Metà della Generazione Z ha paura di una cosa. E l’altra metà potrebbe essere parte del problema

Nel mondo sempre più connesso di oggi, internet e i social media offrono grandi opportunità di comunicazione e apprendimento. Tuttavia, insieme ai vantaggi si sono sviluppati anche nuovi rischi, tra cui uno dei più insidiosi: il cyberbullismo. Con quest'ultimo si intende una forma di bullismo che si manifesta attraverso mezzi digitali, come smartphone, computer, social network, app di messaggistica o piattaforme di gioco online. A differenza del bullismo tradizionale, può colpire in qualunque momento e luogo, spesso in maniera anonima e continuativa. Secondo uno studio del Consiglio nazionale delle ricerche, il fenomeno coinvolge oltre un milione di giovani tra i 15 e i 19 anni, mentre un’indagine dell’Osservatorio Indifesa realizzato da Terre des Hommes ha rilevato che il 52 per cento degli under 20 la maggiore paura è diventare vittima di cyberbullismo.
Il progetto “Nel cuore della Rete”Ed è proprio in questa cornice che si inserisce l'aggiornamento “Cittadinanza digitale: una partita da vincere“ nell'ambito del progetto, giunto alla quarta edizione, “Nel cuore della Rete”, promosso e ideato da Synergie Italia e Fondazione Carolina. Ogni anno, infatti, Synergie e Fondazione Carolina incontrano gli studenti distribuiti in tutta Italia attraverso progetti di educazione continua alla Cittadinanza digitale. Il programma promuove un uso sicuro e consapevole degli strumenti digitali tra i giovani con percorsi formativi nelle scuole per sensibilizzare studenti e insegnanti sull'importanza della sicurezza online e della prevenzione del cyberbullismo.
L’uso inconsapevole della reteAnche perché gli ultimi dati forniti dal Centro Studi di Fondazione Carolina sono allarmanti. Almeno 3 ragazzi su 4 sono coinvolti, direttamente o meno, in episodi di uno scorretto o inconsapevole del web. Un dato superiore al trend fotografato dal Censis prima del Covid-19. In media i ragazzi minorenni (la fascia più a rischio) passano fino a 6 ore al giorno online (escluso il tempo scolastico), mentre d’estate le ore aumentano a 10. Infine, il 50% dei ragazzi afferma che i genitori sanno poco o nulla del significato di fenomeni come chatting, sexting, grooming e vamping che sono le tendenze in maggior crescita online.
E del progetto, delle sue iniziative e delle sue principali difficoltà, ma anche di come si può prevenire il cyberbullismo a scuola ne abbiamo parlato con la referente di Synergie Daniela Stuppi e con il segretario generale di Fondazione Carolina Ivano Zoppi che a Luce! hanno svelato anche i loro prossimi obiettivi.

Da cosa è nata l'esigenza di creare questo progetto?
“Ci siamo approcciati a questo tema durante il Covid. E nonostante l'azienda sia giovane, molti di noi hanno figli in età scolare. Ci siamo interrogati, durante il periodo della pandemia, su questa iperconnessione e sui rischi che ne potevano derivare. Dall'altro avevamo la necessità di rimanere in contatto con le scuole. Così abbiamo strutturato un primo corso online con quest'ultime e con gli studenti sulle tematiche legate alla cittadinanza digitale e al cyberbullismo. Abbiamo poi incontrato, anche se la conoscevamo già, Fondazione Carolina. Il loro progetto è stupendo, ha un valore potente. Quindi abbiamo detto perché no? Insieme volevamo restituire qualcosa ai ragazzi, alle loro famiglie, alle scuole, agli insegnanti che si trovano a dover gestire e a maneggiare queste situazioni senza aver la giusta competenza per farlo. Da lì abbiamo strutturato il progetto”.
Quali attività o iniziative concrete avete messo in atto?
“Il cuore dell'attività avviene in aula con il contributo di Fondazione Carolina tramite un percorso di 16 ore più 4 dove viene trattato l'utilizzo degli strumenti, il pericolo del cyberbullismo e i comportamenti da tenere. Abbiamo realizzato anche delle attività con le realtà sportive. Abbiamo fatto campagne di comunicazione sui social, abbiamo inaugurato una scuola che ha preso il nome di Carolina Picchio. Il grosso dei progetti avviene nella scuola e si conclude con una giornata insieme agli studenti, alle famiglie, alle istituzioni territoriali dove si racchiude il valore di questo percorso”.
Quali sono state le principali difficoltà incontrate nell'attuazione del progetto?
“Non abbiamo avuto grosse difficoltà. Il progetto è stato accolto molto bene dalle scuole. Lo stesso all'interno dell’azienda con un'alta partecipazione da parte di molti colleghi. Abbiamo raggiunto più di 5.000 ragazzi. Abbiamo fatto 110 corsi. Grosse difficoltà quindi no. Credo che sia necessario che tutti coloro che possono agiscano sempre di più con progetti di questo tipo. Perché alla fine vedo che sono richiesti”.
Zoppi aggiunge: “Anche perché per le scuole è gratuito. L'altro valore aggiunto è riuscire ad aver costruito un modello che sui tre anni si differenzia nelle tematiche. Nel primo anno parliamo sicuramente dei social ma poi affrontiamo anche quelle, che dal nostro punto di vista, aiuterebbero a lavorare meglio sui temi del bullismo e cyberbullismo”.
