«Rimedio inammissibile», per l’Isola Fiorita nessuna sospensione della demolizione

Il “rimedio straordinario” invocato per l’“Isola Fiorita” non ha avuto successo. Il Consiglio di Stato ha respinto l’istanza di revoca della propria ordinanza che negava la sospensione dell’ordine di demolizione adottato dal Comune di Casamicciola, dopo analogo rigetto da parte del Tar. Il caso del complesso di Via Eddomade di Mario Lettieri ma un tempo di proprietà della famiglia Calise resta sospeso fino alla pronuncia di merito del Tar o forse anche oltre. Il collegio della Settima Sezione ha recepito le tesi dei difensori del Comune di Casamicciola, gli avvocati Francesco Mazzella e Stanislao Giaffreda.
La stringata ordinanza evidenzia infatti l’assenza dell’errore invocato: «L’istanza di revocazione è motivata in relazione alla circostanza che l’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato del 16 aprile 2025 avrebbe erroneamente inteso che la SCIA del 7 ottobre 2022 ha ricompreso lo scavo per la realizzazione del piano terra e la realizzazione di opere di completamento del piano primo. Il collegio osserva tuttavia che la sopra richiamata ordinanza non contiene l’affermazione secondo cui la SCIA del 7 ottobre 2022 avrebbe ricompreso lo scavo per la realizzazione del piano terra e la realizzazione di opere di completamento del piano primo. Pertanto non sussiste l’errore di fatto revocatorio. L’istanza di revocazione deve pertanto essere dichiarata inammissibile». Infine precisa: «Resta fermo che la parte ricorrente può richiedere la celere fissazione dell’udienza di merito in primo grado».
L’“ABBAGLIO DEI SENSI”La memoria difensiva dei legali del Comune ha sostenuto l’assoluta infondatezza della istanza, in relazione alla fase rescindente, e ribadito la legittimità della ordinanza di demolizione n. 85 del 7.11.2024.
Innanzitutto si è contestata la circostanza dedotta da Lettieri che il Consiglio di Stato nel rigettare la sospensiva sarebbe incorso in errore sul contenuto della SCIA. Sostenendo che «tale assunta statuizione sarebbe incrinata da “un abbaglio dei sensi” in quanto “gli interventi dedotti nella SCIA del 7 ottobre 2022, infatti, non ricomprendevano né lo scavo per la realizzazione del piano terra … né la realizzazione di opere di completamento del primo piano”».Ma come confermato dal collegio, dall’esame della stessa ordinanza non emerge tale circostanza di fatto.
Lettieri, rileva la difesa dell’Ente, «ricostruisce artatamente un assunto “abbaglio dei sensi”, muovendo da una lettura palesemente erronea dell’Ordinanza cautelare di cui chiede la revoca, al solo fine di configurare un errore di fatto revocatorio ed al fine di instaurare un’altra impugnazione».Una tesi smentita dagli atti processuali, in quanto l’ordinanza si fonda su diverse circostanze fattuali e giuridiche, elencate nella memoria: «a) la più volte reiterata deduzione formulata dall’avv. Lettieri (anche con l’atto introduttivo del presente giudizio) per cui i lavori abusivi contestati sarebbero tesi alla conservazione dell’immobile ex art. 73 RUEC e legittimità alla luce della mancata inibizione della SCIA; b) le contestazioni mosse sul punto dall’Ente resistente secondo cui tale opere non erano riconducibili alla SCIA, il cui oggetto era diverso ed estraneo alla disciplina dell’art. 73 cit. (non menzionato in alcuna parte, vedi sopra) pertanto correttamente sanzionate con l’ordine di ripristino; c) le opere “segnalate” nella S.C.I.A. del 7.10.2022 non potevano essere considerate quali opere di natura c.d. conservativa (le uniche opere ritenute ammissibili dalla costante giurisprudenza su immobili oggetto di domanda di condono e non ancora ricondotti a conformità), con la conseguenza che la predetta SCIA non costituiva presupposto idoneo e legittimo onde continuare i lavori ovvero “sanare” quelli successivamente realizzati sul predetto immobile; d) la contestazione sempre mossa dalla P.A. relativa alla realizzazione, successivamente alla presentazione della domanda di condono ex lege n. 47/85, delle opere controverse (scavo per la realizzazione/completamento del piano terra e delle opere di completamento del primo piano) che “hanno comportato una modifica e una trasformazione dei luoghi nel suo complesso”) e che la presentazione della domanda di condono non autorizzava l’interessato a completare né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta».

