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Bonus senza una strategia. Le politiche per la natalità del governo Meloni

Bonus senza una strategia. Le politiche per la natalità del governo Meloni

I dazi sulla famiglia

Incentivi frammentati, bandierine sventolate, Iva ridotta su opere d’arte e forse ostriche ma non su pannolini e latte, decontribuzioni annunciate e rimangiate. Come sta andando la lotta contro la denatalità del governo? Non bene

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Giancarlo Giorgetti ci riprova con lo slogan: “Meno tasse a chi fa figli”. L’idea, come anticipò il Foglio, era già stata valutata per la legge di Bilancio dell’anno scorso: “Un quoziente familiare per le detrazioni” che sarebbe costato 5-6 miliardi di euro e che, probabilmente proprio per questo, non andò in porto. Il ministro dell’Economia, come riporta il Messaggero, ci sta ora ripensando per la prossima legge di Bilancio: la proposta è quella di una “super detrazione” per le madri di 2.500 euro per il primo figlio che cresce di 5.000 euro per ogni figlio ulteriore. La nuova agevolazione fiscale si andrebbe in parte ad aggiungere ad alcune misure per la natalità adottate dal governo e in parte andrebbe a sostituirle.

In una recente audizione sugli effetti economici e sociali della transizione demografica, Giorgetti aveva detto che il governo sarebbe passato a “un approccio strutturale, integrato e lungimirante” attraverso la “semplificazione e razionalizzazione delle misure esistenti” con l’obiettivo di prevedere “specifiche detrazioni che indirettamente influenzano l’offerta di lavoro”. È l’identikit della “super detrazione” per le madri che, appunto, potrebbe incrementare l’offerta di lavoro femminile (a differenza del “quoziente familiare” sull’Irpef che, invece, avrebbe l’effetto opposto).

Di per sé, quindi, la misura potrebbe avere perfettamente senso, sempre che il ministro trovi le risorse aggiuntive. Ma il problema, in realtà, riguarda le politiche per la natalità finora adottate dal governo Meloni che sono state l’opposto della strategia “strutturale, integrato e lungimirante” di cui parla Giorgetti. Si è trattato, al contrario, di un approccio confusionale, disintegrato e miope. A parte il potenziamento di misure già esistenti ed efficaci, come l’Assegno unico per i figli che il governo ha adeguato all’inflazione e ulteriormente rafforzato per nuclei familiari vulnerabili o numerosi, oppure il Bonus nido potenziato nell’ultima manovra, per il resto si sono visti incentivi frammentati o temporanei, con l’obiettivo di sventolare ogni anno una bandierina nuova e conquistare qualche titolo sui giornali.

Con la prima legge di Bilancio, quella per il 2023, con una scelta dal forte impatto mediatico il governo Meloni abbassò l’Iva dal 10% al 5% sul latte per l’infanzia e dal 22% al 5% su pannolini e seggiolini per auto. Costo: circa 180 milioni di euro. L’anno dopo, con la legge di Bilancio per il 2024, l’Iva è stata riportata dov’era prima. Il governo giustificò l’aumento dell’imposta dicendo che, dopo aver controllato il movimento dei prezzi, lo sconto non era andato integralmente alle famiglie ma era stato incamerato per circa la metà dalle imprese. La decisione di alzare l’Iva sui prodotti per l’infanzia è tra l’altro in parte contraddittoria, perché sui pannolini è stata portata al 10% e non al 22% iniziale. È stata quindi mantenuta una parte dell’inefficacia dello sconto, con il paradosso che l’opposizione accusa il governo di aver aumentato l’Iva sui pannolini, sebbene sia la metà rispetto a prima.

Nel frattempo, però, il governo Meloni ha tagliato l’Iva al 5% sulla vendita di opere d’arte e propone di ridurla sulle ostriche (sui tartufi l’aveva già tagliata il governo Conte) perché, come dice il ministro Lollobrigida, “non sono beni di lusso”. Il risultato è che i pannolini e il latte per bambini sono, appunto, “beni di lusso” rispetto a dipinti, sculture e tartufi.

Un’altra misura per la natalità del governo Meloni è la decontribuzione per le lavoratrici con due o più figli. La norma, introdotta nella legge di Bilancio per il 2024, si sovrapponeva alla decontribuzione per tutti i dipendenti e implicava, per le madri con almeno due figli, un taglio integrale dei contributi con un beneficio fino al massimale di 3 mila euro che, secondo i calcoli dell’Upb, arrivava a 1.700 euro annui (140 euro al mese). Questa agevolazione, però, era prevista per un solo anno a favore delle donne con due figli e per un triennio per le donne con tre figli.

Con l’ultima legge di Bilancio il governo ha in teoria confermato la norma, ma in pratica l’ha cambiata. Da un lato l’incentivo è stato esteso anche alle lavoratrici a tempo indeterminato e autonome (prima ingiustamente escluse), dall’altro il ministro del Lavoro Marina Calderone ha sostituito la decontribuzione con un bonus da 40 euro al mese che verrà corrisposto in una sola rata a dicembre con la tredicesima (480 euro contro i precedenti 1.700). La decisione è stata comunicata pochi giorni fa, a metà anno. Vale solo per le donne con due figli, non per quelle che ne hanno tre, e vale solo per quest’anno.

L’anno prossimo si cambia di nuovo: si torna alla decontribuzione, ma non si sa di quanto sarà. Probabilmente non ci sarà più se, come vuole Giorgetti, entrerà in vigore la “super detrazione” che quindi assorbirà la decontribuzione. E non si sa neppure che fine farà il “Bonus nuove nascite”, introdotto quest’anno, che prevede l’erogazione una tantum di 1.000 euro per ogni nato: è il fratello del “Bonus bebè”, esistito fino al 2021 e poi assorbito dall’Assegno unico. Non sembra esattamente la coerente strategia a tre frecce (trasferimenti diretti, servizi per le famiglie, conciliazione con il lavoro femminile) su cui punta la ministra per la Famiglia Eugenia Roccella.

L’Italia ha un problema demografico enorme. Nel 2024 il tasso di natalità è sceso al minimo storico di 1,18 figli per donna, un problema aggravato dalla progressiva riduzione delle donne in età fertile: l’anno scorso sono nati appena 370 mila bambini, 200 mila in meno rispetto al 2008. Secondo le proiezioni dell’Istat, la popolazione italiana scenderà da 59 a 54,8 milioni nel 2050.

Non è facile invertire questa tendenza. E non è neppure chiaro che le misure per la natalità servano a qualcosa: in paesi con programmi generosissimi, dalla Norvegia all’Ungheria, i risultati sono scarsi. Ma è certo che se al posto di misure stabili si adottano bonus estemporanei, i risultati saranno nulli: semplicemente le famiglie faranno i figli che già avevano intenzione di fare e poi, aiutati dal Caf o dal commercialista, scopriranno di anno in anno quali bonus gli spettano.

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