capito che non avevo mai davvero ascoltato la natura.
Kogui: un incontro senza copione
Il nostro arrivo è stato preceduto da silenzi, attese, rituali. Nessun programma, nessuna scaletta. Solo fiducia e pazienza. Un bambino ci ha accolti camminando davanti a noi, come se sapesse esattamente dove condurci. Poi, l’incontro con il mamo, la guida spirituale della comunità. Il mamo non è solo un leader religioso: è un custode dell’equilibrio tra il mondo degli uomini e quello della natura. Cresciuto nell’oscurità, lontano dal rumore del mondo, impara fin da piccolo ad ascoltare ciò che noi non sentiamo più.
Ci ha osservati. Ci ha toccato le mani. Ha percepito la nostra energia, prima ancora delle nostre parole. E ci ha lasciato entrare nel suo mondo. Quel momento – intimo, senza telecamere – è stato la porta d’accesso a una dimensione diversa. Una realtà dove ogni albero ha un’anima, ogni fiume è un’arteria, ogni sasso è sacro.
I Kogui non vivono nella natura. Vivono con la natura. Tutto ha uno spirito, tutto è in equilibrio. Se prendi qualcosa – un frutto, un animale, una pietra – devi restituire. Lo chiamano “pagamento”. Un gesto simbolico, ma potente: la consapevolezza che nulla ci è dovuto. I loro abiti, bianchi e tessuti a mano, sono come preghiere da indossare. I loro passi, sempre scalzi, rifiutano il rumore del progresso. Le loro parole, poche e misurate, sono sassi che costruiscono ponti.
Nel cuore della loro spiritualità c’è un’idea semplice e rivoluzionaria: la Terra non ci appartiene. Siamo noi ad appartenere a lei.
Tre riflessioni che possiamo portare con noiCamminare accanto ai Kogui è stato un ritorno a qualcosa di essenziale. Le loro parole, i loro gesti, il loro silenzio – tutto ci ha lasciato tracce. E mentre lasciavamo le montagne, tre riflessioni sono rimaste con me. La prima è che siamo davvero fratelli minori. Non nel senso di essere meno importanti, ma nel senso più profondo: abbiamo ancora tanto da imparare. I Kogui non ci accusano, non ci giudicano. Ci invitano a ricordare. A ricordare che siamo parte di un sistema vivente, fragile e interconnesso. E che non possiamo continuare a ferirlo come se nulla fosse.

La seconda riflessione riguarda l’equilibrio. Per i Kogui non è una questione ideologica o politica. Non si tratta di essere ambientalisti, ma di ascoltare. Di rispettare. Di restituire. Il mondo, ci hanno detto, non si salva con le tecnologie, ma con relazioni più sane. Con il rispetto profondo per ogni forma di vita.
E infine, le parole del mamo mi hanno lasciato un’impronta: “Il mamo illumina come il sole, senza fare rumore”. Una guida, per loro, non impone. Non alza la voce. Non domina. Una guida accompagna, osserva, dà l’esempio. In un’epoca che sembra confondere visibilità con autorevolezza, forse è proprio questo il modello di leadership di cui abbiamo bisogno.

Prima di lasciarci, il mamo mi ha affidato un messaggio: “La Terra soffre in silenzio. Voi non l’ascoltate più. Ma potete ancora imparare". Mentre tornavo tra i rumori della città, mi sono chiesto: e se avessero ragione loro? Se per salvare il nostro futuro, dovessimo imparare ad ascoltare il passato?
*Chi è Giuseppe Bertuccio D’Angelo

Giuseppe Bertuccio D’Angelo viaggia da 10 anni alla ricerca del “segreto” della felicità. Originario di Messina, una laurea in Economia e Commercio, sta esplorando luoghi e comunità diverse in tutto il mondo, rivolgendo ai suoi interlocutori la stessa domanda: “che cos’è per te la felicità?”.
Nei suoi reportage mette in luce, da una prospettiva nuova, porzioni di realtà non documentate dal mainstream: dall’Ucraina al Brasile, dalla baraccopoli di Manila alla Corea del Nord, dai cacciatori con le aquile kazaki alle donne obese della Mauritania.
Quando è in Italia, Giuseppe Bertuccio D’Angelo è protagonista di eventi come il Tedx (Bergamo 2022) e cura progetti di formazione e consulenza in azienda. Ha collaborato con Sos Mediterranee e nel 2021 è stato a bordo della nave Ocean Viking per un mese. Oggi Giuseppe Bertuccio D’Angelo collabora con Action Aid, segue e sostiene progetti di solidarietà e di recupero ambientale. I suoi reportage raggiungono punte di 7 milioni di visualizzazioni, su LinkedIn è seguito da più di 21 mila persone e il suo canale YouTube, Progetto Happiness, conta 1.700.00 mila iscritti.
Luce