Urbanistica a Milano, l’ordinanza del gip sui giornali ma la legge lo vieta: non è più reato?

Gli atti sull'inchiesta milanese
Giudicata inammissibile l’interrogazione di FI a Nordio sul punto. E dalle carte dell’inchiesta emerge un abuso d’ufficio travestito da corruzione

Il governo Meloni in questi tre anni non ha solo creato tanti nuovi reati ma ne anche abolito uno: il divieto di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale. Abolizione, va detto, solo nell’applicazione pratica in quanto il reato continua ad essere sempre previsto nel codice penale.
Leggendo ieri le cronache relative all’indagine della Procura di Milano sull’urbanistica, tutti i giornali, anche quelli che si autodefiniscono garantisti in servizio permanente effettivo e sono sempre pronti a criticare i supporter delle Procure, hanno pubblicato infatti una infinità di passaggi testuali dell’ordinanza del gip Mattia Fiorentini che ha mandato agli arresti l’ex assessore Giancarlo Tancredi, l’immobiliarista Manfredi Catella, il presidente della Commissione paesaggio Giuseppe Marinoni. Eppure la norma è chiara: “È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”.
Su questa vicenda Enrico Costa, deputato di Forza Italia, nei giorni scorsi, quando cominciavano ad uscire i primi atti giudiziari sulla stampa, aveva presentato una interrogazione al ministro della Giustizia Carlo Nordio chiedendo se il sempre sbandierato “principio dell’obbligatorietà dell’azione penale interessi anche tali violazione o, al contrario, se ci sia una particolare tolleranza da parte delle autorità preposte”. Tolleranza che sarebbe determinata “dall’impatto mediatico scaturito dalle inchieste”. Per Costa, in particolare, la pubblicazione testuale di intercettazioni chat, informative “sapientemente selezionate al fine di rafforzare l’accusa” avrebbe rappresentato “una palese violazione della presunzione d’innocenza”. L’interrogazione è però rimasta senza risposta in quanto dichiarata “inammissibile” da parte della presidenza della Camera che, evidentemente, ignora che è “sempre vietata la pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni se non è riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento”.
Tornando invece al nocciolo dell’inchiesta, dopo aver letto le 400 pagine dell’ordinanza del giudice Fiorentini non è agevole capire dove si celi questo terribile “mercimonio della funzione pubblica in consolidato sistema di corruttela”. Quello che emerge dagli atti è infatti un abuso d’ufficio travestito da corruzione. L’articolo 323 puniva il pubblico ufficiale che, “omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio”, procurava “a sé un ingiusto vantaggio patrimoniale”. Abrogato il reato, la violazione del dovere di astensione in presenza di un conflitto di interessi andava valutata al più come semplice inosservanza del codice deontologico. La Cassazione nei mesi scorsi era già intervenuta sul punto, rispedendo al mittente, non essendoci profili penalmente rilevanti, l’accusa nei confronti di un assessore al bilancio che senza astenersi aveva deliberato in favore della casa di cura dove esercitava la professione medica. Il procedimento milanese ruota intorno alla Commissione paesaggio di Palazzo Marino i cui componenti avrebbero scientemente omesso di astenersi dall’esaminare progetti di società con cui intrattenevano rapporti professionali, indirizzando così la Commissione stessa verso pareri favorevoli.
Tale condotta, non più punita con l’abuso d’ufficio, si è allora trasformata direttamente in corruzione dal momento che la violazione del dovere di astensione sarebbe avvenuta proprio “in attuazione di un accordo corruttivo”. I “pregressi rapporti professionali” sarebbero quindi la pistola fumante della violazione dell’obbligo di astensione (oggi penalmente irrilevante), caratterizzato dalla presenza di un interesse economico (altrettanto di per sé irrilevante). Per il rito ambrosiano ogni conflitto di interessi, per quanto palese, è dunque corruzione. “Quel conflitto d’interessi “lucrativo” che è uscito dalla porta principale assieme alla fattispecie di abuso, non può come tale riproporsi, in questa, come in inchieste future, con una nuova etichetta. L’accordo corruttivo, se c’è, deve avere una sua autonoma dignità probatoria, non essere frutto di automatismi né di scorciatoie”, ha dichiarato recentemente l’avvocato aretino Luca Fanfani, esperto di delitti contro la pubblica amministrazione. Non resta, allora, che attendere i prossimi sviluppi dell’inchiesta.
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