La Corte di Giustizia Ue smonta il “modello Albania”

La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha chiarito che uno Stato membro può designare legislativamente un Paese terzo come “sicuro” solo se tale scelta è accessibile, verificabile e soggetta a controllo giudiziario effettivo. Detto altrimenti, uno Stato membro non può designare un Paese come “sicuro” senza poter garantire un controllo giurisdizionale effettivo e trasparente né può includere nella lista un Paese che non garantisca protezione sufficiente a tutti, anche a specifiche categorie vulnerabili.
La decisione, resa pubblica il 1° agosto, nasce da un rinvio pregiudiziale del Tribunale di Roma, cui si erano rivolti due cittadini del Bangladesh, soccorsi in mare dalle autorità italiane e condotti in un centro di permanenza in Albania, dove hanno presentato domanda di protezione internazionale. L’Italia ha risposto con procedura accelerata di frontiera e la loro domanda è stata respinta con la motivazione che il Bangladesh è un Paese sicuro.
La Corte ha stabilito che il diritto dell’Unione non osta al fatto che uno Stato membro proceda alla designazione di un Paese terzo quale Paese di origine sicuro mediante un atto legislativo, a condizione però che tale designazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo e che questo controllo verta sul rispetto dei criteri sostanziali stabilite dal diritto dell’Unione. Le fonti di informazione su cui si fonda tale designazione devono inoltre essere accessibili al richiedente e al giudice nazionale. E nessuno Stato membro può includere nell’elenco dei paesi di origine sicuri un Paese che non offra una protezione sufficiente a tutta la sua popolazione.
Questa decisione – che il Tavolo Asilo e Immigrazione definisce come «dirompente» – va a smontare il cosiddetto “modello Albania”: «le basi giuridiche su cui esso è stato costruito vengono oggi dichiarate incompatibili con il diritto dell’Unione», si legge nel comunicato. II Tavolo Asilo spiega che «la sentenza colpisce al cuore uno degli assi portanti dell’intero impianto: la possibilità di processare richieste di asilo in procedura accelerata, basandosi sulla presunzione automatica di sicurezza del Paese d’origine. Non è più possibile, alla luce della pronuncia, utilizzare atti legislativi opachi e privi di fonti verificabili per giustificare il respingimento veloce delle domande di protezione. E non è ammissibile trattare come “sicuro” un Paese che non offre garanzie a tutte le persone. È esattamente quanto avvenuto nei trasferimenti verso l’Albania e ciò rende evidente che ogni ripresa di questa pratica comporterebbe gravi violazioni e un elevato rischio di annullamento da parte dei tribunali».
In conseguenza di ciò, il Tavolo Asilo e Immigrazione «sollecita il governo a non riattivare il Protocollo Italia-Albania: una richiesta avanzata fin da prima dell’avvio delle operazioni e che ora diventa più forte nella cornice di questa sentenza. Il Tavolo Asilo e Immigrazione chiede al governo di prendere atto della pronuncia, cessare ogni iniziativa orientata alla riattivazione del Protocollo e ricondurre la politica migratoria all’interno del diritto internazionale ed europeo e delle garanzie costituzionali».
In foto, il primo ministro dell’Italia, Giorgia Meloni, con il suo omologo albanese, Edi Rama. (AP Photo/Vlasov Sulaj)
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