Cosa cambia in un negozio quando si impara a riconoscere i bisogni delle persone autistiche?

Nel mondo di oggi, l'inclusione non può più essere vista come un gesto di buona volontà, ma come una responsabilità condivisa. Le persone nello spettro autistico affrontano ogni giorno ostacoli invisibili che possono rendere difficili anche le azioni più semplici, come entrare in un negozio, ordinare in un bar o scegliere un paio di occhiali. I negozi, le botteghe, i bar e i ristoranti infatti, rappresentano i luoghi in cui si svolge la vita quotidiana. Se questi spazi non tengono conto delle esigenze delle persone autistiche – per esempio luci troppo forti, musica ad alto volume, comunicazione verbale complessa – possono diventare inaccessibili.
SoldAut, il commercio che accogliePer questo motivo, formare i commercianti a comprendere e accogliere la diversità neurologica è un passo fondamentale verso una società più accessibile e rispettosa di tutti. Ed è proprio quello che fa SoldAut, un'iniziativa nata per sensibilizzare e formare i commercianti sull'autismo che ha coinvolto 11 attività commerciali della Circoscrizione 4 di Torino. Il progetto ha offerto a commercianti e operatori l'opportunità di acquisire competenze specifiche, confrontarsi e trasformare il proprio approccio, rendendolo più attento, accogliente e accessibile. Non teoria astratta, ma formazione vissuta nel contesto reale, direttamente nei negozi, attraverso storie, esempi concreti, momenti di ascolto e confronto.
A guidare questa esperienza, quattro professionisti con esperienza e cuore: Giuseppe Cimmino, Daria Fera, Matteo Barosso e Gianluca Carcangiu, quest'ultimo ideatore del progetto e figura chiave nella costruzione del metodo di lavoro. In sei giornate di lavoro, tra gennaio e marzo 2025, il team ha incontrato le attività nei loro spazi: abbigliamento, ottica, profumeria, immobiliare, sport, libri, bar, parrucchieri. Luoghi quotidiani che, attraverso questo percorso, hanno riscoperto il proprio ruolo sociale.
Insomma, SoldAut è molto più di un corso: è una leva di cambiamento culturale, un ponte tra il mondo neurotipico e quello neurodivergente, e un passo concreto verso una società dove la diversità è accolta, compresa e valorizzata.

E per capire dove è nata l'idea del progetto, quali sono stati i temi trattati durante la formazione dei commercianti e quali le principali difficoltà abbiamo intervistato proprio Matteo Barosso e Giuseppe Cimmino che a Luce! hanno svelato anche i loro prossimi obiettivi.
Partiamo dal principio. Come è nata l'idea dell’iniziativa e quanto vi rende orgogliosi il fatto di aver ideato un progetto unico nel suo genere?
Barosso: “SoldAut nasce in realtà con OpenAut che è la versione 1.0. Ci siamo accorti con la Circoscrizione 4 di aver in mente un bisogno comune che avevamo notato all'interno della comunità. Che era quello di essere il più inclusivi possibili. L'idea che ci è venuta con il primo progetto di OpenAut era quella di provare a formare più persone possibili per rendere la nostra comunità semplicemente più inclusiva. E' così che nasce OpenAut che è stato un progetto pilota rivolto principalmente a professionisti del settore quindi a insegnanti, educatori, docenti, tecnici sportivi. Si sono seguite un sacco di figure professionali dai disability manager a esperti di pedagogia.All'interno di questo percorso arriva l'idea di SoldAut. Nel senso che parlando con genitori che hanno partecipato a questo corso, con famiglie che abbiamo coinvolto, è venuta fuori, l’esigenza di provare a parlarne con i commercianti per cercare di iniziare a creare quello che è un termine a noi molto caro che è la rete. Abbiamo coinvolto più o meno 35 attività che ci hanno chiesto informazioni e come funzionasse questa formazione. Noi ce la siamo comunque un po' inventata perché abbiamo cercato di documentarci e in effetti non abbiamo trovato grandi esempi simili. Alla fine, i risultati sono 11 negozi coinvolti e circa 20 persone, tra titolari e personale delle varie attività, che sono state formate rispetto a questi temi”.
