Perché si parla di “criminalizzazione del dissenso” a proposito del Decreto Sicurezza

“Sul ‘decreto Sicurezza’ il governo ha posto la fiducia invocando un’urgenza inesistente e impedendo nei fatti ogni dibattito e possibilità di emendamento: direi che si tratta di una procedura coerente con l'intento della legge: criminalizzare e reprimere ogni forma di dissenso”. Alba Bonetti, rieletta nei giorni scorsi presidente di Amnesty Italia, non usa mezzi termini parlando del decreto che tante proteste sta suscitando in Parlamento e in una parte dell'opinione pubblica. Del resto Amnesty international è molto attenta al diritto all'espressione del pensiero, e da tre anni porta avanti la campagna “Protect the protest”.
Come e quando è nata questa iniziativa?
“A partire dal 2020 i nostri uffici di ricerca sparsi in buona parte del mondo ci hanno segnalato un aumento allarmante dei tentativi da parte di governi poco o per nulla democratici di reprimere o sopprimere del tutto le manifestazioni di dissenso e in difesa dei diritti umani e civili, sempre più diffuse a causa dell'estrema disuguaglianza, del razzismo e delle discriminazioni che dilagano in molti Paesi. Abbiamo quindi deciso di lanciare una campagna ad hoc per tutelare un diritto fondamentale che sentiamo minacciato. La storia insegna infatti che l'evoluzione dei diritti individuali e collettivi è quasi sempre stata frutto delle battaglie della parte più coraggiosa e consapevole della società civile, e non della spontanea iniziativa di governi illuminati. Si può quindi dire che il diritto alla protesta è il padre di tutti i diritti”.

Qual è a suo parere l'intento fondamentale del Decreto sicurezza?
“Delegittimare e demonizzare il dissenso, paragonato alla criminalità organizzata o addirittura al terrorismo. Per fare un esempio, i giovani che compiono gesti eclatanti (ma mai violenti o dannosi in modo permanente per il patrimonio) per sensibilizzare l'opinione pubblica sull'urgenza di interventi di mitigazione del climate change nel decreto vengono definiti 'ecovandali' quando cercano di tutelare l'ambiente e non certo di vandalizzarlo. A tale proposito vorrei lanciare un appello: se in Italia abbiamo una generazione così spaventata dal futuro da definirsi 'ultima', un governo serio dovrebbe ascoltarla, e non punirla”.
Nell'ambito della campagna “Proteggi la protesta” in Italia Amnesty ha confezionato e diffuso un pieghevole intiolato “Conosci i tuoi diritti! La tua guida per manifestare”. Non pensa che alcuni consigli pratici (tipo: portarsi dietro i farmaci da assumere quotidianamente o scriversi sul braccio i numeri da chiamare in caso di emergenza) possano indurre le persone a rinunciare a manifestare per paura?
“È importante che i cittadini siano preparati a ogni evenienza e conoscano i diritti propri e quelli delle forze dell'ordine. Del resto anche di recente in Italia si sono verificati violenti scontri con la polizia causati da piccoli gruppi infiltrati in cortei pacifici o da azioni aggressive ingiustificate delle forze dell'ordine, e ci sono andati di mezzo giovani che non avevano fatto niente di male, presi a colpi di manganello o arrestati in maniera illegittima”.

Parliamo allora proprio delle novità introdotte dal Decreto sicurezza per le forze dell'ordine...
“Le divise diventano intoccabili: lo Stato le tutelerà e pagherà la loro difesa anche quando sono accusate di gravi crimini, secondo un principio per cui la legge non è affatto uguale per tutti. L'uso delle bodycam non sempre tutela il cittadino e non si conosce l'uso che le autorità faranno delle immagini. Potrebbero essere usate per identificare i manifestanti, esponendoli a successive intimidazioni e ritorsioni: è accaduto negli Usa in occasione delle proteste di 'Black lives matter', e Amnesty ha denunciato e vinto la causa contro la polizia di New York. In tal senso vanno anche l'inasprimento delle pene e la possibilità di arresto in 'flagranza differita' per danneggiamento 'con violenza alla persona o minaccia'. E chi valuta minacce e violenze quando i manifestanti si ritrovano coinvolti nella mischia durante una carica delle forze dell'ordine? Invece nulla si dice dei codici identificativi sul casco degli agenti, che permetterebbero a chi subisce abusi di risalire al responsabile (qualcuno ricorda ancora il G8 di Genova nel 2001?)”.
Quali altre misure suscitano la vostra opposizione?
“L'estensione dell'uso del Daspo, per esempio. Può essere utilizzato nei confronti di chi abbia avuto denunce o condanne non definitive negli ultimi 5 anni. Questo significa che la polizia può impedire l'accesso a una città a una persona che non ha commesso alcun reato ma è considerata potenzialmente pericolosa o comunque sgradita. Se quella persona vive per esempio a Sesto San Giovanni ma lavora a Milano non potrà più recarsi nel luogo di lavoro e sarà licenziata senza alcun reale motivo”.

Pugno di ferro anche nei confronti di chi manifesta bloccando strade o ferrovie...
“Si invoca il diritto delle persone di raggiungere il luogo di lavoro, ma è chiaro che una protesta per rendersi visibile deve pur causare qualche disagio, o nessuno se ne accorgerà. Ci sono stati molti casi in passato in cui le persone ferme in coda a causa di un blocco stradale hanno solidarizzato con chi stava protestando, perché hanno capito l'importanza dei motivi della manifestazione. Il principio fondamentale dev'essere la non violenza. Tutto il resto può e deve essere oggetto di trattativa tra gli organizzatori e le forze dell'ordine, che sono tenute per legge ad agevolare e non a reprimere i diritti alla libertà di riunione pacifica e di espressione garantiti dalla Costituzione”.
Parliamo di disobbedienza civile.
“Il Decreto sicurezza è stato anche definito 'legge anti Gandhi'. In un mondo sempre più ingiusto e autoritario, forte con i deboli e debole con i forti, questo è molto pericoloso per i diritti umani e civili. Rischia grosso d'ora in poi chi cerca, per esempio, di ostacolare lo sfratto esecutivo di una famiglia, o si oppone a leggi ritenute inique o discriminatorie. Per non parlare di quanto potrà succedere nelle carceri e nei Cpr (Centri per il rimpatrio), dove nessuno potrà più protestare in modo non violento contro abusi o condizioni di vita inaccettabili (considerate tali anche dalle corti di giustizia nazionali e internazionali) senza rischiare di vedersi aumentare la pena o prolungare l'illegittima detenzione, nel caso delle persone rinchiuse nei Cpr pur senza aver commesso alcun reato. Questo ennesimo giro di vite dice di voler aumentare la libertà mentre la sacrifica in nome di un frainteso concetto di sicurezza”.
Cosa può fare la società civile per opporsi?
“Non farsi intimidire, continuare a manifestare e sensibilizzare gli altri sull'importanza di 'proteggere la protesta', madre di tutti i diritti”.
Luce