UOMINI DI DIO/ Al Meeting di Rimini il film sui monaci di Tibhirine, martiri per amore

Oggi al Meeting di Rimini (alle 21:00 in Sala Neri) verrà proiettato il film "Uomini di Dio" che racconta una storia vera, accaduta nel 1996
Ha vinto nel 2010 il Grand Prix Speciale della Giuria del 63esimo Festival di Cannes, e a suo tempo riscosso un successo inaspettato in Francia, il film Uomini di Dio, di Xavier Beauvois, che ha confezionato un’opera di profonda religiosità, affascinante e commovente, anche se lui si dichiara non credente.
Viene proposto al Meeting di Rimini di quest’anno, dal titolo Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi, in un contesto in cui si sottolinea l’urgenza di una testimonianza coraggiosa, in un mondo svuotato di senso e di amore.
In effetti, la storia vera dei monaci di Thiberine mostra che sono stati chiamati due volte: la prima quando hanno rinunciato a tutto, la propria famiglia, il proprio Paese, la donna e i figli che avrebbero potuto avere, per vivere in un monastero nell’Atlante algerino; la seconda quando hanno deciso di restare insieme con la popolazione musulmana, che hanno sempre amato e aiutato, non abbandonandola nei momenti tragici delle incursioni terroristiche del Gruppo islamico armato. A costo di morire decapitati, come accadde nel maggio del 1996 a sette di loro.
Il titolo italiano della pellicola, Uomini di Dio, non rende ragione pienamente del vero intento del regista francese: “In una società egoista come la nostra è raro trovare persone che si interessano agli altri… Persone che costruiscono una chiesa cristiana tra i musulmani e si occupano di loro”. Il punto di vista di Beauvois è proprio quello dichiarato nel titolo originale francese, Des hommes et des dieux, tratto dal salmo 82 che recita: “Voi siete dèi, siete tutti figli dell’Altissimo. Eppure morirete come ogni uomo”.
Proprio in questa prospettiva si comprendono le prime immagini che introducono i protagonisti nella loro quotidianità di vita. Ritmata dal suono delle campane, è fatta di preghiera, di studio (sulla scrivania del priore Christian si trovano sia i Fioretti di san Francesco che una copia del Corano), di lavoro nell’orto o nella produzione di miele, di servizi necessari in cucina o in lavanderia e di tanta sollecitudine nei confronti della gente del villaggio.
Qui spicca la bellissima figura di frère Luc, anziano medico che cura le ferite del corpo e dell’anima delle persone più semplici, donne e bambini, che a lui si rivolgono ogni giorno. Una ragazza gli chiede persino consiglio per capire come ci si accorge di essere innamorati, proprio lei che proviene da un contesto familiare in cui sono i padri a decidere chi devono sposare le loro figlie. E lui con serena tranquillità e senza alcun imbarazzo racconta alla giovane di essersi innamorato varie volte nella sua vita, ma di aver però trovato un amore ancor più grande, a cui ha deciso di rispondere.
I monaci sanno unirsi ai loro fratelli musulmani anche nei momenti di festa, uscendo dal convento in abiti borghesi, dimostrando quell’attenta e umile discrezione che li rende graditi agli abitanti del luogo, ma non impedisce loro di partecipare alla gioia comune. Insomma, sono perfettamente integrati nella comunità locale e si prodigano in vari modi per chiunque abbia bisogno, rispondendo con gioia alla chiamata dell’amore per tutti. Purtroppo, però, cominciano a manifestarsi i primi segni di intolleranza e di violenza, che spaventano molto i monaci.
Dopo che una ragazza è stata pugnalata su un pullman perché non indossava il velo e vengono uccisi perfino degli imam, la stessa popolazione del villaggio è in allarme, soprattutto quando addirittura vengono barbaramente assassinati degli operai croati che lavoravano in un cantiere. Anche i monaci a questo punto si sentono in pericolo e forse vorrebbero accettare la protezione militare offerta dal prefetto. Ma il priore, senza neppure consultarli, rifiuta con decisione una proposta che snaturerebbe la scelta di pace e di amore che hanno compiuto.
Emerge qui tutta la fragilità umana dei religiosi e le loro comprensibili paure. Quasi contestano il priore che non li ha interpellati. Quando ci sarà un’irruzione dei terroristi nel monastero, la notte di Natale, per chiedere medicine e l’aiuto del medico, ammireranno però la risposta ferma di Padre Christian. Non ammette la presenza delle armi nella casa di Dio e riesce a fermare la violenza dei guerriglieri, recitando anche parole del Corano che invitano alla tolleranza e alla pace. “Niente esiste salvo l’amore… salvo l’amore che si manifesta”, canteranno poi tutti insieme nella celebrazione del Natale che avviene proprio quella notte.
La coscienza del pericolo incombente sul monastero trasforma lentamente il cuore dei confratelli, che continuano nelle loro attività quotidiane. Dapprima incerti sull’opportunità di restare, scelgono di attendere e di pregare intensamente, prima di prendere una decisione. Addirittura il prefetto, vista la gravità della situazione, chiede con durezza al priore di riportare i suoi monaci in Francia. Ma la gente del luogo considera il monastero la sua protezione, malgrado la titubanza di qualche religioso: “Siamo come gli uccelli su un ramo, non sappiamo se dobbiamo andarcene”. Il capo del villaggio però ribatte: “Gli uccelli siamo noi, il ramo siete voi. Se ve ne andate, dove ci poseremo?”.
Persino i terroristi feriti ricorrono alle cure dei religiosi, il che complica la situazione. Un monaco si chiede: “Morire è veramente utile? Si diventa martiri per cosa?”. La risposta del priore è netta: “Si è martiri per amore, per fedeltà. E la morte, se ci prende, è malgrado noi… fino alla fine cercheremo di evitarla… l’amore supera tutto, sopporta tutto”. La decisione della comunità viene presa con una votazione in cui ciascuno si esprime liberamente: all’unanimità tutti scelgono di restare.
C’è una commovente ultima cena con il vino portato da Luc, da condividere con gioia, ma anche con la consapevolezza e il tremore che traspare dai volti segnati dal dramma che stanno vivendo e dallo sguardo intenso di chi attende il proprio destino con fede incrollabile. La notte in cui i terroristi irrompono nel monastero per portare via sette degli otto monaci, i confratelli non oppongono resistenza.
Mentre scompaiono nella nebbia, camminando faticosamente sulla neve, si ascoltano le parole vertiginose del priore Christian, il suo testamento spirituale. Il suo desiderio finale è immergere lo sguardo in quello del Padre, per contemplare con Lui i suoi figli dell’Islam così come tutti i fratelli. Perché siamo tutti figli dello stesso Padre, nella diversità delle religioni e degli uomini, come ci ricorda il titolo originale del film.
Sono la vita e la preghiera comunitaria, recitata e cantata con costanza e raccoglimento, che hanno insegnato ai monaci di Tibhirine – beatificati l’8 dicembre 2018 insieme ad altri 12 “martiri d’Algeria” – a rimanere al loro vero posto: quello dell’amore.
Ai martiri d’Algeria (i sette monaci più altri 12 religiosi uccisi dai terroristi islamici tra il 1994 e il 1996) sono dedicati l’incontro Vite donate. L’eredità viva dei martiri d’Algeria (sabato 23 agosto alle 12, Auditorium Isybank D3) e la mostra Chiamati due volte. I martiri d’Algeria (Piazza A7).
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