Cosa cambia per le donne con la nuova direttiva europea che obbliga le aziende a dire quanto pagano

Con la Direttiva UE 2023/970 sulla Trasparenza Retributiva, l’Unione Europea continua il suo percorso verso la parità salariale. Si tratta di un'occasione concreta per gli Stati membri di promuovere equità sociale e culturale, agendo su uno dei principali indicatori di disuguaglianza: il gender pay gap. Entro il 7 giugno 2026 i Paesi europei dovranno recepire la direttiva nelle proprie legislazioni e le aziende dovranno di conseguenza adeguarsi a disposizioni complesse riguardanti la trasparenza salariale, la gestione delle disparità retributive e la rendicontazione sul divario retributivo di genere.
Per comprendere al meglio le novità introdotte dalla Direttiva, la sua importanza e i suoi possibili effetti per lavoratrici e aziende, abbiamo intervistato l’avvocato Alessandra Garzya, partner della global law firm DLA Piper e esperta di diritto del lavoro.
DLA Piper ha inoltre organizzato, per aziende e professionisti interessati a comprendere i cambiamenti che la Direttiva porterà sul piano organizzativo, giuslavoristico e gestionale, l’evento “Parità salariale, come portare in azienda la Direttiva 2023/970”. L’incontro si terrà martedì 18 giugno alle ore 17.00 presso la sede dello studio in via della Posta 7 a Milano.
Partiamo dal quadro generale: come nasce la Direttiva UE 2023/970 sulla Trasparenza Retributiva?
Alla base di questa direttiva ci sono i dati statistici: l'Unione Europea ha rilevato che le donne guadagnano in media il 13% in meno degli uomini. Questo divario, conosciuto anche come Gender Pay Gap, è causato da molteplici fattori: non soltanto da una discriminazione diretta fra uomo e donna, ma anche da una diversa distribuzione del carico familiare, e dal fatto che le donne, per ragioni culturali, si accontentano di fare lavori che hanno meno responsabilità.
Bisogna notare anche che, sempre secondo le statistiche europee, il divario retributivo dipende anche dai settori in cui le donne tendono ad operare e dalla contrattazione collettiva di quel settore. Un esempio per tutti, il settore delle pulizie o del lavoro domestico che è comunemente più dedicato alle donne che agli uomini. Bisogna quindi considerare che il dato statistico è anche frutto di questo divario e che potrebbe non essere un dato sempre esatto.
In Italia il dato è diverso: si orienta più o meno sul 5%. Tuttavia, anche in questo caso si tratta di un dato falsato da una bassa presenza delle donne nei ruoli dirigenziali che normalmente offrono una più alta retribuzione.
Qual è l’obiettivo principale che la Direttiva si propone di raggiungere?
La direttiva rappresenta l'ennesimo tentativo - già fatto in diversi trattati europei - di ridurre il più possibile il divario retributivo fra lavoratori e lavoratrici. Il legislatore comunitario ha deciso di cambiare le regole per cercare di intervenire ulteriormente su questo divario: fino ad oggi tutte le leggi - anche nazionali - riguardanti il Gender Pay Gap si basavano principalmente su una non discriminazione durante il rapporto di lavoro. Questa direttiva si focalizza anche e su altri temi, forse più rilevanti, come quello dell'accesso al lavoro e del processo di ricerca e selezione.
L'obiettivo centrale della Direttiva UE 2023/970 è quello di ridurre il divario non sono soltanto nelle fasi di svolgimento del lavoro e di progressione di carriera, ma anche in quelle di accesso al lavoro.
Quali sono le principali novità introdotte dalla direttiva rispetto alla normativa attuale in materia di parità salariale e trasparenza retributiva?
Sottolineo che al momento parliamo di una direttiva europea, che dovrà essere recepita dal legislatore italiano con una legge nazionale entro il 7 giugno 2026. Quindi per sapere esattamente quali saranno le novità nel nostro Paese, dovremo aspettare.
Possiamo però parlare intanto di cosa prevede la direttiva: per prima cosa, la trasparenza negli annunci di lavoro, dove dovrà essere indicata l'offerta retributiva, piuttosto che la fascia salariale che viene offerta al candidato della figura ricercata.
Inoltre, il legislatore comunitario ha inserito il tema del diritto all’informazione: i lavoratori hanno diritto a richiedere i dati retributivi di chiunque per valutare se - a parità di ruolo e di valore professionale apportato - ci sia o meno una discriminazione. Da sottolineare che quando ci si trova a gestire un contenzioso sul tema della i discriminazione, l’onere della prova è molto difficile da assolvere Quanto previsto dalla direttiva agevolerebbe certamente il compito.
Si è imposto poi alle aziende con più di 100 dipendenti di fornire dei report periodici contenenti dati sul gender pay gap. Questo sicuramente porterà a una trasparenza maggiore. Un’altra delle innovazioni della direttiva è la valutazione congiunta: ove dalle verifichi dovesse emergere una disparità di trattamento retributivo superiore al 5%, le aziende sarebbero tenute ad analizzare attentamente le ragioni del divario e poi correggere queste disparità.
Ovviamente saranno poi previste sanzioni dagli Stati membri nell'ipotesi in cui queste previsioni fossero violate. Sebbene in Italia non siano stati ancora avviati i lavori per recepire la Direttiva, come DLA Piper consigliamo a tutte le aziende di iniziare il processo di adeguamento perché sarà molto lungo e articolato.
La direttiva affronta anche il tema della “discriminazione intersezionale”. Cosa significa esattamente questo concetto in ambito lavorativo?
Si tratta di una parola complessa per un concetto molto semplice: la discriminazione intersezionale si verifica quando un soggetto subisce discriminazioni che possono essere di diversa natura e che si sovrappongono rispetto alla propria identità di genere o etnica, alla presenza di disabilità, all’orientamento sessuale. La direttiva chiede agli Stati membri di tener conto, nei provvedimenti attuativi della direttiva stessa, anche del fatto che una persona può essere discriminata in maniera intersezionale. Quello che chiede il legislatore europeo è di attuare misure contro la discriminazione che non sia soltanto legata al Gender Pay Gap, ma che tenga conto anche di altri elementi che possono diventare discriminatori.
Secondo Lei, questa direttiva può contribuire anche a un cambiamento culturale più profondo sul posto di lavoro, oltre che normativo? Come?
Nel corso degli anni abbiamo fatto tantissimi passi avanti e l’attenzione alla discriminazione in ambito lavorativo è sempre maggiore. Nella mia personale opinione, mi rendo conto che spesso – anche per il carico di lavoro di cura e familiare che citavo prima – noi donne ci “auto-discriminiamo”: non ci candidiamo per posizioni o lavori che potremmo fare ma che ci sembrano troppo impegnativi o di troppa responsabilità. Questa disparità retributiva dipende anche da questioni culturali, dal fatto che siamo abituate ad accontentarci, anche in ambito salariale. Non so se basteranno le leggi a cambiare questo tipo di posizioni, perché dovrebbe cambiare anche la mentalità. In ogni caso, mi auguro che questo sia un passo in più.
Luce