L’Italia è profondamente razzista, i rom sono meglio di voi: ma chi volete rieducare?

L'Italia razzista
I rom sono abituati a tutto questo. Hanno imparato a sopravvivere. Non so se questa società, invece, sopravviverà alla sua malattia.

Caro Direttore, ho letto il suo editoriale sui bambini rom che hanno rubato una macchina e hanno investito e ucciso una signora. Ho sentito la sua sincera indignazione. È raro, rarissimo, trovare una voce che affronti questa vicenda con uno sguardo diverso: non solo onesto e privo di strumentalizzazioni, ma anche corretto storicamente, politicamente e umanamente. Per questo le scrivo: forse anche per consolarla. Dopo vent’anni di attivismo, più culturale che politico, mi sono quasi rassegnata: il ruolo dei rom è stato, è e temo sarà sempre quello del capro espiatorio eterno. È come essere uno di quei ragnetti minuscoli, innocui, che al massimo possono pungere per difesa provocando un bruciore passeggero, ma che suscitano terrore, disgusto e, spesso, un accanimento violento e sproporzionato. Negli ultimi vent’anni ho visto decine di casi come questo. E ogni volta è lo stesso rito: un sacrificio pubblico in cui la rabbia di una società frustrata si sfoga contro chi non ha la forza di rispondere con la stessa violenza.
Avevo promesso a me stessa di non reagire più. Non volevo essere parte di questo spettacolo barbaro, di questo rito collettivo di lapidazione, messo in scena solo per “lavarsi la coscienza” in nome di una par condicio cinica: abbiamo sentito anche i rom. Ma, come sempre, l’emotività ha prevalso. Questa mattina sono stata ospite in una trasmissione. Come da copione, qualcuno ha parlato di “attitudine dei rom a delinquere”. Nessuno si scandalizzava: al massimo, un timido “bisogna educarli”. Poi mi hanno chiesto: ma davvero i bambini rom sono educabili? Mi è sembrato di leggere un documento tedesco degli anni ’30. Educabili? Io dico: i bambini rom sono fin troppo bravi, e ancora più bravi sono i loro genitori, che non insegnano a odiare chi li perseguita, nonostante lo stigma e la violenza che li colpiscono dalla nascita. Al massimo, diventano piccoli ladruncoli: e non perché sia “nella loro natura”, ma perché è l’unico modo di sopravvivere che hanno visto intorno a sé. Per molti, questo sarà un fatto di cronaca di cui tra pochi giorni non si parlerà più – un po’ di più, forse, solo perché è agosto. Per me e per tanti altri, invece, è un trauma che si riapre, un’altra cicatrice.
Perché è sempre lo stesso copione: se dodicenni italiani sparano o stuprano in gruppo una coetanea, si parla di violenza giovanile, di disagio, di famiglie fragili. Se a compiere un reato sono ragazzini rom, si chiede di radere al suolo i campi, di togliere i figli alle famiglie, di parlare di una “attitudine a delinquere” inscritta nel sangue. Per me di tutti questi problemi si dovrebbe parlare quando non succedono fatti del genere, quando tutto è tranquillo e quando si ha la serenità e la serietà di affrontare problemi complessi e delicati in modo profondo. Ma non è realistico aspettarsi la responsabilità e la serietà da questa nostra classe politica. È lì che si vede quanto questo Paese sia profondamente razzista – consapevolmente o inconsapevolmente, ma razzista. E non basta essere razzisti nel quotidiano – sputare sui rom al supermercato, cacciarli dai bar, fare leggi speciali per segregarli. No: bisogna anche esporli alla gogna, lapidarli pubblicamente, per “risanare” e “riequilibrare” una società malata che non sa più dove andare.
Caro Direttore, i rom sono perseguitati da mille anni. Hanno subito, come lei ha ricordato, un genocidio pari alla Shoah – ma che non si è concluso nel 1945. Fino agli anni ’80, in Europa, si toglievano ancora figli alle famiglie rom, si sterilizzavano le donne, si curava il cosiddetto “gene nomade” con l’elettroshock. I rom sono abituati a tutto questo. Hanno imparato a sopravvivere. Non so se questa società, invece, sopravviverà alla sua malattia.
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