“A Milano c’è spazio per un nuovo centrosinistra, serve ricostruire un legame con quel pezzo di città oggi smarrito”, parla Majorino

Il capogruppo Pd Regione Lombardia
«E ad alto tasso di partecipazione diretta dei cittadini. Bisogna ricostruire un legame con quel pezzo di città che oggi è non casualmente smarrito»

Pierfrancesco Majorino, capogruppo Pd Regione Lombardia, della Segreteria nazionale del Partito democratico.
Esiste politicamente parlando un “caso Milano”? Penso che si debba avere la freddezza di osservare la scansione della vicenda giudiziaria, da cui sono certo il sindaco Beppe Sala uscirà totalmente pulito, con distacco, con la piena fiducia nei confronti della magistratura, e osservando quel che ci raccontano questi mesi. Milano ha attirato capitali, risorse, interessi. Questo ha condizionato fortemente il suo sviluppo, in qualche modo è stato parte della sua cifra. Sono cresciuti i posti di lavoro e le opportunità e pure gli squilibri. Gli esiti sono ricchi di paradossi. Milano attrae, nuovi residenti e turisti, ed espelle allo stesso tempo. Cresce in termini di popolazione assoluta (in questo caso invece anche solo guardando ai confini comunali) e da Milano se ne vanno alcune decine di migliaia di persone l’anno perché il costo della vita, in relazione al salario percepito, è davvero troppo alto. Una città che vive di progetti di riqualificazione di quartieri pieni di precedenti ferite urbane e sociali e che però, nel crescere dei valori immobiliari proprio di quei quartieri, ha conosciuto pure l’aumento delle diseguaglianze. Abbiamo, particolare incredibilmente rimosso da tanti, cinque metropolitane e un passante ferroviario ancora da sfruttare pienamente per le sue potenzialità ma facciamo fatica a trovare gli autisti per gli autobus in superficie in ragione degli stipendi e dei ritmi. E potrei continuare.
Il vero, grande problema di Milano è che, nella sua visione urbanistica, è sempre più una città per ricchi, con la maggioranza della popolazione urbana che non regge la crescita degli affitti o dell’acquisto di una abitazione. Per porzioni di popolazione è certamente accaduto. E il fatto che si tratti di una dinamica presente in tante città del mondo ad alto tasso di attrattività non deve consentire a nessuno di non guardare in faccia la realtà. A costo di diventare noioso vorrei però ribadire alcuni concetti che non possono essere spazzati via.
Milano ha visto aumentare “prodotto” e “lavoro” e pure grazie a questo ha una “spesa sociale” molto più alta di tantissime città italiane, si fa carico di interventi, anche solo per quel che riguarda i servizi sociali, il sistema educativo e i servizi all’infanzia o la diffusione dell’offerta culturale, assolutamente rilevanti. E, tutto ciò, particolare non da poco, avviene grazie ad alcuni protagonisti e non certo ad altri. Chi fa la sua parte, non voltando la faccia altrove, ad esempio nel campo del welfare, è il Comune, sono i nove Municipi, il terzo settore, la società civile organizzata, la Caritas e così via. Chi invece continua a non muovere un dito si chiamano governo (purtroppo spesso non solo quello di Giorgia Meloni) e Regione Lombardia, proprietaria, essa, del maggior numero di case popolari vuote d’Italia (23mila di cui solo 10mila a Milano), uno scandalo totalmente rimosso che dovrebbe portare al Commissariamento della giunta regionale perché immobile, o autrice, nel 2019, di una Legge sulla rigenerazione urbana che ha alimentato la crescita volumetrica. Anche qui: non la metto sulla difensiva ma penso che si debba restituire alle cose la giusta proporzione. Detto questo, certo, guai a stare fermi. Si deve “cambiare” come il PD sta ribadendo in tutti i modi possibili e come lo stesso sindaco ha dichiarato debba avvenire. In definitiva il cuore di tutto credo sia uno solo: la città, la sua crescita, non vanno “frenate”, bloccate. La sua trasformazione può – vorrei dire deve- essere un grande fatto positivo. E proprio per questo la politica deve fare sentire il primato dell’interesse pubblico. Deve porre condizioni stringenti, ad esempio garantendo la realizzazione di quote di edilizia generatrice di appartamenti accessibili. Insomma, io non credo assolutamente che l’alternativa possibile sia tra un modello in cui si creino “solo” i grandi grattacieli per i ricchi e uno che tenga tutto “fermo” perché impaurito dagli effetti della rigenerazione urbana.
