Dal carcere di Rebibbia al Senato: la lettera di Gianni Alemanno

Nel cuore del dibattito parlamentare sulla riforma della separazione delle carriere, è emersa una voce fuori dal comune: quella di Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma e ministro, attualmente detenuto nel carcere di Rebibbia. Una sua lettera, letta in Aula dal senatore Pd Michele Fina, ha acceso una nuova prospettiva sulla condizione carceraria e sulle sfide della giustizia italiana, riportando all’attenzione la realtà dietro le sbarre mentre il Parlamento discute di importanti cambiamenti istituzionali.
Gianni Alemanno condannatoGianni Alemanno, ex sindaco di Roma ed ex ministro delle Politiche agricole, è stato coinvolto nell’inchiesta “Mondo di Mezzo”, nota anche come “Mafia Capitale“, che ha rivelato infiltrazioni mafiose nell’amministrazione capitolina.
Secondo l’accusa, tra il 2012 e il 2014, Alemanno avrebbe ricevuto 223.500 euro da Salvatore Buzzi, uno degli imputati principali, tramite la sua fondazione “Nuova Italia”. In cambio, avrebbe svolto un ruolo di riferimento politico per l’organizzazione all’interno del Comune di Roma.
In primo grado, nel febbraio 2019, Alemanno è stato condannato a sei anni di reclusione per corruzione e finanziamento illecito. Successivamente, la Corte d’Appello ha confermato la condanna, sottolineando la sua “evidente colpevolezza”.
Tuttavia, la Cassazione ha annullato le accuse di corruzione, mantenendo solo quella di finanziamento illecito, riducendo la pena a un anno e dieci mesi. Alemanno ha scontato parte della pena ai servizi sociali, ma è stato successivamente arrestato per violazioni delle prescrizioni, tra cui la fornitura di giustificazioni false. Attualmente, sta scontando il residuo della pena nel carcere di Rebibbia .
Durante l’esame della riforma sulla separazione delle carriere, il senatore Pd Michele Fina ha portato in Aula una lettera scritta da Gianni Alemanno, ex sindaco e ministro, detenuto da mesi a Rebibbia. Nel suo “diario di cella”, Alemanno denuncia le condizioni delle carceri, segnate da sovraffollamento e da un caldo insopportabile in queste settimane.
Alemanno descrive il momento più difficile come quello in cui il caldo esaspera il disagio del sovraffollamento, mentre la politica resta indifferente al problema. Nella lettera, datata 29 giugno 2025, il centottantesimo giorno di detenzione, l’ex sindaco racconta l’“inferno” delle “celle forno” di Rebibbia, dove nei casi migliori si può solo contare su un ventilatore.
“Mentre le temperature superano i 45 gradi, i ventilatori sono un lusso per pochi, le celle sono camere a gas, le docce funzionano a intermittenza e l’acqua potabile scarseggia, ogni estate si ripete lo stesso copione: suicidi, proteste, appelli, e poi il silenzio”.
L’ex sindaco denuncia che, mentre i giornali parlano del caldo che colpisce cittadini e turisti, la condizione dei detenuti viene ignorata, definendola una vera e propria vergogna. Alemanno sottolinea come, nonostante il caldo opprimente e le numerose proteste carcerarie registrate già a giugno, la politica rimanga indifferente.
“Se uno studente volesse sperimentare in modo evidente il significato del concetto fisico di “gradiente termico” dovrebbe venire qui a Rebibbia e spostarsi dal piano terra fino al secondo e ultimo piano. Al piano terra, grazie all’umidità che viene dal suolo, il caldo estivo è ancora sopportabile, ma salendo per le scale che portano al secondo piano, la temperatura aumenta progressivamente di almeno un paio di gradi per ognuna delle quattro rampe che compongono queste scale. Per cui, quando si arriva in cima, ci sono quasi dieci gradi di temperatura in più. Se poi, come il sottoscritto, si abita nell’ultima cella del corridoio, quella esposta al sole non solo sul soffitto ma anche su due lati, “l’effetto forno” è una realtà“.
Alemanno denuncia che i Tribunali di sorveglianza, in particolare quello di Roma, mancano di personale e di flessibilità mentale, e per questo non riescono a concedere le pene alternative neppure a chi ha tutti i requisiti di legge. Racconta il caso di Mario, un detenuto di 81 anni arrestato per una condanna definitiva a quindici anni per reati finanziari commessi tempo prima, che dopo un mese e mezzo di carcere ha finalmente ottenuto il diritto agli arresti domiciliari dal Tribunale di sorveglianza, ma che cinque giorni dopo era ancora in carcere, con gravi problemi di salute visibili. Alemanno sottolinea che, nonostante questa situazione, la politica resta inattiva aspettando che il Commissario incaricato costruisca nuove carceri per ospitare le oltre 14.000 persone detenute in eccesso rispetto alla capacità regolamentare degli istituti penitenziari.
“Certo, fino a ieri a distogliere l’attenzione c’era una nuova guerra che poteva dilagare dall’Iran a tutto il Mediterraneo, ma da qualche giorno i TG parlano solo del caldo che si sta abbattendo su cittadini e turisti. Sui detenuti no? Problema rimosso, anche giornalisticamente? Qualcuno mi dirà: ma anche tu dormivi quando eri ministro, o sindaco, o deputato. No, miei cari, io ci perdevo il sonno, facevo riunioni alle tre di notte (chiedere ai poveri poliziotti che mi facevano da scorta), magari non riuscivo a risolvere tutti i problemi, magari non riuscivo a controllare tutto quello che accadeva dietro le mie spalle, ma avevo l’ossessione continua delle persone a cui dovevo dare delle risposte. Perché quando si fa politica, e soprattutto si prendono impegni istituzionali, non si può volgere la testa dall’altra parte, non si può chiudere gli occhi perché non conviene vedere. Perché questo non è solo uno sbaglio, è una vergogna“.
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