Musica ad alto impatto: quanto inquina davvero un concerto?

Circa 500 tonnellate di CO2: è quanto può emettere un festival musicale medio di tre giorni, mentre un singolo concerto può generare fino a 42 tonnellate di CO2, pari a circa 12,8 chilogrammi per partecipante. E nonostante ci siano segnali positivi da parte del settore degli eventi musicali, il percorso verso festival e concerti “puliti” è ancora lungo. Così la musica, da evento positivo di socializzazione e cultura, diventa anche veicolo di inquinamento e di scarsa attenzione nei confronti dell'ambiente.
Ovviamente non bisogna generalizzare, ma – a parte qualche lodevole eccezione – al divertimento di chi partecipa non corrisponde una pari tutela del pianeta. Che pure ne avrebbe un gran bisogno.
È quanto emerge dallo scenario delineato da ClimateSeed, startup esperta in decarbonizzazione, per misurare l’impronta di carbonio e implementare strategie di riduzione e compensazione delle emissioni di gas serra, basandosi su fonti italiane e internazionali.
Si va dai materiali di scena alle strutture, dalla ristorazione agli alloggi: gli elementi attraverso cui si manifesta l'inquinamento da festival sono molteplici. E spesso insospettabili.
A fare la parte del leone, in negativo, è il trasporto per l'allestimento e la strumentazione. Anche luci, suoni, schermi e climatizzatori possono avere un impatto considerevole. Particolarmente inquinanti sono poi le emissioni dovute ai pernottamenti del pubblico, in hotel o campeggi, soprattutto nei festival multi-giornalieri.
Un festival medio di tre giorni emette infatti 500 tonnellate di CO2, pari a 5 chilogrammi per persona al giorno. Un singolo concerto, invece, può causare fino a 42 tonnellate di CO2, ovvero circa 12,8 kg per spettatore. In termini energetici si parla di 86.202 kWh totali, equivalenti a 26 kWh per partecipante.
Detto ciò, gli esempi positivi non mancano. Il recente tour mondiale dei Coldplay, Music of the Spheres, ha visto le emissioni misurate e certificate dal MIT. Anche artisti come Massive Attack, Radiohead e Billie Eilish hanno intrapreso percorsi virtuosi verso una musica più sostenibile.
In Italia, durante il concerto di Elisa allo Stadio San Siro, nel giugno scorso, è stato utilizzato un palco alimentato con biofuel HVO, con monitoraggio ambientale in tempo reale. I Pinguini Tattici Nucleari hanno promosso la raccolta differenziata e l’uso del trasporto pubblico.
Tra i festival, segnali incoraggianti arrivano da Suoni Controvento in Umbria, primo festival italiano con certificazione ufficiale di carbon footprint: utilizza strutture leggere e temporanee, e crediti di carbonio certificati per compensare la CO2. Bene anche lo Sherwood Festival di Padova, che dal 2018 ha ridotto del 50% le proprie emissioni grazie a misure mirate su trasporti, materiali e consumi energetici. Il festival ha inoltre adottato alberi e contribuito alla tutela di foreste in Italia e all’estero.
Nota di merito anche per il Firenze Rocks, che si è posto l’obiettivo di ridurre del 50% i propri consumi ed emissioni, incentivando l’uso del treno con sconti fino al 75% per i partecipanti. Ovviamente, stiamo parlando di una goccia nel mare degli eventi e dei concerti. Come cantava qualcuno qualche anno fa a Sanremo: “Si può fare (molto) di più”
Cosa si può fare? Porre attenzione ai materiali e alle location, adottare pratiche per la tutela dell'habitat, incentivare l’uso di mezzi sostenibili come navette e car sharing, e supportare le filiere locali per cibo, bevande e forniture.
Serve poi puntare sull'ottimizzazione dei consumi, la raccolta differenziata, l’uso di stoviglie riutilizzabili e di energia rinnovabile. Per le emissioni residue, è fondamentale implementare progetti di compensazione certificati, capaci anche di generare impatti sociali positivi, coinvolgendo attivamente il pubblico in azioni di sensibilizzazione e responsabilità ambientale. Solo così, alla fine di un concerto o di un festival, potremo essere sicuri che il nostro divertimento non sia costato caro alla Terra. E non sarebbe una bella canzone?
Luce