GENOCIDIO IN PALESTINA/ I volti delle vittime sono la risposta alla menzogna di Israele

Israele continua i massacri perpetrando la sua violenza in nome di Dio. Vanno ascoltate le voci, anche ebraiche che denunciano la verità
Nei giorni della catastrofe umanitaria a Gaza si assiste alla messa in scena dell’anti-verità. Giornali italiani e non solo, opinionisti in televisione e leoni da tastiera negano la tragedia in atto: minimizzano verità, ignorano fatti, contestano dati. Tanti uomini politici, poi, preferiscono restare nella loro comodità indifferente senza analisi serie e senza azioni degne di questo nome.
Non a caso il segretario dell’ONU, António Guterres, ha parlato di “crisi morale che sfida la coscienza globale”, e ha aggiunto “non riesco a spiegare il livello di indifferenza e inazione che vediamo in troppi nella comunità internazionale: la mancanza di compassione, la mancanza di verità, la mancanza di umanità”.
E L’Osservatore Romano nei giorni scorsi ha titolato “A Gaza nessuna carestia?”, con l’immagine shock di un bambino gravemente denutrito. Il New York Times ha nel contempo pubblicato un articolo in cui si sostiene che non esistono prove che Hamas si appropriasse dei pacchi aiuto dell’ONU. La scelta di assegnare la distribuzione degli aiuti alimentari alla controversa e ambigua Gaza Humanitarian Foundation (Ghf) – che è parte del problema in atto – nasce, dunque, da una decisione scientemente falsa all’origine.
Nonostante la propaganda negazionista, ad ogni modo, i giornalisti autentici cercano di informare su quello che sta accadendo. Troppe, ormai, sono le testimonianze di dolore che ci arrivano, oltre a immagini che rendono visibile un orrore sconvolgente.
E già da molto tempo è caduta la giustificazione morale su cui si basava il massiccio intervento israeliano nella Striscia: salvare gli ostaggi dal pericoloso gruppo jihadista. La liceità della legittima controffensiva è venuta meno da quando le forze armate hanno iniziato a bersagliare non solo i terroristi di Hamas, ma anche civili, giornalisti, malati.
I morti per fame o per mancanze di cure – gli ospedali sono stati distrutti – o perché vicini a obiettivi militari non hanno portato alla restituzione dei prigionieri e hanno aggravato il numero delle vittime innocenti. La diminuzione esponenziale dei centri di distribuzione del cibo, ridotti da quattrocento a quattro, è poi diventato un impensabile atto di punizione collettiva che non salva vite, ma distrugge innocenti. Il blocco di farmaci e altri generi necessari, infine, ha accresciuto la sofferenza del popolo, causando altre vittime.
Per questi motivi due ONG israeliane (B’tselem e PHRI) e alcuni storici israeliani hanno iniziato a parlare, apertamente, di genocidio.
Omer Bartov, autore di Fronte orientale. Le truppe tedesche e l’imbarbarimento della guerra (Il Mulino 2003), ha usato il termine coniato da Raphael Lemkin, sul New York Times con un articolo molto documentato. “Sono uno studioso di genocidio. Quando lo vedo lo riconosco”.
Bartov, docente alla Brown University, è uno storico ragguardevole, che ha contribuito con i suoi studi alla conoscenza dei comportamenti strutturalmente criminali della Wehrmacht, strumento militare indottrinato contro gli untermenschen. Ebbene, lo studioso afferma che le azioni militari sono volte non solo contro i pericolosi terroristi di Hamas, ma nei confronti dell’intero gruppo etnico palestinese.
Riporta, perciò, oltre ai terribili dati sulle distruzioni delle case e delle vite palestinesi, anche alcune affermazioni come quelle di Nissim Vaturi, vicepresidente del Parlamento, che affida a Israele il compito di “cancellare la Striscia di Gaza dalla faccia della terra”.
Anche Amos Goldberg, che insegna studi sull’Olocausto all’Università Ebraica di Gerusalemme, ha usato il termine genocidio. La giusta risposta alla nefandezza atroce perpetrata dai nichilisti jihadisti, per lo studioso, autore di Olocausto e Nakba. Narrazioni tra storia e trauma (Zikkaron, 2023), è stata gravemente sproporzionata: il limite è stato ampiamente oltrepassato. Il dovere categorico del “Mai più!” è diventato un radicale “Mai più a noi!” con tutte le gravi conseguenze del caso. Ecco perché, per lo studioso, l’imperativo morale, oggi, è quello di ascoltare il grido delle vittime.
