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Chi è Guglielmo Petroni, il partigiano eretico dimenticato dalla Resistenza

Chi è Guglielmo Petroni, il partigiano eretico dimenticato dalla Resistenza

La riedizione di "Il mondo è una prigione"

Di famiglia povera, lo scrittore pagò a caro prezzo il rifiuto di prendere la tessera del Pci dopo la guerra. Ma il suo romanzo, privo di retorica, è un autentico capolavoro fresco e privo di retorica

Chi è Guglielmo Petroni, il partigiano eretico dimenticato dalla Resistenza

Difficile parlare della Resistenza, dileggiata e avversata da chi ci governa, in un modo che non appaia retorico. Di qui anche l’indifferenza di larga parte delle nuove generazioni. Riuscì a farlo, miracolosamente, Guglielmo Petroni, romanziere e poeta animato da impegno civile (era nato a Lucca nel 1911 da famiglia povera – presto collaboratore di prestigiose riviste letterarie – , e scomparso nel 1993). Oggi ne viene ristampato Il mondo è una prigione (Nave di Teseo), uscito nell’immediato dopoguerra, spiazzante romanzo “esistenzialista” sulla Resistenza, da mettere accanto a Una questione privata di Fenoglio, e poi Lettere da Santa Margherita. Scritti morali 1930-1986 (Succedeoggi).

Da quest’ultima pubblicazione segnalo solo un suo intervento, in un incontro dell’Anpi del 1979, dove parlando di ciò che della Resistenza “è caduto per la strada”, osserva che se quegli ideali si fossero realizzati avremmo avuto un’Italia in cui le autostrade, l’auto per tutti, gli “inquietanti e corruttori beni di consumo”, etc., ci sarebbero stati lo stesso ma più tardi, dopo la creazione di case, scuole, servizi sociali (dunque senza danneggiare il tessuto della nostra società). Immalinconisce un poco leggere del suo stupore nel constatare che il governo Tambroni aveva potuto manifestarsi nel paese dove la Resistenza, “grande rivolta di popolo”, aveva vinto! Assolutamente controcorrente – in tempi di poetica neorealista, a volte angusta – è poi l’osservazione che cultura e arte operano secondo le proprie “vocazioni di libertà”, e che ognuno esprime un proprio giudizio sulla società anche trattando argomenti “che sembrano lontani da quelli che ci assillano come cittadini”, perciò “l’antico engagement… fu un errore”.

E qui andiamo alle controverse vicende del romanzo prima citato, che provocò uno scontro tra Petroni e Togliatti, via Alicata, per il suo rifiuto di prendere la tessera del PCI, pur essendo entrato nella Resistenza, nel 1940, attraverso lo stesso Alicata. Ciò gli costò un ostracismo culturale, la mancata pubblicazione con Einaudi (dopo un’iniziale approvazione) – Il mondo è una prigione uscì nel 1948 con Mondadori – e in seguito, nonostante il ravvedimento di Togliatti, una stroncatura su Rinascita che accusò il romanzo di denigrare la Resistenza. Ora, non intendo negare il ruolo che storicamente hanno svolto PCI e DC nell’alfabetizzazione e sensibilizzazione di milioni di italiani, ma certo l’esistenza nel nostro paese di queste due chiese politico-ideologiche (con le loro liturgie e i loro anatemi contro gli eretici), granitiche e totalizzanti, ha pesantemente condizionato lo sviluppo di una libera cultura. Basti pensare alla straordinaria rivista Tempo presente, fondata da Silone e Chiaromonte, costantemente screditati nel clima plumbeo della Guerra Fredda e accusati di essere finanziati dalla Cia.

Nelle prime pagine del romanzo/memoir avviene una “scoperta” sconcertante da parte dell’autore. Uscendo il 4 giugno 1945 da Regina Coeli, dove era stato rinchiuso, come cospiratore antifascista, dopo un “soggiorno” allucinante fra i torturatori di via Tasso, e rivedendo il cielo e gli uomini, precipita in uno “smarrimento spirituale”. Tanto da provare un inesplicabile rimpianto della prigione, del buio e dell’incertezza di prima (chissà che non se ne sia ricordato Rossellini, nel 1954, quando girò Dov’è la libertà con Totò). Certo, si sentiva pure felice, però la felicità era come offuscata, e implicava un qualche inganno: “Dunque la prigione, la libertà, non sono vera prigione, vera libertà”? Da questo interrogativo, altissimo e doloroso, si dipana poi la vicenda picaresca del libro, le peregrinazioni e avventure del suo protagonista, che lascio interamente al piacere della lettura. Ne viene fuori il ritratto di uno spirito libero, schierato risolutamente contro il fascismo (l’arbitrio, la sopraffazione) e al tempo stesso non allineato, “disorganico”, inappartenente. La militanza politica è messa in relazione con le ragioni profonde dell’esistenza. La resistenza al male – sacrosanta! – riconosce che il male non si esaurisce nella Storia ma alberga, manzonianamente, nel “guazzabuglio” del cuore umano. Solo se lo si riconosce si eviteranno abusi ed eccessi da parte del vincitore. Perciò Il mondo è una prigione venne considerato da Pratolini il vero grande romanzo della Resistenza, mentre Uomini e no di Vittorini si esponeva al rischio di una visione fanaticamente manichea.

Bene fa Sandro Portelli nella introduzione a ricordarci la drammatica attualità del libro, che preme ancora sulle nostre coscienze e ci invita a un rinnovato impegno. Portelli ed io negli anni ’70 militammo nel gruppo eretico del manifesto, il cui “equilibrio”, in alcuni casi, veniva scambiato per colpevole moderazione: probabilmente alla politica chiedevamo troppo, nientemeno che la creazione dell’Uomo Nuovo, il paradiso delle religioni però trasferito (abusivamente) nel futuro! Ora, il “sogno di una cosa” di Marx si è manifestato, solo per un attimo lampeggiante, in occasione di alcuni eventi storici (tra cui certo la Resistenza, momento epico di gioia collettiva, di liberazione di un popolo, e forse nelle più luminose giornate del maggio ‘68). Però poi scopriamo che il nucleo di quel sogno è inafferrabile: nella “prigione” dell’esistenza sempre resta un vuoto dentro, che ciascuno dovrà a quel punto riempire da solo, senza più l’aiuto degli altri.

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