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Le donne non stanno rinunciando alla maternità: è l’Italia che le costringe a farlo

Le donne non stanno rinunciando alla maternità: è l’Italia che le costringe a farlo

Ogni anno Save the Children pubblica “Le equilibriste – La maternità in Italia”, un rapporto che fotografa senza sconti la condizione delle madri nel nostro Paese. Il decimo rapporto, pubblicato il 6 maggio 2025, conferma che essere madri in Italia significa ancora oggi affrontare ostacoli sistemici: carenza di servizi, scarsa flessibilità, solitudine, e – nel caso delle madri single – un alto rischio di povertà. Ne abbiamo parlato con Antonella Inverno, capo del dipartimento ricerca e analisi di Save the Children, che ci ha guidati tra dati, criticità e prospettive di cambiamento.

Il divario tra madri e padri

Il divario occupazionale tra padri e madri con almeno un figlio minore resta abissale: quasi 29 punti percentuali nel 2024. A pesare non è un solo fattore, ma una rete intricata di cause: modelli culturali ancora radicati, politiche pubbliche deboli e una distribuzione del lavoro di cura tutt’altro che equa. “Le madri in Italia – afferma Inverno – sono costrette ogni giorno a fare le equilibriste: lavoro, figli, casa e, se va bene, un po’ di tempo per sé. Il risultato è che una donna su cinque smette di lavorare dopo essere diventata madre”.

Secondo l’Istat, nel 2022 la retribuzione oraria media si attestava a 15,9 euro per le donne e 16,8 euro per gli uomini
Secondo l’Istat, nel 2022 la retribuzione oraria media si attestava a 15,9 euro per le donne e 16,8 euro per gli uomini

I padri, intanto, restano spesso ai margini di questa equazione. Il congedo di paternità in Italia non è ancora uno strumento per tutti. E sebbene alcune aziende inizino a introdurre flessibilità – Save the Children stessa garantisce orari adattabili durante le chiusure scolastiche – sono ancora le madri a ricorrere in maniera quasi esclusiva ai congedi parentali. “Finché la conciliazione resta un tema femminile, non se ne esce. Servono incentivi reali affinché anche i padri si sentano chiamati a una corresponsabilità concreta”, sottolinea.

Lavora come se non avessi figli e cresci i figli come se non avessi un lavoro. Oppure dimettiti
Dimensione familiare e povertà

Un fronte ancora più critico è quello delle madri sole. Le famiglie monogenitoriali, composte in larga parte da madri con figli, sono cresciute del 44% in dieci anni, passando da 2,6 a oltre 3,8 milioni. Si stima che nel 2043 saranno almeno 2,3 milioni. E sono proprio queste famiglie a essere tra le più vulnerabili alla povertà: una donna su due tra i 25 e i 34 anni, se madre single, oggi non lavora. Senza lavoro, viene meno l’indipendenza economica. Dopo una separazione, poi, il rischio di esclusione sociale per le donne arriva al 40%.

Il problema, tuttavia, non si esaurisce nella dimensione familiare. Ha radici strutturali e coinvolge l’intero sistema sociale ed economico del Paese. “Siamo in una fase di denatalità avanzata. Anche se oggi tutte le donne in età fertile decidessero di avere figli, la rotta dell’invecchiamento della popolazione non si invertirebbe immediatamente: le generazioni sono già numericamente ridotte. E i giovani faticano a emanciparsi per ragioni economiche, con stipendi bassi e condizioni abitative difficili. In più, c’è un cambiamento culturale profondo: non fare figli non è più una scelta da giustificare. Sempre più donne non si realizzano esclusivamente nella maternità, sebbene le statistiche mostrino che il desiderio di genitorialità rimane molto alto tra le giovani generazioni”.

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Coniugare lavoro e maternità è più facile se ci sono i servizi necessari, in primis gli asili nido
E gli asili nido?

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, avrebbe dovuto segnare una svolta, ma secondo Inverno l’impatto è stato limitato. “Il riequilibrio di genere era tra gli obiettivi, così come l’espansione degli asili nido. Ma il famoso target del 33% di copertura è stato trasformato in una media nazionale, lasciando indietro le regioni più fragili, soprattutto nel Sud. E l’Europa oggi ci chiede di arrivare al 45%”. Il rischio è che anche i fondi straordinari si perdano per strada, senza creare strutture solide. “Stiamo andando avanti con bonus e misure spot, ma senza una vera visione”, ha aggiunto.

Donne e lavoro: se una su cinque lascia quando diventa mamma è perché non ci sono abbastanza asili nido. Lo dicono i numeri

La ricetta, secondo Save the Children, è chiara: serve un piano strutturale a lungo termine, su cui costruire fiducia. “Le famiglie devono sapere che possono contare su misure stabili, da qui ai prossimi vent’anni. Oggi, l’assegno unico è l’unico intervento strutturale, ma invece di rafforzarlo con ulteriori risorse, si è scelto di finanziare nuove misure destinate a un target molto ridotto di madri. E mancano politiche mirate per contrastare la povertà minorile. I minorenni sono la fascia più povera della popolazione. E l’inattività femminile non è un danno solo per le donne: è un danno per il sistema Paese. Perdiamo Pil perché metà della nostra forza lavoro resta ai margini”, ha chiarito.

Quanto vale in meno il lavoro di una donna rispetto a quello di un uomo?
In Europa la situazione è migliore

I modelli da seguire non sono univoci, ma hanno almeno il merito di essere chiari e strutturati. Alcuni Paesi puntano sull’emancipazione femminile, come la Francia, che investe in un’ampia rete di servizi per l’infanzia e politiche attive di parità. Altri, come la Repubblica Ceca, adottano un approccio diverso, incentivando la permanenza delle madri a casa con congedi parentali lunghi e ben retribuiti: 6 mesi con indennità piena, fino a 46 mesi con protezioni progressive e 3 anni di garanzia sul posto di lavoro. Anche la Germania riconosce un diritto soggettivo all’accesso ai servizi per tutti i bambini. In Italia, invece, manca qualsiasi visione: non si sceglie né una strada né l’altra. Ci si limita a sollevare i problemi, senza mai affrontare davvero le soluzioni.

“Non bastano i bonus”

E la conclusione è forse la parte più urgente dell’intervento di Antonella Inverno: “Serve il coraggio di progettare il futuro”. Non bastano più interventi occasionali, bonus temporanei o annunci che si esauriscono con il ciclo politico. Serve una visione strutturale, coerente e di lungo periodo, che metta al centro le famiglie, le donne, i bambini e i giovani. Una politica che non rincorra l’emergenza, ma costruisca fiducia, stabilità, prospettive. Perché mettere al mondo un figlio, oggi, è un atto che ha bisogno di senso, sicurezza e possibilità reali. E perché un Paese che non investe sul benessere e sulla parità delle nuove generazioni è un Paese che sceglie di non avere futuro.

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