Dazi al 10%: la resa anticipata di Meloni, la premier si inchina a Trump

La trattativa Usa-Ue
Sì di Roma e Berlino a Washington per l’intesa su tariffe al 10%, Parigi si prepara al braccio di ferro. Confindustria: “118mila posti a rischio”

Non ci saranno slittamenti. Trump ha chiuso lo spiraglio che lui stesso aveva aperto, anzi, che aveva fatto aprire dalla sua portavoce, annunciando la possibilità di un prolungamento della tregua sui dazi dal previsto 9 luglio sino al prossimo primo settembre. Niente da fare. “Non penso di andare oltre il 9 luglio”, concede ai cronisti dal solito aereo presidenziale il capriccioso presidente. Sulla carta, significherebbe avere una settimana a disposizione per chiudere un trattativa che, nonostante l’ottimismo sbandierato da entrambe le parti, è in realtà lontana dall’approdo. Ieri il commissario europeo Sefcovic, delegato a gestire la trattativa per conto della Commissione europea, è arrivato a Washington e il negoziato proseguirà fitto anche oggi. Ma le chances di concludere in 7 giorni un vero accordo commerciale complessivo sono molto meno che esigue.
Nonostante il tempo sia vicino a scadere, però, nessuno nelle capitali europee e neppure a Roma si fascia davvero la testa. A questo punto tutti hanno capito che il presidente americano è un tipo da suq, di quelli che mercanteggiano sino all’ultimo centesimo. La via d’uscita dovrebbe essere un succinto accordo-quadro che lascerebbe in sospeso una enorme quantità di “particolari” ancora da definire. La trattativa dunque proseguirebbe, ma a partire da un punto fisso: il sì europeo a dazi del 10%. Sull’asticella in sé, in Europa tutti – pur se a malincuore – sono d’accordo. Le differenze emergono quando si passa appunto ai particolari, cioè alle contropartite, soprattutto ai settori esclusi dal rincaro delle tariffe e alla strategia da adottare in caso di mancato accordo sui suddetti particolari. I duri, come il presidente francese Macron ma anche Ursula von der Leyen, sarebbero disposti a quel punto a imbarcarsi in una guerra totale. Germania e Italia, capofila dei Paesi-colombe, sono infinitamente meno convinti.
L’Italia è forse il Paese che più apertamente tira per l’accettazione subito del 10%, definito “accettabile” da tutti, da Giorgia a Tajani in giù. La Germania di Merz è del medesimo parere. Purché, naturalmente, vengano abbassati sino a quel 10% anche i dazi al momento ben più alti, quello al 50% sull’acciaio e quello al 25% sulle automobili. Perché sono quelle le tariffe che pesano come macigni al collo proprio dei due Paesi più industrializzati dell’Unione, la cui produzione è peraltro fortemente integrata. Le tariffe al 10% sarebbero, va da sé, un male minore rispetto a orizzonti più tempestosi, ma pur sempre un male. Il presidente di Confindustria Orsini non dimentica di sottolinearlo: “Si sta parlando di dazi non del 10 ma del 23,5%, perché bisogna tenere conto della svalutazione del dollaro del 13,5% dall’insediamento di Trump”. Comunque, se anche i dazi al 10% sono meglio di quelli al 50% che potrebbero scattare l’8 luglio, “non significa che siano sostenibili”. I “contraccolpi molto pesanti”, per il presidente di Confindustria, potrebbero tradursi nella perdita di 20 miliardi di export e 118mila posti di lavoro.
Sulla base di questo allarme, Pd e M5S vanno all’attacco con la segretaria Schlein, che prende di mira l’arrendevolezza della premier: “Per non scontentare Trump danneggia l’interesse nazionale e minimizza l’impatto dei dazi al 10%. Invece di lottare per un accordo Ue che sventi la guerra commerciale minacciata dal presidente Usa, si prepara a una nuova resa”. I duri dell’Unione ritengono che solo accettando il rischio di quella guerra commerciale si possa costringere Trump a un accordo non punitivo per l’Europa. Il problema grosso, per la Ue, è anche quello di dover trattare senza sapere davvero quale posizione assumerà l’imprevedibile americano. Nulla assicura infatti che si accontenterà dell’accordo quadro senza alzare il tiro e la posta per strappare subito qualcosa in più. Ieri gli Usa hanno firmato un accordo con il Vietnam che impegna il Paese asiatico a dazi del 20% senza alcuna reciprocità. Proprio la reciprocità è uno di quei particolari sui quali Usa e Ue sono ancora in disaccordo. L’accordo con il Vietnam non sembra il migliore tra i viatici.
l'Unità