Cosa ci dice sull’Italia la proposta di Glovo ai suoi rider: lavorare sotto il caldo estremo per pochi centesimi

Con l’arrivo delle ondate di caldo estive, che hanno portato le temperature di alcune città a toccare anche i 40 gradi, uscire di casa è diventato un’impresa e la possibilità di farsi arrivare il pranzo o la spesa a casa diventa una salvezza. Ma non per i rider delle compagnie di delivery, che si trovano ad effettuare consegne in scooter o in bici attraversando temperature proibitive. Per cercare di far fronte a questa situazione difficile, Glovo ha introdotto un cosiddetto “bonus caldo”: una maggiorazione percentuale (dal 2% all’8%) del compenso per consegne effettuate sotto il sole torrido tra luglio e agosto. La percentuale corrisponde a un minimo di circa 5 e un massimo di 20 centesimi per consegna. La misura è stata definita “compensativa” dall’azienda, ma bollata come un “incentivo pericoloso” da sindacati, lavoratori e istituzioni per il rischio concreto di spingere i più precari ad accettare ruoli a rischio solo per pochi centesimi di euro in più.
Come funziona il bonus… e quanto vale davveroL’introduzione del bonus è stata annunciata ai lavoratori di Glovo tramite una mail: “L’aumento delle temperature in diverse zone d’Italia ci impone di prestare particolare attenzione a chi lavora all’aperto” si legge all’inizio della comunicazione. “La tua sicurezza è la nostra priorità. Sappiamo che l’emergenza calore in corso possa comportare costi imprevisti per proteggerti. Per questo motivo, se effettuerai consegne con Glovo nei mesi di luglio e agosto, avrai diritto a un contributo economico per l’acquisto di crema solare, sali minerali e acqua”, continua il messaggio di posta elettronica.
La compagnia ha comunicato che la maggiorazione cambia a seconda delle temperature: tra 32 e 36 gradi, il bonus è del 2% (circa 5 cent per una consegna da 2 euro e 50 centesimi); tra 36 e 40 gradi, è del 4% (circa 10 cent), oltre 40 gradi, sale all’8% (circa 20 cent) per ogni ordine completato. Il pagamento, però, non avviene immediatamente: il premio sarà erogato cumulativamente nella fattura del 21 settembre. Gli eventuali costi di “crema solare, sali minerali e acqua” incentivati da Glovo dovranno quindi essere anticipati dai rider.
Compenso o “incentivo perverso”?Il sindacato Nidil Cgil ha fortemente criticato l’iniziativa, definendola un “incentivo perverso”, che trasforma un fattore di rischio per la salute in una risorsa economica: “Abbiamo ritenuto grave il messaggio implicito di questa comunicazione, che rischia di trasformare un pericolo per la salute in un incentivo economico” ha commentato il sindacato, che ha inviato una lettera formale a Glovo sottolineando che “nessun compenso può giustificare il lavoro in condizioni di rischio estremo”. Nidil sottolinea come il lavoro dei rider li esponga “direttamente al sole, spesso senza la possibilità di riparo” e che lo stress termico, secondo il D.lgs. 81/2008, deve obbligatoriamente essere valutato e prevenuto dall’azienda, in quanto rischio per la salute. “Abbiamo quindi chiesto all’azienda di correggere immediatamente la comunicazione, chiarendo che: In caso di ondate di calore con livello “alto”, l’attività deve essere sospesa. La salute viene prima dei bonus”, ha dichiarato il sindacato delle Nuove Identità di Lavoro.
L’azienda si è difesa, spiegando che il bonus sarebbe una “misura compensativa”, non un incentivo per il lavoro in condizioni difficili: “L'attuale modello di collaborazione garantisce a ciascun rider la massima libertà di scelta su quando e come lavorare, anche in presenza di condizioni climatiche difficili. In questo contesto, il cosiddetto bonus previsto durante i periodi di caldo estremo nasce come una misura compensativa e non rappresenta in alcun modo un incentivo alla prestazione”, ha dichiarato la compagnia.
Nel frattempo, nel corso di queste ondate di caldo, diverse Regioni hanno emanato ordinanze per vietare il lavoro nelle ore più calde per le attività lavorative svolte all’aperto: divieti simili sono stati imposti in Lombardia, Abruzzo, Emilia Romagna, Veneto e Basilicata. Se queste regioni fanno riferimenti al settore edile, ai lavoratori agricoli e delle cave e alla logistica, la Regione Piemonte ha invece esplicitamente inserito nell’ordinanza “anti-caldo” anche i lavoratori delle piattaforme di delivery: da ieri nella regione è attiva un’ordinanza che vieta le consegne tra le 12:30 e le 16:00 nei giorni bollino rosso.
Perché il bonus caldo non bastaDietro il “bonus caldo” di Glovo si nasconde una logica che fa discutere: affrontare un’emergenza climatica con uno strumento economico simbolico. Ma le criticità sono molteplici, e il bonus – così com’è stato concepito – non appare in grado di offrire una reale tutela per i rider. In primo luogo, anche nella sua forma più generosa (8% per temperature superiori ai 40 gradi) il bonus si traduce in una manciata di centesimi a consegna. Nella realtà operativa, questo significa che – anche lavorando diverse ore – il rider riesce a ottenere al massimo 4 o 5 euro in più per turno. Troppo poco per rappresentare un vero risarcimento e troppo pericoloso se diventa una spinta ad accettare consegne in condizioni limite.
Inoltre, si tratta di una soluzione individuale a un problema collettivo: il bonus si attiva solo se il rider decide, da solo, di continuare a lavorare. Nessuna sospensione delle attività, nessuna riorganizzazione dei turni, nessuna limitazione nei momenti più critici. Non si introduce una regola che protegge tutti: si offre un incentivo a chi accetta il rischio. Il risultato è che la piattaforma si deresponsabilizza, mentre il lavoratore è spinto a scegliere tra salute e guadagno. Mancano poi le tutele vere: pause obbligatorie, accesso gratuito all’idratazione, riparo nei momenti più critici. Manca, soprattutto, un modello organizzativo che anteponga la sicurezza alla produttività.
Infine, in un sistema a cottimo, senza contratto, senza malattia, senza ferie, un compenso extra può suonare come un’esca e rischia di rafforzare l’idea che il rischio si possa monetizzare. È un meccanismo tipico della cosiddetta “gig economy”, dove i lavoratori sono formalmente autonomi, ma nella pratica vincolati da algoritmi, pressioni implicite e assenza di alternative. In questo contesto, pochi centesimi possono orientare scelte che mettono a repentaglio la salute.
In definitiva, il bonus caldo appare come una toppa mal messa su una falla strutturale: quella dell’assenza di diritti pienamente esigibili per migliaia di lavoratori che tengono in piedi il sistema delle consegne a domicilio. Serve ben altro che una percentuale in più. Serve una riforma del modello, che metta al centro la salute, la dignità e la sicurezza, non il profitto delle piattaforme.
Luce