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Parla Cesare Damiano: “Lavoratori andate a votare per i vostri diritti”

Parla Cesare Damiano: “Lavoratori andate a votare per i vostri diritti”

L'ex ministro del lavoro

“Ripristinare la reintegra nel posto di lavoro anche per chi è stato assunto dopo il 2015, porre fine agli appalti selvaggi promossi da questo governo che causano tre morti sul lavoro al giorno: il sì ai quesiti è un no agli abusi che hanno reso l’Italia regina del lavoro povero”

Photo credits: Sara Minelli/Imagoeconomica
Photo credits: Sara Minelli/Imagoeconomica

Cesare Damiano, ministro del Lavoro del secondo governo Prodi dal 2006 al 2008 e oggi presidente dell’associazione Lavoro&Welfare, la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa, che dichiara pubblicamente: “Farò campagna per l’astensione ai referendum dell’8 e 9 giugno”. I leader della destra che esaltano la scelta politica del non voto. La Tv di Stato, e non solo, che ha oscurato i referendum. Che democrazia è questa e perché si ha paura di questi referendum? Per quel che riguarda La Russa, lo ha detto lei: la seconda carica dello Stato. Il punto è che si perde sempre più quel che si chiamava “senso dello Stato”. Quando si ricoprono cariche istituzionali, anche se si proviene da una parte politica, occorre avere la capacità di essere super partes. Il presidente Mattarella, al suo secondo mandato, non ha mai detto una parola fuori posto. Mai. Si è fatto costantemente interprete e garante della Costituzione. Tutti noi, qualsiasi siano le nostre opinioni, possiamo guardare a Mattarella, che non è stato certo meno militante politico nella sua vita di La Russa, e sentirci rappresentati. Larussa, semplicemente, sembra non aver capito che assumendo la Presidenza del Senato, aveva l’obbligo di scendere dalla sua barricata. È un gran peccato per le nostre Istituzioni. Per quel che riguarda l’astensione, con i referendum abrogativi, che richiedono il quorum, ogni cittadino può fare la propria scelta libera e sovrana. Sì, anche non andare a votare. Ma non votare significa rinunciare a un diritto. Significa rinunciare ad esprimere il proprio pensiero e a dare un indirizzo a chi poi deve fare le leggi. Come ha detto Mattarella nei giorni scorsi: senza il voto al Referendum del 2 giugno del 1946 non ci sarebbe la nostra Repubblica. Si pensa che quella legge vada bene o no? Serve o no la reintegra per i licenziamenti illegittimi? Serve o no che i committenti siano responsabili della sicurezza nei cantieri in presenza di appalti? È giusto che, chi risiede, studia, lavora legalmente in questo Paese, possa chiedere la cittadinanza dopo 5 anni – come in altri Paesi avanzati – anziché 10? Assumendosi, tra l’altro, non solo i vantaggi, ma tutti i doveri della cittadinanza. E via elencando.