Questi i fatti a base della ordinanza del Consiglio di Stato, evidenzia la difesa: «Appare, pertanto, evidente che la conclusione è del tutto arbitraria, frutto di una erronea ed “artata” rappresentazione delle vicende processuali, che non trovano riscontro in alcuna delle attività processuali, del tutto disconnessa da ogni evidenza documentale e probatoria».
LETTURA CORRETTALa memoria presenta quindi la corretta lettura della ordinanza. Il Consiglio di Stato «alla luce della documentazione versata in atti, ha correttamente ritenuto che “gli interventi per cui è causa” (quelli contestati al punto 1) dell’Ordinanza di demolizione e non come, erroneamente, ritenuto dall’istante quelli di cui alla SCIA del 7.10.2022, neppure richiamata nel corpo del provvedimento sanzionatorio), “hanno comportato una modifica e una trasformazione dei luoghi nel suo complesso”». Un «dirimente ed indiscutibile errore interpretativo» in cui è incorso Lettieri.
Precisando che il richiamo alla SCIA del 7.10.2022, presentata ai sensi dell’art. 73 RUEC è operato «al solo fine di evidenziare che anche i lavori ivi segnalati non potevano essere eseguiti sull’immobile oggetto di domanda di condono, salvo ripetere il carattere di abusività, né l’omessa inibizione della predetta SCIA valeva a sanare opere pacificamente abusive».
I VIZI DELLA ISTANZA DI REVOCAZIONELa memoria richiama poi la giurisprudenza amministrativa «che riconosce l’inammissibilità dell’istanza di revocazione, qualora l’assunto errore di fatto abbia costituito un punto controverso tra le parti, sul quale il provvedimento abbia deciso». E «la legittimità degli interventi rilevati con l’Ordinanza n. 85/2025 circa la SCIA del 7.10.2022 sono state oggetto di espressa contestazione e statuizione da parte dell’Ecc. Collegio adito, con la conseguenza che l’istanza risulta inammissibile in parte qua».L’errore «deve inoltre apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche».
Invece nel caso de l’“Isola Fiorita” «non esiste un errore di fatto derivante da un assunta errata percezione di atti del giudizio documentalmente esclusi o inesistenti; la questione risulta assolutamente controversa tra le parti; non esiste alcun nesso causale tra erronea presupposizione ed il provvedimento adottato; l’assunto e contestato errore non appare con immediatezza (anzi bisogna seguire la fantasiosa ricostruzione effettuata dalla parte istante)».Ulteriore causa di inammissibilità è l’aver ricondotto «il vizio revocatorio ad una pretesa erronea valutazione delle risultanze processuali e del materiale probatorio che avrebbe indotto l’Ecc.mo Collegio adito ad un errore di giudizio».
Una circostanza non prevista, in quanto il cosiddetto “abbaglio dei sensi”, «cioè il travisamento delle risultanze processuali dovuto a mera svista, e non è ravvisabile quando si lamenta una presunta erronea valutazione delle risultanze processuali o un’anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio».I legali del Comune hanno rintuzzato anche le ulteriori considerazioni di Lettieri, inammissibili in quanto «vengono articolate contestazioni e censure mai dedotte né nel ricorso introduttivo, né in fase cautelare in primo grado né, da ultimo, nell’appello cautelare (natura delle opere; data di ultimazione delle stesse; preteso rigetto “incidentale” del condono; qualificazione delle c.d. opere di completamento). Tali fatti e censure nuove giammai potrebbero materializzare un c.d. errore di fatto revocatorio, proprio perché mai dedotte né in primo grado, né in fase di appello cautelare».
LA CONSISTENZA E LA CRONOLOGIA DEGLI ABUSIQueste ulteriori censure inammissibili vengono comunque smentite dalla documentazione in atti che prova la consistenza e la cronologia degli abusi: «Le opere di scavo per la realizzazione del piano terra sono state eseguite successivamente alla domanda di condono ex lege 47/85 e, segnatamente, in un momento storio ricompreso (a tacer d’altro) tra il 1986, il 1991 e il 2002, allorquando l’abitazione della dante causa dell’istante ha subito un imponente mutamento di destinazione d’uso “rilevante” da abitativo a commerciale; l’immobile negli anni è stato oggetto di ripetuti rimaneggiamenti evolutivi ed innovativi (con incrementi volumetrici e superficiari, mutamenti di destinazione d’uso da residenziale a commerciale e, nuovamente, a residenziale) subendo, dunque, illegittime trasformazioni che hanno snaturato l’originaria consistenza “compromessa” nella domanda di condono ex lege n. 47/85; l’Ordinanza di demolizione alla luce delle modifiche dello stato dei luoghi (in assenza della procedura ex. Art. 35) risulta in ogni caso legittima e, piuttosto che un incidentale rigetto della domanda di condono (ammissibile), conferisce al ricorrente la possibilità di ritornare “in bonis” ovvero di ripristinare l’originaria consistenza al fine di ottenere il bene della vita, ovvero il permesso a costruire in sanatoria; le opere di completamento contestate con l’ordinanza di demolizione sono opere innovative rispetto a quelle configurate nell’originaria domanda di condono le quali sono da ricondurre ad una vera e propria ristrutturazione dell’immobile abusivo; così come diverse e innovative sono tutte le opere realizzate che si vorrebbero ricondurre alla SCIA del 07.10.2022».
