LA CRISI DEL LIBERALISMO/ Deenen (Usa), i diritti non bastano più, servono persone, storie e identità

Ieri al Meeting Patrick Deneen ha criticato il liberalismo: ha fallito. Serve uno Stato post-liberale che rafforzi famiglia e comunità
“La democrazia è persuasione ed è tempo di cambiare opinione sui valori cruciali. La democrazia costruisce nuove visioni del mondo, la mia mira a recuperare valori come matrimonio, famiglia, comunità”.
La politica americana, quella con la P maiuscola, sbarca al Meeting di Rimini con Patrick Deneen, professore ordinario di scienze politiche all’Università di Notre Dame, e “cattolico irlandese”, come si definisce lui stesso.
Secondo il politologo americano, che è ritenuto uno degli intellettuali più ascoltati dall’amministrazione Trump, ma che è letto con interesse anche da Obama, il liberalismo è diventato un progetto aggressivo, che ha indebolito le istituzioni, soprattutto famiglia e Chiesa, che si sono inizialmente dimostrate più resistenti al progetto liberale.
La critica di Deneen è alle fondamenta del liberalismo, che, come dice nel suo libro, “ha fallito”.
Negli ultimi decenni del ventesimo secolo, e nel primo decennio del ventunesimo, dominati dal pensiero liberale, abbiamo visto come in campo economico il liberalismo abbia dato vita a disuguaglianze economiche radicali, cresciute nel tempo ed oggi divenute un grave problema per le nuove generazioni. Il liberalismo ha indotto precarietà sempre più diffusa, ha portato all’irresponsabilità finanziaria, che poi ha generato la crisi del 2008, e a una gestione irresponsabile dell’immigrazione, con l’ideologia dei confini aperti e gli evidenti problemi di sicurezza.

Anche nel campo della sessualità le conseguenze di una visione liberale, che prescinde dal dato biologico e dalla complementarietà tra i sessi, hanno portato a sottoporre bambini a cure ormonali devastanti (oggi in molti casi sospese o limitate in diversi Stati) o a paradossi come la partecipazione di persone di sesso maschile a competizioni sportive femminili, con evidenti disparità fisiche (ora in buona parte vietate).
A Deneen risponde il prof. Joseph Weiler,habitué della kermesse riminese, che sottolinea come occorra fare una distinzione tra liberalismo come premessa organizzativa dello Stato e liberalismo come credo di un individuo o gruppo di individui.
Una democrazia liberale è, citando Churchill, la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora, ed è l’unico modo in cui persone con opinioni contrarie possano vivere assieme. Come disse anche papa Benedetto XVI, la vera religione può esistere e svilupparsi solo in condizioni di libertà e pertanto, secondo Weiler, è necessario che lo Stato difenda e tuteli la libertà, innanzitutto quella religiosa.
Secondo il giurista newyorkese, però, nello Stato moderno la maggioranza secolare sta copiando gli Stati confessionali, espellendo la religione dallo spazio pubblico e sostituendola con spazi nominalmente neutri, ma in realtà intrisi di una nuova ideologia che prende una forma quasi religiosa: il secolarismo.
Secondo Deneen, il movimento woke non è un tradimento dei valori liberali essenziali, ma la loro realizzazione finale. Grandi pensatori liberali, come John Stuart Mill, hanno cercato di rispondere alla wokeness facendo appello a grandi valori liberali di apertura, allo scambio di idee, al dialogo tra voci che costituiscono la società, ma tali appelli stanno riscuotendo poco successo e, anzi, sono a volte stati silenziati nelle università americane.
Il politologo ritiene quindi necessario un ripensamento globale per concepire un futuro nuovo che metta assieme lo sviluppo di prassi culturali e un nuovo sforzo politico. Apre quindi un dibattito su come possa essere immaginato un progetto per uno Stato post-liberale, nella coscienza che non è certamente più possibile tornare a uno Stato confessionale cristiano, ma che è possibile riprendere forti politiche che rafforzino la famiglia, ma anche le comunità, spesso minacciate non solo dall’ideologia woke ma anche dal mercato, che tende a indebolire legami e forme di appartenenza comunitarie, rafforzare l’idea di nazione, con la sua storia, la sua memoria, i suoi doveri e i sacrifici.
E così si va a delineare una politica non basata esclusivamente su un sistema di diritti individuali, ma su un uomo che si concepisce come comunitario.
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