I malpancisti albergano anche nel centrosinistra. Di Calenda e Renzi sappiamo, ma anche dentro il PD c’è una fronda anti-Schlein. Il leitmotiv è sempre lo stesso: la campagna del Partito Democratico sui referendum è un regalo alla destra. I malpancisti ci sono sempre stati, e di solito stanno sotto traccia. Io rispetto tutte le opinioni, ma se nel Partito Democratico c’è ancora chi è innamorato di Renzi che, ricordiamolo, ha portato il Pd al minimo storico del 18%, per poi andarsene e formare il suo cespuglio, alzo le braccia. Intanto circolano molti falsi argomenti. Il primo di questi è che i Referendum sono contro il Jobs Act. Chi lo dice, evidentemente, non conosce la materia. Il Jobs Act è una Legge Delega, la 183 del 2014, dalla quale sono scaturite ben 8 Decreti legislativi, 7 dei quali non sono toccati dai Referendum. Soltanto il primo, il 23 del 2015, quello relativo alle “tutele crescenti”, è oggetto del quesito numero 1. A questo proposito occorre precisare che la Corte Costituzionale, non Landini o Schlein o Meloni, ha cancellato, giudicandolo incostituzionale, il meccanismo di risarcimento “automatico” delle tutele crescenti che lega l’indennizzo monetario all’anzianità di servizio in caso di licenziamento illegittimo. Il meccanismo di Renzi, messo a punto da Nannicini che ancora oggi lo difende contro ogni evidenza, era di due mensilità per ogni anno di anzianità, entro un arco di mensilità indicate originariamente in un minimo di 4 e un massimo di 24. Solo successivamente, con il cosiddetto “Decreto Dignità” (87/2018), tali limiti sono stati portati rispettivamente a 6 e 36. In questo modo è stato definitivamente cancellato l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, pur nella versione più debole della Legge Monti-Fornero del 2012. Un partito di centro-sinistra che “regala” ai lavoratori la diminuzione della tutela dai licenziamenti, poi non si stupisca se operai, impiegati e tecnici, cioè il mondo del lavoro nelle sue varie e segmentate articolazioni, non vota più a sinistra, se non in modo minoritario. Il primo Referendum, dunque, affronta un tema specifico: la definitiva possibilità di reintegra nel posto di lavoro anche per coloro che sono stati assunti dopo la data del 7 marzo del 2015, quando il primo decreto delegato del Jobs Act è entrato in vigore, e che sono stati licenziati in modo illegittimo. Il Referendum sana questa disparità: la reintegra deve valere per tutti, non solo per chi è stato assunto entro il 6 marzo 2015. Mi pare una scelta legittima e di giustizia sociale e le argomentazioni di chi sostiene il contrario mi paiono prive di fondamento. Dice Nannicini: si abbassano le mensilità di risarcimento da 36 a 24 (quelle previste inizialmente dal Jobs Act), ma dimentica di dire che c’è la reintegra nel posto di lavoro. A dimostrazione di quanto la politica sia lontana dai bisogni delle persone normali. Secondo voi, un lavoratore di buonsenso, tra qualche mensilità in più e il ritorno nel luogo dal quale è stato licenziato, non sceglierà la seconda soluzione che lo renderà più forte nei confronti dell’azienda?

Per restare ai Dem, gli ipercritici della Segretaria sostengono, più o meno esplicitamente, che comunque vada Elly Schlein si consegna a Landini. Chi fa politica dovrebbe sapere che ogni vuoto viene riempito. Sarebbe stato meglio avere una iniziativa dei partiti, soprattutto di quelli di centrosinistra? Certo. Ma sui licenziamenti non c’è stata, nonostante il fatto che la Corte Costituzionale abbia scritto nel 2022, la sentenza 183, che afferma che “È indifferibile la riforma della disciplina dei licenziamenti”, La materia, dopo numerosi e disomogenei interventi legislativi, si è ingarbugliata parecchio e stratificata in modo disordinato e, anche dopo l’auspicabile vittoria dei SÌ ai Referendum, avrà bisogno di una rivisitazione. Mi auguro che questa battaglia, estremamente partecipata, che ha visto l’appoggio dei partiti di sinistra e ha ridato forza e motivazione a centinaia di associazioni nei territori, ridia anche una spinta al legislatore e una nuova consapevolezza ai lavoratori circa l’opportunità di riconquistare un nuovo e moderno profilo di tutele. Va ricordato che Andrea Orlando ha presentato per tempo una sua proposta di legge di abrogazione del decreto legislativo 23 del 2015, ma è rimasta lettera morta. A ciascuno il suo mestiere: la CGIL si sta battendo per i diritti dei lavoratori, il PD e gli altri partiti di centrosinistra offrano una sponda legislativa di sostegno, come lo fu a suo tempo lo Statuto dei Lavoratori

Il governo sostiene che se al referendum vincono i Sì, ci sarà un aumento della disoccupazione. È così? Questa, ovviamente, è pura propaganda. Perché mai dovrebbero aumentare i licenziamenti, soprattutto se più tutelati? Perché dovrebbero diminuire le assunzioni? Se così fosse vuol dire che attualmente assumere e licenziare costa poco. Ed è giusto dare più tutele al lavoro se vogliamo la qualità del sistema produttivo, della quale si parla tanto nei convegni. Gli ultimi dati parlano di una occupazione che cresce, di un tasso di attività al 62,7%, record storico. Ma se leggiamo l’ultimo rapporto del CNEL, ci dice che a fronte di più occupati diminuiscono le ore lavorate e che persistono le aree di difficoltà nel mercato del lavoro, che si chiamano giovani e donne. I primi, quelli che hanno studiato di più, hanno preso la strada della emigrazione, alla ricerca di paghe migliori e di percorsi di carriera. Le donne hanno 1 part time su 3 posti di lavoro a fronte di 1 su 12 per gli uomini.

