Cosa ci dice dell’opinione pubblica la polemica sulla pubblicità dei jeans di Sydney Sweeney

Ad ogni epoca il suo scandalo. I più adulti ricorderanno sicuramente le pruriginose polemiche innescate negli anni Settanta dai manifesti pubblicitari del marchio Jesus Jeans, che divennero uno dei capi cult di tutto il decennio, grazie al maestro della provocazione Oliviero Toscani e alla creatività ironica di Emanuele Pirella. Un fenomeno mediatico e commerciale che fece scalpore in un’Italia appena uscita dal Sessantotto, ma ancora profondamente bigotta. Tanto che quelle immagini di carnalità opulenta e ammiccante, avvolte nella robusta tela di jeans chiamati, con tono considerato blasfemo, con lo stesso nome del “Figlio di Dio”, scatenarono una vera e propria campagna di boicottaggio, una denuncia, e perfino un intervento di Pier Paolo Pasolini. Sul Corriere della Sera, infatti, pubblicò un commento intitolato “Il folle slogan dei jeans Jesus”, definendo quella pubblicità “il nuovo spirito della seconda rivoluzione industriale”, anticipatore dei valori in via di trasformazione.
Oggi tocca alla nuova campagna pubblicitaria di American Eagle, con protagonista Sydney Sweeney — attrice della serie Euphoria, della rom-com Tutti tranne te, del film in uscita Christy, dedicato alla pugile Christy Martin, e forse futura Bond girl. Al centro delle polemiche, lo slogan “Sydney Sweeney has great jeans”, che sembra alludere a un gioco di parole tra “jeans” e “genes” (geni). Prima negli Stati Uniti, poi in tutto il mondo, si è acceso il dibattito sui possibili richiami a ideologie razziste e concetti legati all’eugenetica.
Tanto che molti hanno parlato di “retorica suprematista mascherata da moda”. Sui social e nei talk show, diversi opinionisti statunitensi hanno bollato la campagna come intrisa di razzismo, arianesimo, se non addirittura nazismo. Sul fronte opposto, personaggi come Stephen Colbert – uno dei volti più amati del piccolo schermo americano – parlano di “una reazione un po’ troppo scomposta”. Il vicepresidente JD Vance, rivolto agli indignati, la butta invece sul piano politico scrivendo: “Non avete imparato niente dalle elezioni del novembre 2024? A quanto pare, pensate che dare dei nazisti a chi trova la Sweeney stupenda sia una grande strategia”.
Di sicuro, se l’obiettivo era attirare l’attenzione sul claim della campagna – e dunque sul prodotto – il successo pubblicitario è innegabile e ha polarizzato l’opinione pubblica, soprattutto statunitense. La campagna di American Eagle ha ottenuto l’approvazione dell’area conservatrice americana, che l’ha subito adottata come simbolo della sua opposizione a ciò che definisce eccessi del “politicamente corretto” e della cultura “woke”. A contribuire a questa lettura c’è anche il fatto che Sydney Sweeney è un’attrice originaria di Spokane, città nel nord-ovest degli Stati Uniti spesso associata a valori più tradizionalisti e a un contesto culturale conservatore.
In ogni caso, l’episodio riflette un cambio di tendenza che diversi analisti hanno già segnalato: in un clima segnato dal ritorno sulla scena di Donald Trump, anche il mondo della pubblicità sembra riscoprire linguaggi e riferimenti più convenzionali, dopo anni in cui l’enfasi era posta su inclusività, diversità e progressismo.
Luce