Rampulla: "Volevo essere Anastasi, papà mi mandò in porta. E quando segnai di testa..."

“No, no, no, mi urla Giagnoni, ma ormai sto correndo dritto verso la porta dell’Atalanta…”. Da quella porta Michelangelo Rampulla non è più tornato, almeno nella memoria di tutti. Quel 23 febbraio 1992 segna il primo gol su azione di un portiere in Serie A, la Cremonese fa 1-1 al 90’ e lui diventa famoso. Andrà poi alla Juve, dieci anni di cui sette da vice Peruzzi: qui conoscerà Lippi che seguirà anche in Cina. Oggi vive a Paestum, dove la moglie ha un ristorante, e non sempre vede calcio “perché è lontano dal mio, troppi libri, poca pratica e Donnarumma senza squadra perché non ha i piedi, capisce?”.
Il gol del portiere non era scritto sui libri…
“Comincio attaccante, ala sinistra di un 4-3-3 moderno, a piede invertito si direbbe oggi. Non veloce, buon dribbling. Ma papà, juventino da sempre, mi parla di Sentimenti IV, Combi, Anzolin… Io ho sette/otto anni e voglio essere come Anastasi, Pietruzzo è l’idolo di noi siciliani, un simbolo. Il mio primo allenatore nella squadretta giovanile, in una frazione di Patti, mi vede con i guanti però mi dice “Tu vai in attacco”. Ma io…”.

“Gli dico: mister, mio padre non vuole. È un professore di lettere, conosce mio padre perché abitiamo in un paesino di 500 abitanti, e sa che è un po’ fumantino. Mi guarda e fa: “Va bene, vai in porta” “. Papà ha una Seicento bianconera. “Andiamo in giro in auto quando la Juve vince gli scudetti. Il cofano è a strisce bianconere. Ce l’ho ancora e la sto facendo restaurare”.
Quando ha segnato avrà pensato a lui...
“Atalanta-Cremonese, siamo sotto di un gol, ho già tentato un’avanzata ma devo tornare di fretta in porta. Ho visto Pagliuca provarci in un Samp-Torino. C’è una punizione, è il 90’, mi decido e faccio a Giagnoni: “Mister, io vado!”. E lui: “No, no, no!”. Ma Garzilli, il mio compagno, urla: “Ti copro io”. Giagnoni allarga le braccia rassegnato. Sogno un gol in rovesciata, invece mi arriva la palla sul secondo palo e la spingo di testa con tutto me stesso”.
“Non capisco niente, penso a tornare per non lasciare la porta vuota, quasi non mi rendo conto che è gol. La cosa divertente è che, trenta secondi dopo, c’è una situazione simile e Giagnoni mi fa: “Vai, Miche!”. Boccheggio, non ce la faccio più. “No, no, mister, non sfidiamo la fortuna…”. Purtroppo, non basta a salvarci. Ferron, il loro portiere, è un amico. “Proprio tu?”. “Meglio io che sono tuo amico…”".
“Gran persona, di cuore, d’altri tempi. Arriva dopo l’esonero di Burgnich che aveva un’abitudine: concedere un bicchiere d’acqua e mezzo di vino a pasto. Non di più, non di meno. Forse lo ricordava dai tempi di Herrera, ma noi avevamo sete dopo l’allenamento. Giagnoni si siede a tavola per la prima volta e vede il massaggiatore che versa dalle due bottiglie. “Ma che fa?”. Gli spiegano. E lui: “Ma questi sono uomini adulti e sposati. Fateli bere”".
“Avanti decenni. Ha già collaboratori tecnici, parla di pressing. Fantascienza. Lo andavo a vedere allo stadio quando la Juve lo diede al Messina dopo aver preso Sivori. Ci salviamo a Varese nell’81, dice: “Merito di tutti, ma, se volete un nome, è Rampulla” “.

Il primo ricordo di calcio?
“Palermo-Juve 1-1 nel ’67-’68. Ho cinque anni. E a Palermo comincia la mia carriera, in un quadrangolare tra regioni nel ’79, io gioco per la Sicilia. Poi c’è un’amichevole con il Palermo di Frison e De Stefanis, vinciamo 1-0. Noi allievi... L’allenatore De Luca in partita mi dice: “Ma cosa stai facendo?”. E io: “Paro, mister, è il mio lavoro”. Paro tutto. Il Palermo mi vuole, c’è Favalli in tribuna, ma mio padre dice: “Non fa giocare i giovani, il Varese sì. Vai su”. Ha ragione. A settembre debutto in B a 18 anni, Allora i portieri erano giovani fino a 25 anni, gli altri fino a 22. Cambiano il regolamento: vinco io il premio in B e Bergomi in A”.
A Varese c’era Marotta ds.
“Diceva: “Ti fermi che tiro un po’?”. Si cambiava e veniva in campo. Aveva un bel sinistro”.
La testa al gol l’ha sempre avuta: nel Cesena è andato a tirare un rigore.
“E Torresin lo para. È un bel Cesena, Fontana, Bonaiuti, Seba Rossa tra i giovani: li alleno anche io. Sbagliamo quattro rigori di fila in campionato e l’allenatore Buffoni, disperato, mi fa: “Te la senti?”. Come no! Succede con il Monza ma all’ultimo cambio angolo: la cosa da non fare mai”.
Cesena, Cremonese, poi la Juve nel ’92.
“Mi vuole anche la Lazio, sembra fatta, ma la Juve pensa a me come vice Peruzzi, un mostro. Incontro Zenga in tv e mi fa: “Vai alla Juve! Lascia stare il resto, è sempre la Juve”. Poi, per uno juventino come me… Dieci partite lì valgono trenta altrove: ne gioco 99. Ma la centesima per me è l’amichevole Juve-Toro del ’94 per gli alluvionati, da capitano”.
“Lo ascolto a bocca aperta, come tutti. Prima della partita ci spiega al dettaglio cosa fare. E in campo gioca con noi le partitelle: ha 50 anni ma, caspita, che grinta, tira ancora qualche scarpata”.

Arriva Lippi e resta con lui, anche in Cina.
“Marcello è straordinario. Non sa quante partite vinciamo grazie ai suoi discorsi motivazionali: ottiene il 200 per cento dai giocatori. In Cina siamo a un passo dallo “scudetto”, dobbiamo solo pareggiare. Spiega tutto ai ragazzi, ma dopo 8 secondi siamo sotto. Nell’intervallo rientra negli spogliatoi furibondo. Vincenzo, il traduttore, prova a parlare in cinese, ma lui: “Zitto! Mi capiscono perfettamente in italiano!”. Urla e spacca, anzi, frantuma la lavagna con un calcio da karate, i ragazzi sono terrorizzati. Rientrano, pareggiamo e il titolo è nostro”.
La Gazzetta dello Sport