Suicidi in carcere: tutti i numeri dell’allarme del Garante dei detenuti ignorato dal ministro Nordio

Il report del Garante
Il numero dei suicidi in cella è spaventoso. Soprattutto tra gli stranieri, tra i giovani e tra quelli in attesa di giudizio. Servono misure alternative

Oltre 140 morti in carcere dall’inizio di quest’anno: 46 suicidi (31,5%), 30 decessi per cause da accertare (20,5%), 69 per cause naturali (47,3%) e uno per cause accidentali (0.7%). Sono i dati – registrati dal Dap e aggiornati al 31 luglio scorso – contenuti nell’ultimo report del Garante nazionale per i diritti delle persone private della libertà. È il report al quale il ministro Nordio ha risposto che sono buoni dati e non costituiscono allarme. Suggerendo al Garante di non esagerare con le preoccupazioni e di non creare scompiglio.
Il Garante invece parla proprio di “situazione preoccupante: 294 suicidi totali in quattro anni rappresentano una media annuale di 73,5 casi. La variazione tra il minimo del 2021 (59 casi) e il picco del 2022 (84 casi) indica un incremento del 42% nel giro di un anno, seguito presumibilmente da una stabilizzazione o lieve riduzione negli anni successivi”. Secondo il Garante, “il Paese ha l’urgenza di adoperarsi per rendere l’esecuzione della pena non solo efficiente ed efficace sul piano della prevenzione, ma anche e non secondariamente compatibile con il suo volto costituzionale, improntato ai principi di umanità, finalismo rieducativo ed ‘extrema ratio’ della detenzione. D’altra parte, senza una riduzione cospicua del numero dei detenuti e seri investimenti sull’esecuzione penale esterna e le connesse forme di assistenza sociale, la situazione, già insostenibile, potrà solo peggiorare”.
Delle 46 persone morte per suicidio in carcere quest’anno, 44 erano uomini e 2 donne. Quanto alla loro nazionalità, 24 erano italiani e 22 stranieri (provenienti da 7 diversi Paesi). “Sebbene gli stranieri rappresentino solo il 31,56% della popolazione carceraria, sono coinvolti in circa il 47,8% dei suicidi. Questo scarto proporzionale – si legge nel report – suggerisce un rischio suicidario significativamente più alto tra i detenuti stranieri”. L’età media delle persone che si sono suicidate è di circa 42 anni: un dato che viene definito “allarmante” è quello dei 22 detenuti sotto i 39 anni. Analizzando poi la posizione giuridica, 24 erano stati giudicati in via definitiva e condannati, mentre 17 erano in attesa di primo giudizio. Quest’ultimo dato risulta particolarmente significativo – si legge nel rapporto – “in quanto evidenzia la ‘fragilità psicologica’ che può accompagnare la prima esperienza detentiva, soprattutto in soggetti per i quali vige ancora la ‘presunzione di innocenza’”. E ancora: si registrano 16 suicidi tra persone detenute con condanna definitiva o mista, avvenuti in prossimità della fine della pena, con una pena residua inferiore ai 3 anni.
Dallo studio emerge un quadro articolato, nel quale sembrano associarsi diverse variabili: l’età giovanile e l’impatto con la detenzione, l’attesa del primo giudizio, le condizioni sociali di vulnerabilità (disoccupazione, senza fissa dimora, stranieri). L’approssimarsi della fine della pena e il sovraffollamento sono punti critici. Il filo che lega tutti i fattori di rischio per il suicidio è l’incertezza e la perdita di speranza per il futuro, che porta a non tollerare un dolore mentale insopportabile e tormentoso il quale esclude ogni altra via di uscita rispetto alla morte, osserva il Garante. Nel 2025 gli istituti in cui si sono verificati i suicidi sono 37 (pari a circa 20% del totale delle strutture penitenziarie): 32 case circondariali, 4 case di reclusione e una casa lavoro. “La concentrazione nelle case circondariali è particolarmente significativa, considerando che queste strutture ospitano principalmente: persone detenute in attesa di giudizio, persone condannate a pene brevi, persone in una fase di particolare vulnerabilità psicologica. Il fatto che il 20% degli istituti abbia registrato almeno un suicidio nel 2025 indica un problema sistemico che richiede interventi urgenti e mirati”, si sottolinea nel dossier. L’analisi della distribuzione geografica dei 46 suicidi rivela poi una “concentrazione significativa” in alcune aree del Paese: le regioni interessate sono Lombardia (10 casi), Lazio (5 casi), Campania e Sicilia (4 casi), Sardegna e Toscana (3 casi), Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Piemonte, Puglia e Veneto (2 casi), Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Molise e Umbria (un caso).
Per il Garante, “grande attenzione” deve essere posta anche ai numerosi eventi di autolesionismo: alla data del 31 luglio scorso, il loro numero è pari a 7.486 di cui solo 693 (circa il 9,3%) registrati nel carcere milanese di San Vittore, istituto che ha un indice di affollamento del 216,98. Da non sottovalutare, si legge poi nel report, gli eventi critici riguardanti le manifestazioni di protesta, “quali scioperi della fame e della sete, che potrebbero arrecare gravi problemi sullo stato di salute della persona ristretta”: al 31 luglio, gli eventi registrati dal Dap sono 3.500. Analizzando infine i numeri relativi ai decessi per cause naturali – 70 da inizio anno all’8 agosto – il Garante osserva che i dati evidenziano “una crisi sanitaria strutturale del sistema penitenziario italiano, con particolare gravità per detenuti anziani e giovani adulti, istituti del sud Italia e grandi centri urbani e persone prossime alla liberazione: ciò suggerisce la necessità di riforme urgenti nel sistema sanitario penitenziario e nell’applicazione di misure alternative alla detenzione per persone in condizioni di salute precarie. È necessario un intervento sistemico urgente che affronti le cause strutturali di questa mortalità evitabile, garantendo il diritto costituzionale alla salute anche in ambito penitenziario”.
l'Unità