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Il “Nessun Dorma” di Mattarella all’Ue: “In ritardo sulla difesa comune, farla con urgenza”

Il “Nessun Dorma” di Mattarella all’Ue: “In ritardo sulla difesa comune, farla con urgenza”

COIMBRA – “Nessun dorma”, canta il tenore. Sergio Mattarella l’ascolta in sala e rilancia la celebre invocazione della Turandot: “Potrebbe applicarsi alla nostra Unione”. Il presidente della Repubblica e Mario Draghi provano a dare la scossa all’Europa, dal vertice Cotec di Coimbra. Reagisca, dice Draghi, che parla mezz’ora. Punti sulla competitività interna, facendo affidamento su tre direttrici: energia, difesa, tecnologia. Con i dazi “siamo a un punto di rottura”. Con Trump nulla sarà più come prima. L’ordine multilaterale è stato minato “in modo difficilmente reversibile” con l’uso massiccio “di azioni unilaterali per risolvere le controversie commerciali e il definitivo esautoramento del Wto”. Occorre raggiungere un accordo con gli Usa, ma nella consapevolezza che “i nostri scambi non torneranno alla normalità”. E quindi “se l’Europa vuole davvero ridurre la sua dipendenza dalla crescita Usa, dovrà produrla da sé. Cambiare il quadro di politica macroeconomica”.

Mattarella: "I valori che hanno forgiato l'identità europea non ammettono compromessi morali"

L’ex premier pronuncia le parole al simposio di Coimbra, il vertice sull’innovazione che vede protagonisti i capi di Stato di Italia, Portogallo, Spagna.

Anche Sergio Mattarella, che parla subito dopo, insiste sullo stesso concetto: “L’Europa agisca, perché stare fermi non è più un’opzione. I rischi dell’immobilismo, ben identificati nel Rapporto Draghi e nel Rapporto Letta, e le ipotetiche conseguenze per l’Europa, in termini di arretramento nelle condizioni materiali di benessere diffuso o di un allontanamento irreversibile dalla frontiera tecnologica”.

Per Mattarella “l’Europa non può restare al palo”, insistendo ancora una volta sulla Difesa comune europea. “Siamo in ritardo”.

La sintonia tra i due è profonda. Molte parti dei loro discorsi sono sovrapponibili. Ieri hanno viaggiato insieme da Roma. Draghi era presente alla cerimonia del dottorato honoris causa. Il loro è un europeismo appassionato ed esigente.

Draghi lancia l’allarme energia: “I prezzi elevati dell’energia e le carenze della rete sono, in primo luogo, una minaccia per la sopravvivenza della nostra industria, un ostacolo importante alla nostra competitività e un onere insostenibile per le nostre famiglie e, se non affrontati, rappresentano la principale minaccia alla nostra strategia di decarbonizzazione”.

Mette in guardia dal fatto che i cittadini europei “avvertono acutamente il senso della crisi”. Servono “meno privilegi e più innovazione”.

Draghi fa un discorso politico. Ricco di dati. Punta il dito “sulle frammentazioni politiche interne” e “la crescita debole” dell’eurozona: peculiarità “che hanno reso più difficile una effettiva risposta europea”.

Com’è che siamo finiti nelle mani dei consumatori statunitensi?, si domanda.

“Dobbiamo aprire nuove rotte commerciali, ma realisticamente non possiamo diversificare dagli Usa nel breve periodo. Le speranze che l’apertura al mondo possa sostituire gli Usa saranno probabilmente deluse”.

A lungo termine non si può prescindere dal commercio con gli Stati Uniti, ma “è un azzardo credere che il commercio con gli Stati Uniti tornerà alla normalità dopo una rottura unilaterale così importante di questa relazione, o che nuovi mercati cresceranno abbastanza velocemente da colmare il vuoto lasciato vuoto dagli Stati Uniti. Se l’Europa vuole davvero dipendere meno dalla crescita statunitense, dovrà produrla da sola”.

La ricetta? Se vogliamo essere più autonomi dagli Usa bisogna produrre più crescita.

Poi l’ex presidente della Bce fa una disanima sulle ragioni della nostra debolezza. Le mette in fila. Politiche di bilancio restrittive. Calo degli investimenti pubblici. Attenzione alla competività esterna rispetto alla produttività interna.

I nostri salari sono calati inesorabilmente, fa notare Draghi. Riecheggiano qui le parole di Sergio Mattarella nel discorso del Primo Maggio. Draghi ricorda che mentre “i salari reali Usa sono aumentati del 9 per cento dal 2000 rispetto a quelli dell’area dell’euro”.

La Repubblica

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