Samuele Bartoletti: l’estetica fluida e colta di una voce queer che vuole solo essere sé stessa

Uno stile colto e fluido, che spazia tra moda, cinema e fotografia, e un’identità autentica e unica, impossibile da ingabbiare in qualsiasi stereotipo: Samuele Bartoletti, creator queer toscano con 332mila follower su TikTok, ha conquistato il suo pubblico con video che sembrano delle vere e proprie clip cinematografiche di cui è lo stesso protagonista.
Samuele ha trovato il proprio spazio di espressione nei social network, così come è successo moltissimi suoi coetanei: secondo uno studio di Hopelab e Born This Way Foundation l'82% dei giovani LGBTQ+ tra i 15 e i 24 anni si dichiara apertamente online, rispetto al 53% che lo fa nella vita reale, mentre il 61% percepisce gli ambienti digitali come "molto gentili", contro il 23% raggiunto da quelli fisici. Negli ultimi anni, le piattaforme hanno assunto un ruolo centrale nel promuovere la visibilità e l'inclusione della comunità LGBTQIA+, diventando luoghi fondamentali per l'espressione personale e la diffusione di contenuti queer. Abbiamo intervistato Samuele per farci raccontare il suo percorso e il ruolo che hanno avuto i social nella scoperta e valorizzazione della sua identità.
Quando e come hai iniziato a usare i social come strumento di espressione personale?
Ho iniziato molto presto, da adolescente. Ho sempre sentito un forte bisogno di esprimermi, di raccontare qualcosa di me. All’inizio era difficile, perché avevo paura del giudizio degli altri e questo mi portava a trattenermi. Ma dentro di me c’è sempre stato un desiderio profondo di comunicare, di liberare ciò che avevo dentro. Ho iniziato con la fotografia, poi con i video, la pittura… Tutti modi per dare voce a quello che non riuscivo a dire a parole. L’arte è sempre stata il mio linguaggio più sincero.
Quanto i social hanno contribuito al tuo percorso personale e alla definizione della tua identità?
I social hanno avuto un ruolo fondamentale. Mi hanno permesso di raccontare la mia storia, di condividere un messaggio di libertà e di arrivare a persone che magari si sentivano sole o inascoltate. L’amore, il supporto e l’energia che ho ricevuto da chi mi segue mi hanno dato la forza di non arrendermi, anche nei momenti in cui sentivo che la società cercava di zittirmi o farmi sentire sbagliato. Ogni messaggio ricevuto mi ha aiutato a trovare il coraggio di continuare sempre a esprimere la mia libertà.
La tua presenza online ha un’estetica molto precisa, colta e fluida. Quando hai capito che il tuo modo di comunicare poteva essere anche una forma d’arte?
In realtà l’ho sempre saputo, fin da bambino. Sin da piccolo sentivo che le parole non bastavano, perché ogni volta che cercavo di parlare mi sentivo giudicato. Questo mi ha portato a cercare altri linguaggi per potermi esprimere. L’arte è diventata il mio rifugio e il mio megafono. Ho sempre sentito che il mio modo di comunicare sarebbe stato diverso, ho iniziato a esprimermi con la fotografia, con la pittura e poi con i video ed è lì che ho trovato me stesso.
C’è un post o un progetto che consideri un punto di svolta nel tuo percorso artistico?
Non c’è un singolo post o un momento preciso. Il mio percorso è fatto di piccoli passi, di scelte quotidiane. Ogni volta che ho avuto il coraggio di mostrarmi per quello che sono, anche nelle fragilità, ho aggiunto un tassello alla mia crescita. È stato un cammino lento, fatto di tante sfide. E proprio quei piccoli gesti, giorno dopo giorno, hanno costruito ciò che oggi sono.
Ti ricordi un momento in cui hai capito che la tua voce online poteva fare la differenza?
Lo capisco ogni volta che ricevo un messaggio da qualcuno che mi dice “grazie”. Persone che magari si sentivano smarrite, che non trovavano il coraggio di essere se stesse e che mi scrivono dicendo che i miei contenuti le hanno aiutate, anche solo un po’, a sentirsi meno sole o più forti. In quei momenti mi rendo conto che la mia voce non è solo mia, ma può diventare un’eco che ispira altre persone a ritrovare la propria.
Spesso si parla della Gen Z come la generazione più libera e più fragile. Ti ritrovi in questa definizione? Cosa significa per te essere queer oggi, a vent’anni?
Sì, mi ci ritrovo. Siamo una generazione che sta cercando di spezzare catene antiche, ideologie che ci hanno condizionato per troppo tempo. Ma non è facile. Essere se stessi oggi, per me, significa lottare ogni giorno per il diritto di esistere liberamente. Significa trovare la forza di essere se stessi in un mondo che spesso non ti comprende o ti rifiuta. Ma è anche un atto d’amore verso la propria unicità, per la nostra diversità che in questa società viene considerata come un difetto, ma che in realtà è un pregio perché tutti siamo diversi tutti siamo unici e bisogna imparare ad amare e valorizzare la nostra unicità, perché è un dono.
In che modo si può costruire inclusione online, anche fuori dal Pride Month?
Credo che l’inclusione nasca dai gesti quotidiani. Dalla semplicità con cui ci raccontiamo per ciò che siamo. Io non faccio altro che condividere la mia vita, le mie esperienze, senza filtri. E penso che in questo modo si possa creare empatia e comprensione. Non servono grandi proclami: basta mostrarsi umani. È attraverso la verità dei nostri racconti che possiamo costruire ponti, non muri.
Cosa ti auguri per il futuro dei social come spazi di libertà e rappresentazione?
Mi auguro un futuro in cui rispetto ed educazione siano i veri pilastri della società e dei social. In cui una persona venga riconosciuta per i suoi valori, per come ama, per come tratta gli altri, non per il colore della sua pelle, la sua nazionalità o la sua identità. Vorrei un mondo digitale dove l’empatia sia più forte del pregiudizio e dove la diversità venga accolta come una ricchezza, non come qualcosa da temere.
Luce