INCONTRO TRUMP-PUTIN/ Tutte le debolezze che possono mettere d’accordo sul cessate il fuoco

Manovre in vista dell’incontro Trump-Putin previsto in Alaska il 15 agosto. L’Ue vuole elaborare una proposta per tenere in partita Zelensky
Chissà se alla fine l’incontro tra Trump e Putin previsto per venerdì 15 agosto in Alaska sarà giudicato dalla storia come una tappa fondamentale del conflitto ucraino o solo uno dei tanti passaggi di scena che si susseguono dal febbraio 2022.
Va detto, prima di tutto, che le illazioni che si susseguono in questi giorni sui contenuti di una possibile bozza di accordo sono appunto solo illazioni, anche perché nessuno esterno alla cerchia più stretta dei due leader sa davvero come si prospettano in partenza questi colloqui, né come si sia conclusa la missione a Mosca dell’inviato speciale americano Steve Witkoff.
Di sicuro il momento è propizio per un “cessate il fuoco”, che a questo punto potrebbe essere utile ad entrambe le parti, con Zelensky che per ora reclama l’integrità territoriale (“non regaleremo la nostra terra ai russi”), ma alla fine potrebbe essere obbligato ad accettare lo status quo.
Putin d’altronde sta vincendo sul terreno, ma i successi russi sono molto lenti e molto costosi, sia in termini economici che di perdite umane, anche se inferiori a quanto dichiarato dai media ucraini.
A parte la Crimea, che già da alcuni anni è ritornata “de facto” alla Russia, l’offensiva nel Donetsk non è travolgente ed infatti l’area non è neppure ancora tutta controllata dai russi che, in 26 mesi, in alcuni punti sono avanzati di soli 11 chilometri.
Sospendere le ostilità oggi significherebbe prendere atto che buona parte dei territori rivendicati da Mosca sono ora nelle sue mani, anche se il “cessate il fuoco” non sarebbe un riconoscimento territoriale definitivo; sapendo che poi – nella pratica – i confini provvisori spesso diventano reali. È ciò che mostra la situazione internazionale, dalla Cisgiordania alle due Coree.
Putin ha quindi interesse a proseguire nella guerra, dovendo comunque, prima di tutto, salvare il consenso interno e lo status quo?

Forse uno stop conviene anche a lui; potrebbe in cambio concedere agli ucraini la già conquistata Zaporizhzhia (con relativa centrale nucleare) “premiando” così Zelensky, che – dopo mesi di chiusura – ormai da diverse settimane si dice aperto alle trattativ,e ben sapendo che il suo potere interno si sta erodendo.
In fondo il cessate il fuoco potrebbe quindi essere utile ad entrambe le parti. Potrebbe purtroppo servire – è l’altro lato della medaglia – a ricaricare gli arsenali. La produzione militare russa sarebbe in crescita, mentre l’Ucraina è legata alle forniture occidentali, da parte di governi che le hanno concesse, ma che devono fare sempre di più i conti con le proprie opinioni pubbliche oggi più fredde nei confronti di Kiev.
Certo Zelensky non può essere umiliato, o lo sarebbero di riflesso pure i suoi alleati occidentali.
D’altronde la polveriera ucraina dà segni preoccupanti. Il presidente rischia di ritrovarsi con una forte contestazione interna e sa di non poter proseguire all’infinito con elezioni sospese e la legge marziale in vigore. È a rischio la sua credibilità democratica, che potrebbe compromettere gli aiuti occidentali, causando un loro ulteriore “raffreddamento”.
Per contro, se il momento sembra favorevole a Putin, il leader russo sa che la pazienza di Trump è agli sgoccioli essendosi il presidente americano impegnato in prima persona per risolvere la situazione: in futuro sarebbe ancora ben disposto verso Putin, se quest’ultimo ignorasse i suoi appelli?
Certamente il tycoon aveva sottovalutato le difficoltà di raggiungere un compromesso, ma ora è per lui una questione di prestigio, di visibilità e di credibilità interna ed internazionale.
Quindi Trump “deve” portare a casa un risultato prima di tutto di immagine ed a Putin non conviene perdere il più importante dei suoi interlocutori.
Sullo sfondo stanno i partner europei, che assistono dal loggione, decisamente tagliati fuori, anche se formalmente saranno più o meno coinvolti.
La Meloni avrebbe gradito Roma come luogo dell’incontro (e relative ricadute d’immagine), ma le forniture di armi all’Ucraina e l’ostilità dell’Italia hanno il loro peso. Meglio far finta di niente ed attendere alla finestra.
Ecco quindi la scelta dell’Alaska, che è terra americana ma che fu russa, con Putin che dimostra di poter impunemente girare il mondo senza curarsi dei mandati di arresto internazionali, ma con Trump che gioca in casa. È già una via di mezzo.
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