Il culto dell’esistente è totalitarismo: così Gramsci mise a nudo Gentile

A 150 anni dalla nascita
Al di là dell’immancabile richiesta di una rotonda a lui dedicata, i reazionari al potere non hanno detto nulla di significativo sul pensiero attualista. Che il filosofo marxista demistificò già a suo tempo...

Anche l’anniversario gentiliano ha confermato la sostanziale sterilità della destra sul piano delle idee. Quello che i suoi rappresentanti hanno partorito per l’occasione non è andato al di là della stanca richiesta di una rotonda dedicata al filosofo nato 150 anni fa o di qualche noterella biografica sulla esecuzione ad opera dei partigiani. Un quadro più coerente lo ha invece fornito Carlo Galli, che su Repubblica ha tra l’altro accennato all’interesse con cui il giovane Gramsci guardava alle pagine dell’attualismo.
Il distacco affiora soprattutto nei Quaderni, dove è depositata una riflessione autonoma rispetto al culto dell’azione che dominava l’intera cultura del primo Novecento. Con l’ambizione di tracciare al contempo “un Anti-Croce” e “un Anti-Gentile”, la preoccupazione di Gramsci è anzitutto di valutare l’influenza dei due grandi filosofi sul terreno dell’egemonia culturale. L’opinione del sardo è che l’influsso crociano sia “molto superiore” all’impatto del teorico siciliano di una “filosofia che non si pensa ma che si fa”. Perciò non regge la vulgata dell’attualismo come una sorta di pensiero vidimato con il timbro di Stato. In realtà, annota Gramsci, “l’autorità del Gentile è tutt’altro che ammessa dalla sua stessa parte politica”. Il marchio apparente dell’ufficialità finisce, si legge nei Quaderni, cancellato dinanzi agli attacchi davvero duri ricevuti dal filosofo senatore perfino in Aula o alle reiterate invettive contro la sua persona.
Non è pertanto sul semplice metro della vicinanza al fascismo che nei fogli carcerari si calcola il contributo di Croce e Gentile. Mentre Croce ha capito che il moderno racchiude “la morte della filosofia tradizionale” (anche in questo spunto bisogna registrare un “«assorbimento implicito»” delle categorie di Marx), Gentile si muove ancora nei ranghi dell’antica metafisica. Per via del risvolto anti-metafisico, che rinuncia a rielaborare i problemi dell’Essere per attenersi a questioni specifiche, a Croce viene da Gramsci riconosciuta “l’intelligenza eccezionale dei pericoli”. Malgrado la dialettica dei distinti sia in certa misura “una espressione infelice e incongrua” per sottolineare le differenze all’interno di una cornice unitaria, la esplicita tonalità immanentista è tuttavia un punto di vantaggio a favore del filosofo di Pescasseroli per il quale è vana qualsiasi velleità di riproporre un sistema speculativo. In Gentile, come pure “nei minori fraticelli attualisti” punzecchiati da Croce nel corso della sua “«eroica» resistenza” alla “fraseologia pappagallesca”, Gramsci individua la persistenza di una venatura contemplativa, che conferisce al suo pseudostoricismo un profilo “molto scadente”. Di qui l’ironia verso chi “in scritti recenti si offriva a provare l’esistenza di Dio con argomenti attualistici”. Una vera commedia degli equivoci si ha allorché Gentile assicura che sussiste un’affinità essenziale tra filosofia e cattolicesimo, e i cattolici replicano che proprio il suo sistema è “pretto paganesimo”.
Il rilievo principale di Gramsci è che “l’idealismo attuale è diventato «l’ancello della teologia»” poiché sfocia in una trascendenza di nuovo tipo. Egli rimarca che la neoscolastica, saldamente ancorata alla logica formale, può risultare idonea a “criticare i banali sofismi dell’idealismo attuale che pretende essere la perfezione della dialettica”. In effetti, nell’accanimento contro il formalismo, la battaglia di Gentile è persa perché in fondo recupera “«strumenti» ben più primitivi di quelli della logica formale”. Attraverso un “«secentismo» letterario”, la scuola attualistica assolutizza il pensiero-spirito ma, con “le arguzie e le frasi fatte che sostituiscono il pensiero”, non comprende le dinamiche del reale, l’importanza delle tecniche. Gramsci scorge nella “riforma «reazionaria» di Hegel” tentata in Italia una regressione che dalla filosofia riconduce alla teologia. “L’idealismo – dice Gramsci – ipostatizza questo «qualcosa», ne fa un ente a sé, lo spirito, come la religione ne aveva fatto la divinità. È «ipostasi» quella della religione e dell’idealismo, cioè astrazione arbitraria non procedimento di distinzione analitica”. Dunque, pur senza conoscere la critica giovanile di Marx alla dialettica di Hegel, Gramsci contesta su basi analoghe l’intreccio vizioso tra ragione ed empiria insito nelle tendenze prevalenti.
La restaurazione acritica della prassi sembra il contrassegno di ogni idealismo dal momento che “nel sistema logico si introduce l’elemento passionale immediato e poi si pretende che rimanga valido il valore strumentale del sistema”. I difetti dell’astrazione potenziata ad ipostasi spingono a sfornare costrutti metatemporali i quali precipitano nell’esaltazione dell’esistente. Così emerge non soltanto la “rozzezza incondita del pensiero gentiliano”, spiega Gramsci, ma anche la connessione profonda tra atto puro e “opportunismo ideologico”. A causa della conversione della speculazione in esperienza e dell’innalzamento del fatto a valore, Gramsci coglie una organica caduta di Gentile nel pantano denso “di opportunismo ed empirismo”. La lode dell’agire approda ad una completa indifferenza assiologica (finanche “la filosofia di… Nitti e di Giolitti” è “filosofia che non si pensa, ma che si fa”), e il campione dell’Assoluto o Verità civetta addirittura con il senso comune, che però “è un concetto equivoco, contraddittorio, multiforme”.
Quando accosta pensiero e ideologia, Gentile non va oltre una “nuova forma di sociologismo, né storia né filosofia”, che tra le righe svela la “degradazione della filosofia tradizionale”. Alla luce di ciò, il carattere nazionale dell’attualismo, come impianto convalidato nella sua rilevanza pubblica, per Gramsci poggia solo sulla circostanza che esso “è strettamente legato a una fase primitiva dello Stato”. Per la visione elementare, economico-corporativa, del diritto pubblico, il filosofo dello Stato etico resta indietro in confronto ad alcune acquisizioni contenute nel dibattito Croce-Einaudi su liberismo e liberalismo. La dimensione etico-politica, afferrata da Croce teorico del pluralismo o distinzione, è preclusa alla dottrina gentiliana della dittatura o Unità, che disprezza il metodo procedurale del consenso. L’identità totalizzante di statualità e coercizione, questo è il giudizio di Gramsci, allontana Gentile da qualsivoglia nozione di egemonia e quindi da qualunque compatibilità con una pratica liberaldemocratica.
l'Unità