Cimmino: “Il focus centrale era proprio quello di divulgare la cultura dell'autismo. In che senso? Utilizzando una terminologia non aulica. Il nostro obiettivo non era quello di laureare su un master in autismo delle persone che vengono da mondi completamente differenti. Il lavoro è stato quello di cercare un linguaggio estremamente comprensibile, chiaro ed efficace per l'uomo di strada ma anche per l'analista, per la parrucchiera, e per le persone che vengono da esperienze differenti. E da qui si è aperto un mondo perché non avevamo idea che una piccola attività commerciale potesse essere così profonda, così incuriosita e così disponibile a dedicarci il loro tempo. Tutte le persone hanno deciso volontariamente e con una forte motivazione di partecipare a questo progetto per capirci qualcosa in più sia per una cultura e per una conoscenza personale sia perché comunque può essere anche un business accogliere persone con disabilità. Un altro focus poi era quello di smontare quell'idea di pietismo che gravita attorno alla disabilità. Noi parliamo di persone, di un approccio per migliorare e per dare delle conoscenze, per accogliere persone che hanno una sensibilità sensoriale completamente diversa. Un aspetto trattato è stato proprio quest'ultimo. Si è parlato di cosa da fastidio, di cosa può piacere”.
Quali sono stati i temi principali trattati durante la formazione? Ad esempio sensibilità sensoriale, comunicazione, gestione di crisi?
Cimmino: “In realtà già la crisi diventa un po' più complessa perché non è detto che una persona con autismo debba avere per forza una crisi. Gli abbiamo dato dei piccoli segnali che potessero far capire quali poteva essere eventualmente una crisi. Infatti nel caso fosse capitata gli abbiamo detto di provare ad immaginare all'interno dell'attività uno spazio calmo, uno spazio tranquillo, uno spazio amico dei sensi dove la persona con autismo può un attimino mettersi là. Abbiamo consigliato, ad esempio, se era possibile all’interno dell’attività, di guardare le fasce orarie in cui i clienti neurotipici erano meno presenti per far sì che il negozio diventasse ancora più accogliente per le persone con autismo. In che modo? Anche semplicemente togliendo dei profumatori che potevano essere fastidiosi a causa di forti odori per le persone con autismo. Ma anche luci, neon, ventole. A secondo poi delle idee si è andati ad intervenire. Come, per esempio, con un ottico abbiamo realizzato delle storie sociali. In realtà sono delle immagini dove l'ottico spiega come utilizzare quell'apparecchio e cosa c'è all'interno del negozio”.

Quali sono state le principali difficoltà?
Barosso: “Per fortuna, per quanto riguarda il fatto dell'approcciarsi alla creazione di questo progetto, abbiamo subito trovato un fil rouge tra di noi. La difficoltà era nell'aspettativa, di non sapere bene cosa ci poteva aspettare. Poi di volta in volta abbiamo molto ragionato su come fossero andati i primi appuntamenti. Andando avanti siamo stati molto felici nel vedere che la maggior parte dell'attività commerciali avevano tantissimi strumenti. Ma in realtà se sei un negoziante sei già una persona molto empatica, che ascolta molto il cliente, che cerca di capire. Quindi abbiamo semplicemente fatto vedere loro che tutti questi strumenti che già c'erano potevano essere usati anche in un'altra maniera. La difficoltà invece dal punto di vista dei commercianti sono state principalmente tecniche. Anche perché abbiamo trovato delle persone molto disponibili, che avevano molto voglia di raccontare di cosa era successo loro, delle loro esperienze. Anche coraggiose perché alcuni ci hanno davvero aperto la porta di casa”.
Cimmino: “Con i commercianti l'unica difficoltà è stata nei minuti iniziali. Perché pensa di essere un commerciante che ci apre la porta di casa e vede entrare queste persone di cui non conosce praticamente nulla. Quindi cercare quel contatto per porsi alla stessa dimensione. Superati quei minuti iniziali di diffidenza, comunque dovuta dal fatto di una non conoscenza, è stata una cosa da vivere sul momento”.
Quindi gli unici “ostacoli“ che avete riscontrato nella diffusione di una cultura dell'inclusività nei contesti commerciali sono stati quei minuti iniziali?
Barosso: “E’ un po' il rompighiaccio di una relazione che si sta creando. Il commerciante pensa che tu vada a spiegargli come si deve comportare. Invece l'obiettivo nostro era rendere tutto nella normalità di una chiacchierata semplice tra persone“.
Cimmino: “Infatti la seconda domanda che avevano pensato attraverso il format che avevamo preparato era proprio ‘ti è mai capitato di aver avuto a che fare con persone con autismo? E che tipologia di difficoltà hai incontrato?’ Quindi era una domanda estraneamente personale. E da lì è venuto fuori che qualcuno aveva un figlio, un altro il nipote. Comunque un coinvolgimento personale che ha reso questo persone a volerne saperne di più“.
