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L’Italia povera di Meloni: record di richieste alla Caritas

L’Italia povera di Meloni: record di richieste alla Caritas

Il nuovo primato di Giorgia

Una fotografia impietosa, visto che il 23,5% delle persone che bussa alla porta dell’ente della Cei un lavoro ce l’ha, eppure non gli basta per sopravvivere.

Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse
Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse

Ora la premier Giorgia Meloni può intestarsi un nuovo primato: in Italia è record di cittadini che si rivolgono alla Caritas. Nel 2024 le famiglie assistite sono state 278mila, il 62% in più rispetto a dieci anni fa e il 3% in più rispetto all’anno precedente. Ad aumentare in modo significativo sono le prese in carico nei territori del Nord Italia (+77% rispetto al 2015), seguite da quelle del Mezzogiorno (+64,7%). E, contrariamente all’immaginario comune, le richieste arrivano in gran numero anche dagli italiani (42,1%), con la forbice degli stranieri (56,2%) sempre più ridotta.

Nel complesso, l’aiuto raggiunge circa il 12% delle famiglie in povertà assoluta, ovvero prive delle risorse economiche per soddisfare i bisogni essenziali per una vita dignitosa come cibo, alloggio e vestiti. Si trovano in questa condizione nel complesso 5,7 milioni di persone (quasi un italiano su dieci), numeri che confermano l’entità del fenomeno rilevata già nel 2023 e che ribadiscono, se ce ne fosse bisogno, che la povertà esiste ed è presente nella nostra società non come qualcosa di residuale, ma di strutturale, e non riguarda più solo i disoccupati, ma anche i lavoratori. E così, mentre la presidente del Consiglio celebra il record di occupati raggiunto sotto il suo governo (un milione di posti di lavoro in due anni e mezzo, le cifre sbandierate), ed esulta per la disoccupazione scesa ai minimi, ecco che il Report Statistico nazionale 2025 consegnato ieri dalla Caritas italiana offre una fotografia diversa della realtà tutta rose e fiori dipinta dalle roboanti dichiarazioni della premier.

Una fotografia impietosa, visto che il 23,5% delle persone che bussa alla porta dell’ente della Cei un lavoro ce l’ha, eppure non gli basta per sopravvivere. Perché si tratta di lavoro povero, ormai la prassi più che l’eccezione: tra i 35-54enni la percentuale dei cosiddetti working poors, dicono i dati, supera addirittura il 30%. In breve – mentre l’esecutivo inorridisce all’idea di un salario minimo per legge – nel nostro Paese il lavoro non è più un fattore protettivo rispetto all’indigenza. Anche perché, continua il report, negli ultimi 5 anni le retribuzioni sono scese del 4,4% e la perdita complessiva di potere d’acquisto dei salari è stata dell’8,7% (dato peggiore di tutti i Paesi del G20). E c’è un altro dato illuminante: se quindici anni fa i disoccupati (che oggi sono il 47,9%) rappresentavano i 2/3 dell’utenza Caritas e gli occupati appena il 15%, oggi i numeri sono molto diversi e certificano una trasformazione del fenomeno stesso della povertà.

L’età media degli assistiti è di 47,8 anni, ma cresce sempre di più la presenza degli anziani: se nel 2015 gli over-65 erano erano il 7,7%, oggi sono quasi il doppio (14,3%). Ad avere maggiori difficoltà restano le famiglie con figli, il 63,4% di coloro che si rivolgono alla Caritas. In questo panorama, un ruolo da protagonista continua ad averlo il disagio abitativo: se sul tema il governo si è mosso solo per istituire per decreto nuovi reati per chi occupa abusivamente (vedi il ddl sicurezza), ignora o sembra ignorare i numeri allarmanti che certificano come una persona su tre (il 33%) di coloro che si rivolgono alla Caritas manifesta almeno una forma di difficoltà legata all’abitare. In particolare, il 22,7% di queste vive una grave esclusione abitativa (persone senza casa, senza tetto, ospiti nei dormitori, in condizioni abitative insicure o inadeguate), mentre il 10,3% una casa non riesce a mantenerla (rispetto al pagamento delle bollette o degli affitti).

Se c’è un altro dato che il governo dovrebbe appuntarsi, è quello sulle cure mediche: tra le persone seguite dalla Caritas, il 15,7% manifesta infatti vulnerabilità sanitarie, legate spesso a patologie gravi e alla mancanza di risposte da parte del sistema pubblico. Circa il 9,9% della popolazione ha dovuto rinunciare a curarsi per le lunghe liste di attesa e i costi insostenibili, mentre il decreto legge (flop) dell’esecutivo per rispondere all’emergenza resta incagliato tra le maglie della politica istituzionale in un assurdo conflitto tra Governo e Regioni.

l'Unità

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