Quanto alla “famosa” SCIA, la difesa comunale evidenzia «che, è provato in atti, (né l’istante fornisce la benché minima prova del contrario, che: la SCIA del 07.10.2022, al netto della titolarità dell’immobile i cui abusi costituiscono obbligazioni propter rem , è volta, di fatto, all’esecuzioni di opere “nuovamente” innovative (ripristino della destinazione abitativa) su un immobile oggetto di domanda di condono e sul quale insistono incrementi volumetrici eseguiti in data successiva alla presentazione della domanda di condono». E «in alcun modo, dunque, alla predetta SCIA vengono ricondotti gli incrementi volumetrici realizzati nel corso degli anni».
ORDINANZA DI DEMOLIZIONE LEGITTIMAA sostegno della legittimità della ordinanza comunale di ripristino dello stato dei luoghi si ricorda che «successivamente alla presentazione della domanda di condono edilizio e prima che quest’ultima sia decisa, il proprietario non può effettuare alcun lavoro di completamento o ampliamento dell’immobile abusivo». Pertanto le ulteriori opere eseguite dopo la presentazione dell’istanza di condono «devono dirsi abusive e in prosecuzione dell’indebita attività edilizia pregressa».
Nel caso specifico si rileva poi che «lo scavo al piano terra – differentemente da quanto ex adverso sostenuto – è stato funzionale proprio a realizzazione l’incremento volumetrico di tale piano. Pertanto, risulta assolutamente infondato quanto sostenuto dall’istante, in quanto la valutazione degli interventi eseguiti deve essere complessiva e globale, non potendosi ammettere la parcellizzazione degli abusi ai fini della loro regolarizzazione poiché la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere il nesso funzionale che li lega e, in definitiva, l’effettiva portata dell’operazione».Di conseguenza «la stretta connessione/interdipendenza tra le opere “compromesse” nella originaria domanda di condono e quelle successive (di carattere abusivo) non consentivano all’amministrazione comunale una c.d. sanatoria parziale (attraverso l’esclusione degli abusi successivamente realizzati)».
LA DOMANDA DI CONDONOPer ultimo, gli avvocati Mazzella e Giaffreda hanno anche invocato l’insussistenza dei presupposti per la concessione della tutela cautelare: «Va, in proposito, evidenziato che non sussistono, altresì, i presupposti in relazione al “periculum in mora” né è stato dedotto un danno “grave” e “irreparabile” dal ricorrente, dal momento che non risulta indicato un concreto pericolo che, durante il tempo necessario a giungere alla decisione sul ricorso, possa derivare un pregiudizio grave ed irreparabile.
Va, infatti, considerato che il ricorrente si è limitato a richiedere la sospensiva dell’atto impugnato, adducendo che il danno sarebbe in re ipsa alla luce della pendenza dell’istanza di condono e che non sussisterebbe: “alcun apprezzabile interesse di segno contrario, anche considerando che si verrebbe a determinare la sostanziale dissoluzione dell’oggetto della domanda di condono prima della sua evasione”.
L’erroneità di quanto dedotto risulta evidente ove si consideri che, nel caso in esame, in relazione all’Ordinanza impugnata non appare concretamente configurabile alcun “danno in re ipsa”, dal momento che la pendenza dell’istanza di condono non preclude l’adozione di misure ripristinatorie per gli interventi “diversi” e successivi rispetto alla presentazione della stessa». Danno insussistente anche perché «l’omesso ripristino di opere certamente realizzate successivamente alla presentazione della domanda di condono ex lege n. 47/85 determinerebbe la sicura declaratoria di inammissibilità del predetto condono o, comunque, il suo rigetto».
Mentre invece la demolizione delle opere abusive renderebbe ammissibile e procedibile la domanda. In sintesi i difensori del Comune hanno ribadito l’insussistenza del fatto revocatorio (l’errore presunto) e al contempo «neppure è emerso un fatto nuovo e diverso tale da considerare l’avanzata richiesta come istanza cautelare nuova». Insistendo per il rigetto della «richiesta rescissoria di adozione di una Ordinanza cautelare proprio in quanto non concessa né dal giudice di primo grado né da quello di appello». E così è stato.
Il Dispari