C’è chi dice che la vittoria dei Sì comporterebbe un insostenibile aumento dei costi. Licenziamenti più gravosi e appalti più difficili metterebbero in crisi molte imprese che già faticano a restare sul mercato. Dagli anni 80 la narrazione che si è affermata è stata quella della flessibilità dell’organizzazione del lavoro e dell’utilizzo della manodopera. Narrazione che è andata di pari passo con il superamento del modello ford-taylorista della grande impresa. Ma ben presto il tutto si è trasformato, dall’idea della buona flessibilità come sintesi delle nuove esigenze di lavoratori e imprese, al precariato con il suo corollario di instabilità lavorativa e bassi salari. Non a caso, oggi, abbiamo nel mercato del lavoro quasi 3 milioni di lavoratori poveri. Secondo le rilevazioni del Centro Studi di Lavoro&Welfare, dal 2008 al 2024 c’è stato uno spostamento strutturale di ore lavorate dal settore della manifattura (-19%) a quello dei servizi (+6%). Vale a dire, dai settori meglio pagati e con maggiore stabilità del lavoro, a quelli con più basse retribuzioni e lavoro discontinuo. Se vogliamo, nel tempo del ritorno del protezionismo e della riscrittura geopolitica delle aree di influenza, competere sull’innovazione e sui segmenti alti della intelligenza artificiale, e non rimanere schiacciati, non possiamo più scommettere su un modello produttivo di bassa qualità che gioca le sue carte soltanto sul costo del lavoro più basso. Ciò è anche emerso nella recente audizione di Mario Draghi, in occasione della presentazione del Rapporto sul futuro della competitività europea, durante la quale ha affermato: “non solo andrebbe favorita la domanda interna, ma si dovrebbe operare una netta inversione di tendenza rispetto alle ricette adottate a seguito della crisi dei mercati finanziari del 2010, improntate alla contrazione dei bilanci pubblici e alla compressione dei salari, quale fattore concorrenziale nei confronti degli altri paesi dell’Unione”. Da questo punto di vista i Referendum rappresentano una scossa salutare a un sistema sonnolento.

Tra i quesiti referendari c’è quello contro gli appalti selvaggi, che mira a contrastare la tragedia delle morti sul lavoro. Il dramma delle morti sul lavoro è sotto i nostri occhi. Anche se non possiamo dimenticare la punta massima raggiunta nel 1963, al tempo del boom dell’economia, che fu in quell’anno di 4.622 morti sul lavoro, è ormai da circa 15-20 anni che giriamo attorno ai 1.000 morti all’anno, 3 al giorno, una vera strage inaccettabile. Per la precisione 1.041 nel 2023, 1.090 nel 2024 e, nei primi tre mesi di quest’anno, un +9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le cause di morte e di infortunio più ricorrenti sono le cadute dall’alto in edilizia, il ribaltamento dei trattori in agricoltura e la caduta seriale nei pozzi di decantazione e nelle cisterne. Il pericolo inoltre si annida, come sappiamo, negli appalti a cascata, rimessi in voga da questo Governo. Quindi, il Referendum rappresenta una risposta appropriata e mette il dito nella piaga. Le nuove frontiere della prevenzione e della tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro si giocheranno soprattutto, come ci ha ricordato il rapporto della Organizzazione Internazionale del Lavoro, con l’utilizzo delle nuove tecnologie digitali e della Intelligenza artificiale. Come sempre esistono opportunità e rischi: il cantiere digitale, i microchip nei Dispositivi di Protezione Individuale, le web app di monitoraggio, l’air bag di caduta, e via discorrendo, rappresentano una parte dei nuovi strumenti di prevenzione. I rischi da tecnostress, da invasione della privacy e di intensificazione dell’attività lavorativa governata dagli algoritmi, rappresenta l’altra faccia della medaglia. Ci auguriamo che il disegno di legge di iniziativa governativa sulla Intelligenza Artificiale, attualmente in discussione in Parlamento venga corretto per tenere conto anche della tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori quando si parla di investimenti. Accanto a questo, sarà decisivo il ruolo della contrattazione sindacale per la regolazione, il controllo e l’adozione di queste nuove tecnologie per la tutela e la crescita professionale dei lavoratori. In conclusione: votare sì ai 5 Referendum è la scelta più giusta per indirizzare le tematiche del lavoro e della cittadinanza fuori dalle paludi della precarietà del lavoro e dell’esclusione sociale.

l'Unità

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