Sono emersi casi reali di cyberbullismo durante il progetto? Se sì, come sono stati affrontati?
“Abbiamo ricevuto delle testimonianze di ragazzi che hanno dichiarato di essersi trovati in queste situazioni. E grazie a questo progetto spero che abbiano capito come uscirne. C'è una testimonianza molto interessante. Ci sono tre soggetti del cyberbullismo: il bullo, la vittima e gli spettatori. Una di queste ragazze si è ritrovata nel ruolo di spettatrice e si è resa conto della gravità. Il progetto va anche a intervenire su questa fetta. Ed è qui che possiamo fare la differenza. Cioè se chi vede, se chi partecipa non sta zitto, non si fa la risatina, ma interviene per tutelare la vittima”.
Zoppi aggiunge: “Quello che cerca di trasmettere questo progetto è il creare una cultura di attenzione su questi temi. Che non è la definizione di bullismo o di cyberbullismo, o solo quello. Ma è invece “ragazzi voi avete il potere nelle mani di far delle male a delle persone, oppure di alzare la mano e aiutare quest’ultime”.
Qual è il messaggio più importante che vorrebbe lasciare agli studenti su questo tema?
“Penso che un po' tutti, anche noi adulti, abbiamo la voglia di incidere, di essere un po' protagonisti, di avere un po' di visibilità. Ecco mettiamoci dalla parte di quelli che alzano la mano. Si può essere protagonisti anche in questo modo. E' un protagonismo che poi ti porti dietro come valore, non come qualcosa da nascondere. Dato che penso che siano molti di più gli spettatori rispetto ai bulli e alle vittime, io lascerei questo messaggio: non siate spettatori ma intervenite, date veramente un contributo”.
E agli insegnanti?
“Ne abbiamo incontrati di meravigliosi. Quello in cui dobbiamo sforzarci noi come genitori, adulti e insegnanti è il fatto di non minimizzare. Perché la vittima del bullismo deve sapere che noi non approviamo. Se invece vedono che c'è un minimizzare si inibiscono anche nell'andare a raccontare. Dobbiamo dichiarare che noi ci opponiamo a queste cose, che non le condividiamo”.
Ivano Zoppi, segretario generale Fondazione CarolinaIn cosa si differenzia il cyberbullismo dal bullismo tradizionale?
“Il cyberbullismo è più pericoloso perché in una situazione di bullismo l'episodio si chiude nel momento nel quale si manifesta. Nel caso del cyberbullismo invece la rete ti dà la possibilità di incontrare quel contenuto (video, post, foto) 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Può essere visto ovunque e ripetutamente. Tra l'altro dalla rete non può essere cancellato nulla. Noi vogliamo trasmettere questo ai ragazzi. La conoscenza ce l'hanno, la competenza tecnica lo stesso, gli manca la competenza emotiva che gli consenta di sviluppare quella coscienza e responsabilità nell'utilizzo di questi strumenti”.
Quali piattaforme o social media sono più frequentemente coinvolti?
“Faccio una premessa. La cosa che distingue ancora di più questo progetto è la circolarità e la continuità. La circolarità nel fatto che ci sono delle altre iniziative anche al di fuori della scuola e che viene coinvolto anche il mondo degli adulti. Continuità educativa invece nel senso che questo progetto è una case-history importante anche rispetto all'età dei ragazzi visto che stiamo parlando del triennio delle superiori. Tornando alla domanda, non esiste solo una piattaforma. Noi vediamo situazioni pesanti su TikTok, su Instagram. Sicuramente, tanto poco considerata, ma tanto frequentata e tanto a rischio, è WhatsApp. Perché l'abbiamo trattata come semplice applicazione di messaggistica mentre in realtà è un ambiente fatto e finito dove i ragazzi, e non solo, vivono e frequentano”.
Secondo lei, quali sono le chiavi per una reale prevenzione del cyberbullismo a scuola?
“La relazione. Non possiamo più prescindere dal costruire relazioni significative per questi ragazzi e dare loro la possibilità di incontrare adulti di riferimento. Quello che vediamo è che fin da quando sono piccoli non hanno esempi, o hanno esempi negativi, da parte degli adulti. E soprattutto quando sono in difficoltà non sanno a chi rivolgersi. La chiave è la relazione, la continuità educativa. Non possiamo permetterci di fare un intervento spot e poi abbandonare. Dobbiamo essere sul territorio e dare alle persone gli strumenti per poter accogliere questi ragazzi prima ancora di entrare in aula e far vedere la slide con la definizione di cyberbullismo”.
Cosa consiglierebbe a una persona che ne è vittima?
“Parlare. Trovare sempre qualcuno con cui parlare. Non tenersi sempre tutto dentro ma parlare, raccontare. Perché quella sofferenza che si tiene dentro fa male veramente”.
Siete giunti alla quarta edizione del progetto. Quali sono i vostri prossimi obiettivi?
“Ci auguriamo di raggiungere ancora più studenti. Continuare a diffondere questo messaggio. E ai ragazzi direi: abbiamo il compito di far capire a ciascuno di loro che sono opere d'arte. Uniche, autentiche, originali e irrepetibili. Non c'è nessuno uguale. Le opere d'arte si conservano nei musei, si proteggono. Nessuno ha il diritto di fargli del male”.
Luce