Frammentare l’Iran: la nuova strategia USA-Israele

Negli ambienti militari e diplomatici di Washington e Tel Aviv prende corpo una strategia che punta a minare la coesione interna dell’Iran, replicando in Medio Oriente quanto avvenuto in Ucraina dal 2014 in poi. Non si tratta più solo di sanzioni o pressioni diplomatiche, ma di una visione geopolitica che mira a scomporre le strutture centrali iraniane, sia dal punto di vista istituzionale che economico, incoraggiando la frammentazione e promuovendo realtà locali più gestibili o filoccidentali.
L’obiettivo è chiaro: disarticolare Teheran e neutralizzarne l’influenza regionale. Un Iran instabile non potrebbe più sostenere Hezbollah in Libano, influenzare gli equilibri in Iraq o contrastare la supremazia sunnita in seno al Golfo. Questo schema punta a isolare la Repubblica Islamica, incanalando il conflitto in forme indirette e distribuite, riducendo il costo politico e militare per gli alleati occidentali.
Azerbaigian: portaerei terrestre per Israele (e provocazione verso Mosca)In questo contesto, l’Azerbaigian emerge come una vera e propria “portaerei terrestre”. Teheran ha più volte accusato Baku di aver concesso l’uso del proprio spazio aereo per operazioni israeliane sul suolo iraniano — accuse che il governo azero respinge, ma che trovano eco nel crescente coordinamento tra le forze armate dei due Paesi (aze.media).
A rafforzare l’impressione di una nuova alleanza, il deterioramento dei rapporti con Mosca: scambi di arresti diplomatici, cancellazione di eventi congiunti e crescente diffidenza segnalano un cambio di paradigma nella postura azera, ora sempre più orientata verso l’asse atlantico-israeliano (washingtonpost.com).
Per Israele, questo asse strategico rappresenta un’opportunità operativa senza precedenti. Baku potrebbe fungere da base avanzata per cyber-attacchi, incursioni di droni o sabotaggi mirati — uno scenario che complicherebbe notevolmente le capacità difensive iraniane, già sotto pressione da un embargo internazionale permanente.
Sinergia Russia‑Iran e la stabilità del CaucasoLa Russia osserva con allarme questi sviluppi. Per Mosca, l’Iran è un partner irrinunciabile nella stabilizzazione del Caucaso meridionale. Un collasso della Repubblica Islamica o una sua disgregazione politica rappresenterebbero una minaccia diretta alle repubbliche meridionali della Federazione Russa e ai suoi corridoi logistici verso l’Armenia e la Georgia.
La cooperazione russo-iraniana non è dunque solo tattica, ma rientra in un disegno più ampio di contenimento dell’espansione NATO lungo i confini euroasiatici. Un Iran frammentato equivarrebbe, per la Russia, a una perdita strategica enorme, non solo in termini di influenza ma anche di sicurezza interna.
La Siria come campo di battaglia post‑curdoNel frattempo, la Siria torna a essere teatro di nuovi giochi geopolitici, ora nella fase post-curda. La Turchia ha intensificato le sue operazioni nel nord della Siria e dell’Iraq attraverso l’operazione “Neptune/Eufrate” (2024–25), ufficialmente volta a “neutralizzare la minaccia terroristica” curda.
Ma in realtà, Ankara si muove anche per ostacolare la presenza iraniana e rafforzare i legami con Israele e Stati Uniti, in vista di un ridisegno degli equilibri post-Iran. L’obiettivo turco è duplice: ridurre lo spazio politico e militare delle forze curde e contenere l’influenza sciita, in particolare in Siria, dove Teheran ha investito massicciamente dal 2011.
Iraq e disarmo curdo: una parentesi strategicaA rafforzare questa dinamica, il disarmo del PKK in Iraq, avvenuto tra il 10 e il 12 luglio sotto supervisione di Baghdad (apnews.com), segna una svolta decisiva. Con l’uscita di scena dell’ultimo attore curdo armato, si apre uno spazio favorevole per l’espansione turca, ma anche per l’installazione di strutture logistiche e d’intelligence anti-iraniane in territorio iracheno.
Si delinea così un sistema coordinato: Baku a nord, Baghdad a est, Damasco a ovest — tutti elementi di una tenaglia strategica pensata per circondare l’Iran e minarne le capacità di proiezione regionale.
La strategia complessiva: da Iran a Caucaso, Siria, IraqLa strategia USA-Israele assume quindi una forma reticolare: non più un unico grande fronte, ma una pressione multidirezionale, fatta di alleanze tattiche, destabilizzazioni mirate e dislocamento delle forze curde.
Israele rafforza le proprie capacità offensive grazie al supporto tecnico e logistico dell’Azerbaigian; l’asse sciita Teheran-Baghdad-Damasco viene eroso; la Turchia si inserisce come partner opportunistico, utile a contenere i curdi e al contempo a limitare l’influenza di Mosca e Teheran nel quadrante mediorientale.
Infine, il Caucaso si trasforma da zona cuscinetto a teatro potenziale di scontro, in cui ogni azione azera contro l’Iran è implicitamente un’azione di logoramento anche contro la Russia. Questo nuovo triangolo operativo — USA, Israele, Azerbaigian — rischia di proiettare la guerra mediorientale oltre i suoi confini naturali, fino alle pendici del Mar Caspio.
Conclusioni e scenari futuriSe l’Iran dovesse crollare o disgregarsi, la mappa geopolitica del Medio Oriente e del Caucaso ne uscirebbe riscritta. Non solo cambierebbero gli equilibri nel Golfo, ma anche nel Levante, nel Caucaso e nel Mediterraneo orientale. Una nuova architettura di potere, sempre più sotto l’egida delle potenze occidentali, emergerebbe su rovine fragili.
Ma il prezzo di questa strategia è alto. Ogni movimento porta con sé il rischio di escalation non controllabili: un raid mal calcolato, un’offensiva turca troppo aggressiva, una reazione russa inattesa.
Il 2025 rischia di essere l’anno in cui questi scenari non resteranno più ipotesi di analisti, ma si tradurranno in eventi reali, con conseguenze potenzialmente devastanti per l’intera regione.
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