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La lezione delle Baleari: contro l’overtourism licenziano gli influencer (e sperano di salvarsi)

La lezione delle Baleari: contro l’overtourism licenziano gli influencer (e sperano di salvarsi)

Care lettrici e cari lettori di Luce, questo articolo parla ancora una volta di overtourism. Perché di turismo eccessivo bisogna continuare a parlare, pena il dover convivere con una delle tante distorsioni dei tempi moderni, in cui tutto sembra esserci sfuggito di mano e nulla avere più una regola. Ma andiamo per gradi: ricordate la faccenda delle isole Baleari, il meraviglioso arcipelago mediterraneo della Spagna? Bene. Dopo aver lanciato più di qualche grido d’allarme per una pressione antropica in alcuni periodi dell’anno a dir poco insostenibile e dopo aver tentato di mettere in campo strategie per far fronte all’orda di persone che, complici i voli low cost e noncuranti della fragilità dei territori, alimentavano un turismo sempre più mordi (pochissimo) e fuggi (quasi subito), le amministrazioni locali hanno pensato bene di lanciarsi in un esperimento. Che, neanche a dirlo, si è rivelato fallimentare. Una débâcle.

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L’idea di affidarsi agli influencer

In sostanza, si è deciso di affidarsi agli influencer, chiedendo loro di raccontare e “socializzare” attraverso i propri canali luoghi meno conosciuti o ancora relativamente incontaminati di Maiorca, Minorca, Ibiza e Formentera. L’idea era quella di redistribuire i flussi turistici, facendo respirare le località più famose e al tempo stesso animare quelle più selvagge. Peccato che proprio quei luoghi più selvaggi avrebbero avuto bisogno di tutt’altro che animazione. E invece si sono ritrovati travolti da un assedio di avventori che poco o nulla sapevano – e volevano sapere – delle loro peculiarità. Il massimo dell’ambizione? Un selfie vista mare cristallino.

Uno dei casi più eclatanti è stato quello di Caló des Moro, una minuscola spiaggia del comune di Santanyí, a Maiorca. Da quando gli influencer hanno iniziato a puntarci l’obiettivo, l’afflusso è cresciuto a dismisura: la sindaca Maria Pons ha reso noto che ogni giorno vi arrivano oltre 4.000 persone e 1.200 auto. Un sovraffollamento che ha fatto lievitare i costi a carico del Comune per la sorveglianza e la pulizia della caletta, interamente sostenuti dalle tasse pagate dai residenti.

Marcia indietro

Alla luce di questo, l’unica scelta sensata agli occhi delle amministrazioni è sembrata quella di bloccare ogni forma di influencer marketing, nella speranza che l’effetto eco si spenga da sé. A rendere ancora più urgente la decisione sono state le proteste, sempre più accese e trasversali, che chiedono una sola cosa: difesa strenua dal turismo di massa.

Una mobilitazione che si doffonde dalle Baleari arriva fino alle Canarie e che accende i riflettori su una lunga serie di danni provocati da un turismo sregolato: tra questi, l’aumento vertiginoso degli affitti a breve termine e la cronica difficoltà a trovare casa per chi vive e lavora stabilmente in quei territori, spinto spesso a trasferirsi altrove.

Il problema è reale e l’idea di marginalizzare gli influencer sembra poco più di una toppa su una falla sistemica. Il turismo, per funzionare, ha bisogno di pianificazione. Ma la deregolamentazione accelerata dalla digitalizzazione ci ha proiettati nella direzione ostinatamente contraria. Quelli bravi in economia potrebbero dire che – forse – una politica dei prezzi aiuterebbe, scommettendo più sulla qualità che sulla quantità. Ma la questione sarebbe spinosa e, in un certo senso, anche un tantino antidemocratica, almeno nella sua accezione più ampia. Certo, se ci fosse un pizzico di coscienza collettiva, tutto potrebbe autoregolarsi. Ma, si sa, la speranza è l’ultima a morire.

Luce

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