Nella sua critica al governo, l’architetto israelo-britannico Eyal Weizman ha fatto notare che la politica di massiccia colonizzazione dello spazio prevede come logica conseguenza la rimozione del nemico. Nel frattempo i ministri della Difesa Israel Katz e della Giustizia Yariv Levin, scoprendo le carte, hanno parlato apertamente di “annessione” della Cisgiordania.
Bisogna dire, peraltro, che la gravità di ciò che accade viene alimentata anche da fonti autorevoli, le quali sono in possesso dei dati effettivi. Tutti hanno il ricordo del video di Gaza City diffuso dal presidente Trump e rilanciato da tutti i media. Al posto della tragica sorte dei civili innocenti, la sostituzione con una vita di lusso per miliardari e persone celebri. Ebbene un video analogo, prodotto con intelligenza artificiale, è stato fatto vedere, recentemente, da Gila Gamliel, ministro israeliano: Gaza senza palestinesi.
Altri due ministri, cioè Ben-Gvir e Smotrich, sono stati recentemente sanzionati dal Regno Unito per avere “incitato violenze estremiste e gravi abusi dei diritti umani a danno della popolazione palestinese”.
Un altro ministro, Eliyahu, poi, aveva evocato l’uso della bomba atomica contro Gaza. A tutti è nota, inoltre, la posizione dei nazionalisti messianici, opposta a quella del rabbino Jonathan Sachs. Per gli ultraortodossi si tratta di combattere con ogni mezzo contro gli amaleciti, cioè nemici metafisici. Sachs, invece, con grande sapienza, sosteneva che la violenza non può mai essere nel nome di Dio.
In un contesto avvelenato in cui si sostiene che è morale ciò che invece è il suo contrario, accade di conseguenza l’incredibile. La superpotenza americana sanziona una donna, Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU, che ha redatto un rapporto dettagliato sull’economia di guerra e i guadagni delle imprese.
Ma cosa sostiene, in verità, chi ha uno sguardo oggettivo e non influenzabile dalle opposte propagande?
Mirjana Spoljaric, presidente della Croce Rossa Internazionale, dimostra con le sue parole e i suoi gesti che il principio di neutralità della Croce Rossa non vuol dire neutralismo morale o ignavia. Spoljaric afferma che non ci sono scuse accettabili o giustificazioni per ciò che sta accadendo a Gaza. Il tempo è scaduto, la catastrofe è ormai prossima. La gravità della sofferenza ha oltrepassato ogni confine immaginabile.
Ogni minuto senza un reale cessate il fuoco mette a repentaglio altre vite innocenti. Il livello di sofferenze prodotto indiscriminatamente è ormai un abominio. Molti bambini muoiono perché sono senza cibo. Interi nuclei familiari, poi, sono costretti a continui spostamenti senza luoghi sicuri dove riposare. Lo sgomento di chi è spossato ed è costretto ad andare avanti e indietro senza mangiare non si può descrivere. Questa orribile tragedia, perciò, per la presidente del CICR, deve finire subito e definitivamente.
Spoljaric ha pienamente ragione. Tutto è al collasso – sanità gazawi, corpo e psiche di donne e bambini, sopportazione degli anziani. Non bastano i rischiosi aiuti paracadutati dal cielo: serve la fine dell’assedio per fame con l’arrivo di massicci aiuti da terra di generi alimentari e di prodotti sanitari. Non bisogna confondere, insomma, i terroristi jihadisti, nemici della civiltà, con la popolazione civile.
Le parole di Guterres e di Spoljaric, perciò, interpellano le coscienze di tutti. Non ci si può più nascondere. ONU e Croce Rossa hanno un peso specifico che è impossibile ignorare.
In questo momento buio, perciò, stare dalla parte dei volti concreti che soffrono e del diritto umanitario porta alla fine dell’anti-verità. È una scelta decisiva: esistenziale e storica. Saremo giudicati, infatti, non solo per quello che abbiamo fatto, ma anche per quello che non abbiamo fatto.
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