Cosa può fare concretamente un commerciante, anche da solo, per essere più accogliente verso una persona autistica?
Barosso: “Che ogni attività riesca a produrre una storia sociale che è un po' anche l'obiettivo minimo che ci siamo dati per la buona riuscita del nostro messaggio. La storia sociale per le persone con lo spettro autistico è molto importante perché possono vedere chi ti accoglie, cosa potrebbe succedere, diminuisce il livello di stress possibile. Io consigliavo loro di mettere qualche cartello all'interno del negozio. Noi abbiamo visto che all'interno della rete funzionano tante dinamiche. Il passaparola, il consiglio, il parlare di qualcosa che si è visto. E quindi è anche semplice. Noi abbiamo regalato anche una vetrofania da mettere nella vetrina con il logo del nostro progetto con scritto attività commerciale inclusiva affinché se ne potesse parlare“.
Cimmino: “La chiave di volta è sempre la conoscenza. Se io so di qualcosa o delle idee comincio ad attivare nella testa dei pensieri. Da lì poi con l'approfondimento si è andati a generalizzare quelle informazioni che poi abbiamo dato“.
Cosa avete imparato voi formatori confrontandovi con i commercianti?
Barosso: “Io non avevo considerato all'inizio quanto queste persone avessero adattato queste conoscenze semplici, complesse, profonde per la casistica di clienti che potevano arrivare nel loro negozio. E poi è stato utile vedere così tante persone motivate nel voler, attraverso il nostro messaggio, costruire una comunità giusta. Non eleggersi a paladini per fare un qualcosa di speciale, ma semplicemente, da buon cittadino, costruire appunto una comunità giusta”.
Cimmino: “Il fatto di vedere che c'è del bene reale. Vedere che effettivamente delle persone si sono predisposte ad aiutare l'altro ma non per quella modalità che la devo fare, che sono obbligato. Ma proprio perché c'è un reale interesse nel prendersi cura dell'altro. Creare una rete reale fatta di persone è un qualcosa che in questi tempi ti fa dire ma davvero è così? Nonostante si viva in città dove non c'è mai tempo per soffermarsi, per guardarsi negli occhi, quella lentezza, quella connessione, quella rete di persone che si guarda è qualcosa di magico”.
Quali risultati concreti avete ottenuto dal progetto in termini di inclusione e miglioramento dell'esperienza per le persone autistiche?
Barosso: “I risultati si possono quantificare nel quanto siamo stati attenzionati durante questo periodo. Con le formazioni da fine inverno siamo andati avanti per tutta la primavera. Non tutte le attività in cui siamo andati siamo riusciti a produrre una storia sociale. Siamo riusciti ad avere una buona partecipazione nell'evento conclusivo. E soprattutto stiamo iniziano a parlare della possibilità di formare anche altri commercianti. Non solo a Torino, ma anche in altri comuni. Sicuramente staremo per partire con Settimo Torinese ma probabilmente anche con Beinasco. Vorremmo creare un qualcosa di ancora più grande. Una sorte di rete anche all'interno del web per permettere uno sviluppo di questo tipo di commercio. Siamo contenti che si possa divulgare il verbo. Abbiamo chiuso la maggior parte delle formazioni dicendo che stiamo lavorando per costruire una società giusta”.
Cimmino: “Vedere persone che ti inviano le storie sociali, le foto, i feedback che hanno sui loro social, significa che sei riuscito a portare a termine il tuo progetto”.
Nel 2026 il progetto arriverà anche a Settimo Torinese, per dare continuità e ampliare una rete sempre più consapevole e solidale. Non vi volete fermare mai
Barosso: “Probabilmente le idee che abbiamo avuto rispondono ad un bisogno che c'è realmente all'interno della società. Noi ce ne siamo accorti perché c'è subito venuto in mente. Probabilmente c'è qualcun altro che si sta trovando un po' nel nostro modo di pensare e di ragionare. Speriamo di non fermarci. Credo che questo progetto sia veramente un grande valore aggiunto. Non riesco a pensare ad un amministratore, anche solo locale, che non voglia che questo tema realmente venga trattato all'interno del commercio”.
Cimmino: “E poi è divertentissimo andare in giro a raccontare e a fare formazione”.
Luce