Il punto è esattamente un altro…Quale? Mettere mano alla rigenerazione, alla trasformazione dei quartieri per ottenere una maggiore qualità della vita complessiva e per evitare il consumo di suolo, e farlo ottenendo benefici per il ceto medio e per gli strati più poveri della popolazione. Fasce di popolazione, lo ha recentemente ricordato la Camera del Lavoro milanese, rispetto a cui servono politiche della trasformazione urbana, del governo del territorio e della questione abitativa più coraggiose rispetto a ciò che è accaduto. Sapendo che l’amministrazione comunale non è stata ferma. Sono cresciuto nel quartiere dove, nell’ambito dello Scalo ferroviario di Porta Romana, sorgerà il “Villaggio Olimpico”, a pochi metri dalla Fondazione Prada o dalla Casa d’accoglienza per senza casa, Enzo Jannacci. Ora davvero sfido chiunque a dirmi che quel quartiere fino a pochi anni fa con piazze desolanti in mano alla prostituzione, non abbia fatto dei balzi da gigante. Dunque, quel che dico, è che la generalizzazione di questi mesi è comprensibile in ragione di quel che trapela dalle inchieste ma che spesso offra lenti distorcenti. Il mio piccolo contributo di pensiero si fonda su di un principio: Milano deve imboccare strade più coraggiose, e questo riguarda non solo l’amministrazione comunale ma le cosiddette classi dirigenti in termini ben più ampi. Parlo di oggetti concretissimi: un nuovo Piano di governo del territorio che vincoli gli operatori in maniera molto più stringente, l’aumento significativo degli oneri di urbanizzazione e una “pianificazione” su scala metropolitana. Non solo: la questione salariale, ad esempio. Io credo, e non da oggi, che grandi istituzioni come il Comune e la Regione, debbano vincolarsi al salario minimo. Quando lavori per enti simili, perché magari sei il dipendente di una cooperativa, non puoi guadagnare sei euro netti. È sfruttamento, non lavoro. O prendiamo il nodo della spesa sanitaria determinata, con la complicità attiva della giunta regionale, dalle liste d’attesa. Questi aspetti, come quello riguardante la necessità di dotarsi effettivamente di un’agenzia per l’abitare di rango metropolitano che abbia svolga funzioni da garante per chi vuole mettere a disposizione del mercato dell’affitto il proprio appartamento, non casualmente sono parte integrante delle proposte che, come Pd, stiamo avanzando a livello nazionale. Perché prima o dopo le criticità ambrosiane riguarderanno varie altre città italiane. E quindi servirebbero come il pane una legge di riordino dell’intera materia urbanistica e una nuova politica nazionale sulla Casa.
Milano inclusiva, multietnica, laboratorio di una convivenza sociale e culturale è ormai solo un ricordo del passato. È tornata la “Milano da bere”? Non scherziamo. Milano vede, piuttosto, il solito corpo a corpo che l’attraversa da sempre. C’è una città che scommette su inclusione, legame, vitalità nella relazione con gli altri, multietnicità, che accoglie 1200 ragazzini d’origine straniera da tutto il mondo e ha uno dei più grandi piani di sostegno ai senzatetto d’Europa. E, insieme a questo, si è in presenza, ancora una volta, di una spinta eguale e contraria. Nulla di nuovo, dunque. Milano è la città del 25 aprile e, tragicamente, pure dei sansepolcrini. Milano è Mediolanum, città di mezzo, di attraversamenti e di contraddizioni enormi.
Non è scoccato il tempo di un profondo ricambio di classe dirigente? Non mi pare che Milano abbia una classe dirigente politica vecchia, suvvia! Semmai l’anno e mezzo che ci separa dalle elezioni amministrative, come hanno ribadito non casualmente proprio le consigliere e i consiglieri comunali del PD, deve essere utile per innovare. C’è poi dell’altro. Sto parlando più di prepolitica, o forse di una politica che chi resta chiuso nel proprio recinto non sempre avverte come tale. C’è infatti, da ricostruire un “nesso” con quel pezzo, molto molto ampio, di città che ha sostenuto e sostiene il centrosinistra e che è, oggi non casualmente, smarrito. Parlo di migliaia di donne e di uomini che vogliono essere orgogliosi di una città che continui a fare la sua parte in due direzioni intrecciate: la crescita e la giustizia sociale e climatica e che vorranno essere coinvolti nelle principali decisioni politiche riguardanti il futuro di Milano. Lo spazio di un nuovo centrosinistra ampio e ad alto tasso di partecipazione diretta dei cittadini credo sia tutto qui.
l'Unità